di Ernesto Guido Gatti
Per la seconda volta nella mia vita sto vivendo un evento che nessuno potrà dimenticare e che avrà una portata epocale, dopo l’11 settembre, oggi viviamo la prima pandemia documentata della storia dell’uomo.
Quello che rende unico questo momento non sono i numeri che ogni giorno alle 18 ci affrettiamo leggere o dal bollettino ufficiale o da qualche messaggio WhatsApp ma che quel messaggio sia rimasto l’ultimo residuo di relazione fra persone in un momento storico dove l’uomo aveva supposto di aver raggiunto l’onnipotenza sulla natura, dove oramai il racconto che facevamo di noi stessi era di distruttori voraci. Distruttori che in due mesi hanno visto la propria cultura sociale farsi da parte accantonando la socialità che è la grande protagonista nel nostro percorso evolutivo.
Facciamo parte di un momento storico che ha pochi eguali, siamo protagonisti della peste sulle spiagge di Troia, siamo in quarantena nei colli fiorentini e separati da amici e affetti in una Milano contesa tra Peste e Spagnoli. Siamo, forse per la seconda volta nella mia vita, nella storia. Il trauma che questo comporta è enorme e non abbiamo gli strumenti per assorbirlo. Siamo diventati ciò che abbiamo letto e studiato, siamo stati scossi nella nostra stessa immagine del mondo.
Quando nel 2001 vedemmo le Torri cadere, per la prima volta non ci sentivamo più sicuri nelle nostre città, ma quell’evento durato una manciata di minuti non ha richiesto la nostra comprensione, ci ha messo davanti al fatto compiuto. Oggi abbiamo intere giornate, che riempiamo con flussi costanti di informazioni, per realizzare quanto stiamo vivendo. Siamo in un mondo che mai avremmo pensato si potesse presentare davanti a noi e ci scopriamo sospesi con la comprensibile necessità di sperare in una data o in un dato che segni la fine di tutto questo, così da poter incorrere nella furiosa voglia di dimenticare.
Ma non saranno i “contagi zero” a porre fine alla pandemia e non sarà nemmeno il vaccino ma dovrà essere la nostra capacità di analizzare il trauma della separazione fra noi stessi e la nostra cultura fatta di relazioni per non degenerare in un distaccamento dalla realtà che non avrebbe fine con la scomparsa del virus di oggi. Siamo nella storia, quello che stiamo vivendo verrà ricordato e si scriverà di oggi, fermiamoci a riflettere sulla portata di quello che sta accadendo intorno a noi, diamoci modo e tempo di comprendere, rinunciamo al conforto e accettiamo la richiesta di cambiamento della Storia.