Cosa può fare la Regione Lombardia per la nostra generazione, per la nostra città, per la realtà che viviamo tutti i giorni?
Questa è una domanda semplice: da qui siamo partiti per strutturare riflessioni ed idee.
Abbiamo portato le seguenti proposte al programma di Giorgio Gori in occasione di “Lombardia Domani”, una giornata di confronto ed elaborazione di temi concreti legati al futuro del nostro territorio. Non ci siamo limitati a ciò che riguarda specificamente le giovani generazioni: essere giovani per noi significa esprimere un punto di vista differente, osservare la realtà che ci circonda da un’altra angolazione, esprimere bisogni e interessi peculiari – senza per questo perdere il contatto con gli altri mondi su cui la politica deve e può incidere.
Eroina e tossicodipendenza: la Lombardia che “dimentica”
Il preoccupante ritorno dell’eroina nel traffico di sostanze stupefacenti sta contribuendo a creare una situazione drammatica a Milano – e non solo. Non esiste un quadro complessivo approfondito sui danni sociali di questa droga, in nessuna provincia lombarda: eppure il mercato è florido come non succedeva dagli anni Ottanta e i casi di cronaca diventano sempre più agghiaccianti. A fine settembre a Brembate, in provincia di Bergamo, l’intervento delle forze dell’ordine ha portato al sequestro di trentadue chili di eroina, e solo nel 2017 a Milano sono stati segnalati dieci morti da overdose, oltre a numerose aggressioni e violenze negli snodi cruciali dello spaccio (il “boschetto” di Rogoredo, Lambrate, i Navigli).
L’intervento delle forze dell’ordine, però, non basta: occorre un lavoro di prevenzione e di recupero dei tossicodipendenti, e la Regione Lombardia guidata da Maroni marcia esattamente in direzione opposta. La Regione ha infatti accorpato i SERT (Servizi per la Tossicodipendenza) e prodotto una significativa riduzione del personale, rendendo di fatto impossibile l’erogazione di un servizio di recupero dignitoso ed efficace. Inoltre, la nuova riforma sociosanitaria lombarda di fatto privatizza le prestazioni per i malati cronici, riducendo ulteriormente l’intervento pubblico anche nei casi di tossicodipendenza.
È necessario pertanto un deciso cambiamento nelle scelte politico-sanitarie dell’istituzione regionale: servono nuovi investimenti che pongano sia il personale medico che quello di assistenza psicologica nei centri di recupero nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro.
Regione Lombardia deve essere in grado di produrre un quadro approfondito sui danni sociali che questo fenomeno sta producendo nelle nostre province. Possibile che non esistano numeri, fonti, studi, ricerche che aiutino gli operatori sanitari nel loro intervento? Occorre al più presto istituire dossier e progettare una road-map con interventi significativi nei prossimi anni, a partire da una conoscenza reale del problema.
Come se non bastasse, inoltre, mancano totalmente politiche di prevenzione: la Regione deve farsi promotrice di interventi per l’educazione alla salute, soprattutto nelle scuole, volti a prevenire comportamenti a rischio favorendo l’educazione fra pari, riflessioni critiche sull’uso di sostanze stupefacenti e la crescita di consapevolezza e informazione circa i principali fattori di rischio e protezione.
Davide Skenderi
Grandi centri commerciali: sono un bene?
Il mito del “grande mall” americano è naufragato da tempo: gigantesche città fantasma ormai cadute in disgrazia, vuote e abbandonate appaiono in fotografia tra le pagine di molti quotidiani a stelle e strisce; si parla della chiusura di circa 400 dei 1.100 centri commerciali statunitensi.
In Lombardia, secondo i dati dell’Osservatorio regionale sui punti di vendita del commercio al dettaglio, sono circa 480 i progetti di Gsv (Grandi superfici di vendita, spazi superiori ai 1.500 mq nei Comuni con meno di diecimila abitanti e superiori ai 2000 mq nei Comuni con più di diecimila abitanti) realizzati o in corso di realizzazione, per quasi quattro milioni di metri quadrati di superficie: di questi, 140 sono nella Città Metropolitana di Milano, per un totale di 1,4 milioni di mq di superficie.
Il dramma è che la costruzione di grandi centri commerciali mangia i piccoli commercianti e gli altri esercenti: tramite uno studio della Confcommercio sulle dinamiche di apertura/chiusura di punti vendita e ristorazione nei centri storici e nelle periferie di 39 città italiane, osserviamo una diminuzione dell’attività commerciale (-17%) nei centri storici principali e in parte minore (-6%) nelle altre città.
