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Ogni edizione dei giochi olimpici porta con sé storie incredibili, sportive e non, ultima l’inaspettata tregua fra le due Coree – che ha addirittura visto queste sfilare sotto la stessa bandiera durante la cerimonia d’apertura delle recentissime Olimpiadi di Pyeongchang. Se emotivamente non c’è niente di paragonabile ai giochi olimpici, si può dire lo stesso dal punto di vista economico? Ovvero, quanto costa organizzare un’Olimpiade?

Uno studio dell’università di Oxford ha analizzato i costi sportivi di ogni Olimpiade (che comprendono unicamente gli impianti sportivi, senza contare altri costi aggiuntivi come quelli dell’urbanistica) da Tokyo 1964 fino a Rio 2016, Olimpiadi invernali incluse. Quello che si evince da questo studio, oltre il crescente aumento, col passare degli anni, delle spese da parte delle nazioni ospitanti, che hanno toccato l’apice con l’edizione del 2014 di Sochi il cui costo ha raggiunto la cifra spropositata di 22 miliardi di euro, è che non ci sia stata un’edizione in cui non si sia sforato dal budget prefissato. Nel 47% dei casi, lo sforamento è stato del 100%, ovvero i costi sono raddoppiati. Questa situazione che si viene a creare è dovuta principalmente al fatto che, a differenza di tutti gli altri progetti (strade, ferrovie…), una manifestazione olimpica non può subire dilatazioni di carattere temporale, e quindi comporta un notevole esborso economico per completare i lavori entro la rigida data di scadenza.

Nonostante i costi elevati, è davvero conveniente organizzare una manifestazione olimpica? I ricavi che si vengono a creare riescono a coprire almeno in parte le spese sostenute? Le risposte sono differenti in base all’edizione che è presa in considerazione, dunque è difficile dare una risposta definitiva (soprattutto in termini positivi).

Gli esempi più brillanti sono stati Barcellona 1992 e Los Angeles 1984. In particolare nel primo caso, grazie ad un piano di riorganizzazione urbana, l’Olimpiade ha cambiato il volto della città e l’ha fatta conoscere al mondo, moltiplicando così le presenze turistiche. Mentre l’esempio più catastrofico è stato quello di Atene 2004. A causa dell’incredibile sperpero di denaro pubblico e all’abbandono a loro stesse delle strutture destinate ad ospitare gli eventi di quell’edizione (il cui caso più eclatante è quello del villaggio olimpico, ora ridotto in uno stato di degrado gravissimo), la Grecia è entrata in una crisi economica dalla quale non si è più rialzata.

Le discussioni riguardo un’eventuale decisione di organizzare una futura manifestazione olimpica coinvolgono il nostro paese da molti anni. Dal rifiuto da parte dell’ex presidente del Consiglio Mario Monti per un’eventuale candidatura della città di Roma per l’edizione del 2020, ad un ulteriore diniego, questa volta da parte dell’attuale sindaco della capitale, per l’edizione 2024. Nel secondo caso però la pianificazione della candidatura era già in uno stato avanzato, visto che era stato proposto un programma economico da parte del presidente del Coni Malagò, nel quale si prospettava un equilibrio tra costi sostenuti e ricavi netti pari a 7,44 miliardi di euro. Probabilmente la difficile situazione che si venne a creare con l’edizione invernale di Torino 2006 (in cui gran parte delle strutture è rimasta inutilizzata) – unita alle grandi difficoltà urbanistiche ed economiche della città capitolina – sono state le principali motivazioni che hanno portato al rifiuto di Virginia Raggi. Adesso la zona che era stata presa in considerazione per allocare la maggior parte delle strutture sportive (Tor Vergata) è luogo di un nuovo progetto: lo stadio di proprietà dell’AS Roma, che prevede anche ad una riqualifica della zona circostante.

È praticamente impossibile recepire puntualmente risultati concreti in termini economici in un lasso di tempo breve: ci vogliono decenni per comprendere l’eredità che riceve una città da una manifestazione olimpica e, in gran parte dei casi, i benefici maggiori non sono monetari. Un ulteriore esempio è quello della manifestazione di Londra nel 2012. Da un punto di vista prettamente economico, i costi sono stati ancora una volta molto superiori ai ricavi. Tuttavia i quartieri ove è avvenuta la ristrutturazione urbanistica hanno beneficiato notevolmente in termini di vivibilità. A differenza di Atene e Torino, ogni struttura costruita appositamente per la manifestazione sta vivendo una nuova vita e nessuna è stata abbandonata a se stessa – si veda ad esempio lo Stadio Olimpico ‘’Elizabeth II’’, che adesso è la nuova casa del West Ham, storico club calcistico londinese tuttora militante in prima divisione.

Nella quasi totalità dei casi, i ricavi che si vengono a creare grazie alla manifestazione sportiva in sé non riescono a coprire nemmeno lontanamente le spese sostenute. La vera sfida consiste nello sfruttare ciò che è stato costruito per le Olimpiadi anche dopo il termine di quest’ultime. Bisogna sfruttare l’occasione per rivalutare eventuali zone più periferiche, in modo da renderle attraenti in termini di vivibilità e da un punto di vista turistico e sportivo in ottica futura. I giochi olimpici sono una grandissima vetrina mondiale che può rilanciare la città che li ospita, a patto che si sappia sfruttarne l’occasione.

Alessandro De Vita

Redazione GD

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