“Quando nel 2050 sarà istituito il Museo dell’Odio, i nostri persecutori e la fanzine che ha pubblicato la “black list” dei presunti omosessuali nel paese, avranno la sala più grande”.
Queste parole, pronunciate qualche mese fa da un cittadino ugandese (insieme alla dichiarazione di essere diverso) mi hanno sconvolta e fatta riflettere a lungo. Mi hanno fatto capire quanto il tema dei diritti civili sia estremamente strumentalizzato e, troppo spesso, ridotto ad uno dei tanti punti da mettere nel programma di questo o di quell’altro Partito, ovviamente declinato in base all’elettorato di riferimento, ma senza mai trattarlo con la cura e la sensibilità che l’argomento meriterebbe. Come attivisti di un partito che vuol considerarsi riformista, non dobbiamo dimenticarci che, quando parliamo di diritti, ci riferiamo prima di tutto a delle persone, che hanno emozioni, storie e percezioni diverse le une dalle altre. Chiaramente non è possibile legiferare tenendo conto dell’individualità di ciascuno ed è proprio per questo che le norme devono essere il più inclusive possibile. Infatti, norme più egualitarie, potrebbero rappresentare un primo passo verso quello che, come giovani riformisti, è il nostro vero obiettivo: un radicale cambiamento culturale e di approccio al problema. Le ironie, i sorrisetti o, peggio, la violenza e l’arroganza non devono essere più accettate. L’armonia che potrebbe conseguire dal raggiungimento di un vero cambiamento culturale, non è ancora mai stata sperimentata. Significherebbe per la prima volta nella storia, non sentire alcuna differenza tra etero, gay, lesbiche e quant’altro, e non parlare fino all’esasperazione di taluno o talaltro personaggio soltanto perché è “diverso”, valutando tutto ciò che fa o dice, in base a quello. Più volte mi è capitato di sospettare che, con gli anni, siamo diventati sempre più moralisti, bigotti e politically correct, creando in tal modo maggiori divisioni tra chi aveva opinioni differenti. Certo, di buono c’è che abbiamo conquistato la possibilità di parlare apertamente di questi temi; il rovescio della medaglia, però, è che ne parliamo fino allo sfinimento, senza mai giungere ad un accordo. Qui mi sorge il dubbio atroce che se davvero vivessimo in armonia, senza la necessità di classificare le persone in base ai loro gusti sessuali, ma rapportandoci l’un l’altro in quanto persone, tante sale conferenze resterebbero inutilizzate e tanti “esperti” a casa. È tanto bello fare l’articolone sulla Russia che perseguita la comunità LGBTQI*, seguito da altrettanto sproloquio sull’America che li esalta, rendendoli a volte macchiette, non sempre amati dagli omosessuali stessi. Ci fa sentire tanto impegnati: ma per gli interessi di chi? Di certo non delle persone LGBTQI*, che forse vorrebbero solo una vita serena. Inoltre a che cosa serve? I capi di Stato si incontrano ai summit, si stringono la mano, si accordano su interessi vari, prevalentemente economici.
E le persone? Come Partito Democratico sentiamo davvero di starci occupando di loro? Forse dovremmo rifletterci. Riflettere su quanto faccia comodo ai grandi (o piccoli, dipende dalla nostra scala di valori) della Terra mantenere le divisioni fra popoli. La sottoscrizione della Federazione Milanese dei GD al documento dei #dirittidemocratici e la nostra adesione al Gay Pride è scaturita proprio da questo: andare oltre le ipocrisie e il senso comune, perché è stato ampiamente dimostrato quanto quest’ultimo sia fallimentare. La rivoluzione culturale deve mirare a scardinare alcune categorie mentali che, dopo tanti anni, per ignoranza, pigrizia ed ottusità, si sono sedimentate nella nostra società. Ecco l’armonia che intendevo: riuscire a vivere in pace, guardando chi si ha di fronte come un individuo con le proprie qualità, la propria volontà e le proprie emozioni, e poco importa con chi preferisce coricarsi. Forse è un’utopia. Però crediamo di avere tutto il diritto di criticare questo mondo e di provare a realizzarne uno migliore dove, finalmente, dopo 2014 anni, comincino a contare le persone.
Susanna Causarano