Cosa comporta tutto questo?
- Aumenta i rischi di desertificazione dei centri storici: se in un quartiere, centrale o periferico, diminuisce il numero di attività e negozi aperti, si indebolisce il cosiddetto controllo sociale: le strade sono più vuote, meno presidiate, più pericolose.
- Si assiste ad un declassamento della qualità della zona: aumento di centri massaggi, sale slot e negozi automatici h24, e si abbassano i valori delle abitazioni e degli immobili commerciali.
- L’ambiente ne risente: decine di milioni di veicoli (come nel caso del centro commerciale di Arese) insistono sull’area aumentandone lo smog e il traffico. I terreni, una volta edificati, oltre a perdere la loro funzione (talvolta agricola), non sono più utilizzabili per decine di anni una volta smantellato l’edificio su di esso costruito.
Come affrontare il problema?
La giunta provinciale di Trento ha approvato lo stop alle nuove superfici di vendita sopra i 10.000 metri quadrati: chiediamo che la Regione estenda questo vincolo a tutta la Lombardia. Questo vuol dire mantenere e rafforzare la presenza dei piccoli esercizi commerciali insediati in zone e località montane, ma anche contenere il traffico stradale e le sue ricadute in termini di inquinamento atmosferico e acustico.
Andrea Orsenigo
Dai giovani come problema ai giovani come risorsa
Le regioni italiane si occupano tra le altre cose anche della nostra generazione, gestendo le risorse del Fondo Nazionale per le Politiche Giovanili, finalizzato alla “formazione culturale e professionale e al reinserimento nella vita sociale”: una grande responsabilità in un Paese con il 35% di disoccupazione giovanile, affetto dal fenomeno dei neet (giovani che non lavorano né studiano).
Alcune regioni, come la Puglia, hanno investito considerevoli risorse proprie e dato vita a programmi seri, continuativi e partecipati; altre, come la Lombardia, hanno fatto poco o nulla.
Dal 2005 ad oggi Bollenti Spiriti, il piano regionale giovani della Regione Puglia, è diventato un esempio a livello europeo: si tratta di un piano che mette i giovani al centro anche delle priorità economiche, con l’idea di fondo che essi siano una risorsa e non certo il problema, e dà loro la possibilità di formarsi e di sperimentare. Questo, nelle intenzioni degli ideatori del progetto, significa innovare un mondo del lavoro che non funziona più e che necessita di cambiare.
Sotto questo programma sono nati svariati approdi concreti, dei quali i tre più significativi sono:
- “Laboratori urbani”, che ha permesso il recupero e l’affidamento ad associazioni e imprese giovanili di più di 150 spazi, per più di 100.000 mq, per dare luoghi di incontro, aggregazione e lavoro alla nostra generazione.
- “Principi Attivi (ora PIN – Pugliesi Innovativi)”, che ha finanziato a fondo perduto più di 800 progetti sul territorio, fino a 25.000 euro (ora fino a 30.000), gestiti da giovani tra i 18 e i 32 anni, e che fornisce anche un budget apposito per la formazione di 10.000 euro da spendere tra una rete di esperti e professionisti dedicati. 10 milioni di euro costituiscono lo stanziamento per il 2017.
- “Laboratori dal basso”, che permette a qualsiasi associazione o impresa giovanile di richiedere gratuitamente degli interventi di formazione specifica nel proprio territorio.
Nel frattempo in Lombardia si fa fatica anche solo ad avere bandi a cadenza regolare e l’unico progetto attivo oltre a “Garanzia Giovani” (attivo in tutte le regioni) stanzia appena 7 milioni di euro per giovani imprenditori under35 ma anche, inspiegabilmente, per imprenditori over50; sono meno fondi di quelli che stanzia la Puglia, che ha meno della metà della popolazione e la metà del Pil pro capite.
Quello che chiediamo alla Lombardia di domani è una programmazione seria e continuativa, che porti come in Puglia i giovani al centro dei programmi come co-ideatori e non solo utenti.
Un piano che riconosca l’importanza dell’educazione informale e del sostegno alle nuove realtà tramite la formazione e che permetta di recuperare spazi nelle nostre città per diventare luoghi di aggregazione e di cultura, spazi di co-working, laboratori creativi, ma soprattutto che metta le risorse necessarie ad una regione che dovrebbe rappresentare l’avanguardia dell’Italia nel mondo.
Paolo Romano