Molto spesso sentiamo parlare di Unione Europea su giornali, televisione, social network, ma altrettanto spesso viene da chiedersi quanto realmente conosciamo le istituzioni, i politici, i funzionari che ogni giorno lavorano tra Bruxelles e Strasburgo.
Nonostante la percezione che l’opinione pubblica ha dell’Unione rispecchi poco le reali potenzialità di questa grande macchina, ogni giorno migliaia di professionisti lavorano con grande sforzo per rendere partecipi i cittadini del proprio lavoro e garantirne una comunicazione efficace e trasparente.
Basta spulciare tra i vari siti di cui l’Unione Europea dispone per conoscere i bilanci degli organi, il numero dei dipendenti, la destinazione delle loro spese.
Eppure – come emerge da un sondaggio del Parlamento Europeo – solo il 39% degli Italiani pensa che far parte dell’Unione Europea giovi al nostro Paese e, anche tra la popolazione degli altri Stati membri, i sentimenti di euroscetticismo sono cresciuti negli ultimi anni.
Sicuramente, quindi, non è la comunicazione a rappresentare il problema dell’Europa: c’ è qualcosa di più profondo che irrita gli animi dei cittadini del nostro continente.
Già nel 1951, in un discorso tenuto da Alcide de Gasperi sulla Comunità Europea di Difesa, il nostro Presidente del Consiglio mise in guardia gli ambienti circa la deriva tecnocratica che la Comunità avrebbe preso se, dietro l’armatura degli strumenti e dei mezzi tecnici, non ci fosse stato un soffio vitale rappresentato da un’idea di Europa che fosse prima di tutto politica.
Questo è il punto critico che forse l’Europa non ha mai voluto affrontare in tutti questi anni: la creazione di un’Unione che fosse prima di tutto una comunità politica e culturale e, solo poi, amministrativa.
C’è chi a proposito sostiene che le comunità siano fondate sul principio naturalistico dell’etnia, della “razza”, di una cultura cristallizzata e che quindi l’Unione Europea non potrà mai essere una nazione (o quantomeno una comunità politica vera e propria), ma nella realtà esiste un altro modo di appartenere ad una comunità, un modo volontaristico, che consideri la possibilità di appartenere ad una collettività organizzata come una libera scelta ed è proprio su questo principio che si fonda l’adesione all’Unione Europea.
Ma se apparteniamo all’Unione per scelta, come alimentare il fuoco dell’ardore nazionale europeo?
Secondo la storica francese Anne-Marie Thiesse, gli elementi essenziali di una nazione sono il folkore, una storia che costituisca una propria continuità attraverso le epoche, degli eroi nazionali, un certo numero di monumenti culturali e luoghi di memoria, una lingua comune.
Sembra quindi evidente che lo strumento perfetto per far emergere tutti questi elementi sia l’istruzione: solo attraverso un’educazione mirata la comunità europea può prendere consapevolezza di sè.
Ad oggi, è difficile immaginare un sistema unico di istruzione europea, perché tra gli Stati membri – è innegabile – vi sono ancora troppe differenze sociali e culturali, tuttavia è altrettanto evidente che siano molti anche gli elementi in comune (i valori, i modi di vivere…): è proprio su queste basi, quindi, che è possibile e necessario sognare un’unica grande “scuola europea”.
Infine, va detto che per conoscere realmente qualcosa bisogna avere un reale interesse e se è vero che l’interesse non può emergere se non attraverso l’amore e la passione, allo stesso tempo non si può amare ciò che prima non si conosce: è in questo paradosso, tra amore e conoscenza, che si deve inserire l’idea di Nazione Europea.
Il senso di appartenenza nazionale creato attraverso l’istruzione e la sensibilizzazione dei cittadini ci porterà a desiderare di conoscere fino in fondo le istituzioni, le personalità e la storia della nostra Patria Europea e quindi, inevitabilmente, ad amarla.
Luca Loiero