La Legge di Stabilità 2019, approvata e promulgata in extremis dal Presidente della Repubblica, onde evitare l’esercizio provvisorio di bilancio, prevede novità in ambito di Università e Ricerca non esattamente in linea con le dichiarazioni d’intenti rese da più esponenti del governo.
QUALCHE DATO
Nello specifico, la manovra finanziaria prevede un aumento di 40 milioni del FFO (Fondo di Finanziamento Ordinario, ovvero un finanziamento statale che costituisce la principale fonte di entrate delle università italiane), un aumento di 40 milioni al FOE (Fondo Ordinario per il finanziamento degli Enti e istituzioni di ricerca) ed un incremento di 10 milioni al fondo per le borse di studio. Oltre a rappresentare delle variazioni esigue e non idonee a colmare le lacune del sistema universitario italiano -l’investimento previsto per il FFO è pari allo 0,5% dello stesso e non sarà sufficiente a coprire gli aumenti della spesa corrente-, queste modificazioni sono, per il momento, virtuali, fittizie.
In che senso? Il governo giallo-verde, a fronte del rischio di apertura della procedura di infrazione a danno dell’Italia per un rapporto deficit/PIL giudicato eccessivo dall’UE, ha preso l’impegno con la Commissione Europea di effettuare accantonamenti temporanei di parte dei fondi destinati ai vari ministeri, per un totale di 2 miliardi di euro. E ciò a vantaggio di una ricetta che possa consentire, nel rispetto dei vincoli europei, l’attuazione dei due progetti di punta del governo, reddito di cittadinanza e quota 100. Ad essere colpite sono state, tra le altre, le risorse destinate al MIUR.
Gli “accantonamenti prudenziali” prevedono un congelamento di 40 milioni del FFO (a conti fatti, l’intero investimento del governo su questo fondo, già insufficiente a coprire gli aumenti), 30 milioni bloccati dai fondi per la ricerca ed altrettanti dal diritto allo studio, per un totale di (circa) 100 milioni. Ricapitolando: 90 sono i milioni concessi, 100 quelli accantonati. Più università in difficoltà, maggior precariato ed un numero sempre crescente di studenti idonei ma non beneficiari della borsa di studio saranno le conseguenze, in ambito universitario, della “manovra del popolo”.
Lo scongelamento di questi fondi sarà subordinato al positivo superamento della revisione contabile di luglio, dunque solo nel caso in cui l’andamento della finanza pubblica rifletta le stime del governo. Nulla di certo.
LA RISPOSTA DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI STUDENTI UNIVERSITARI
La replica del CNSU non si è fatta attendere ed in una lettera indirizzata all’esecutivo (qui la lettera) è stato manifestato tutto il disappunto per la mancata priorità, dovuta ma non concessa, al tema dell’istruzione e la contrarietà in merito alle misure, incapaci di determinare un rifinanziamento strutturale dell’università e di correggere quei fattori che contribuiscono a relegare l’Italia “tra gli ultimi posti in varie statistiche per numero di laureati, immatricolati, iscritti complessivi e dottorati di ricerca”.
Sebbene nei mesi precedenti esponenti del MIUR, come il Vice Ministro Lorenzo Fioramonti, abbiano garantito che mai sarebbero stati effettuati tagli all’istruzione, i membri del CNSU si trovano ora “costretti a denunciare pubblicamente come quanto da loro annunciatoci stia venendo disatteso dalla Legge di Stabilità 2019”.
L’inadeguatezza di questi provvedimenti, come emerge dalla lettera, si estende anche alle politiche di assunzione, orientate verso il blocco delle stesse anziché ad una lotta alla precarizzazione del mondo universitario che “possa garantire agli studenti una formazione di qualità e per tutti”.
In un video pubblicato su Facebook, Anna Azzalin, presidente del CNSU, evidenzia sinteticamente le criticità della Legge di Bilancio per il comparto Università e Ricerca.
IL PUNTO
L’istruzione non può e non deve essere vittima della spregiudicatezza di politici a caccia di cariche e consensi; il terzo comma dell’art. 34 Cost. recita: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Potrà un diritto costituzionalmente sancito non restare parola morta e trovare realizzazione, nonostante l’aumento degli studenti capaci e meritevoli che non beneficeranno delle borse di studio? È disposto lo Stato ad assumersi una così grave responsabilità? Ma soprattutto siamo disposti, noi cittadini, ad ammettere un tale sfregio? Noi giovani siamo convinti che, in un sistema che si possa realmente definire democratico, la cultura e l’istruzione siano il fulcro attorno al quale il pensiero critico dei singoli deve svilupparsi e fiorire in modo libero e spontaneo. E dunque non devono essere degradate a questioni secondarie.
Sin dai tempi dell’Unità l’esigenza di promuovere una riforma scolastica più inclusiva, che trovò una prima concretizzazione nella Legge Coppino (1877), fu spinta dalla convinzione che un più elevato livello di istruzione potesse essere un motore sociale, nell’ottica della modernizzazione del Paese.
Possibile che ora ci sia stato un tale regresso?
Mattia Zuccotti