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di Francesca Vezzosi

 

L’arrivo via mare di rifugiati e migranti è un fenomeno spesso complesso da gestire che prevede il coinvolgimento di molteplici attori con responsabilità differente ma uniti dall’obiettivo comune di garantire lo sbarco sicuro di tutte le persone in viaggio.
Le ragioni che portano una persona ad abbondare il proprio paese d’origine sono molteplici, dalla ricerca di una vita migliore, di nuove opportunità, alla fuga da paesi dove la propria sicurezza e libertà personale non sono più tutelate e garantite. I viaggi in mare a bordo di imbarcazioni inadatte a percorrere lunghe tratte e cariche oltre il limite della capienza, mettono a rischio la vita delle persone a bordo. È necessario garantire la loro messa in salvo e l’attracco in un porto sicuro, anche nel caso in cui possano insorgere problemi nella concessione allo sbarco da parte di uno Stato, dovuta principalmente alla mancanza di un’adeguata documentazione personale dei passeggeri.
Le operazioni di salvataggio e accoglienza nel Mediterraneo accendono spesso il dibattito pubblico italiano ed europeo, mettendo spesso al centro della discussione quali siano le responsabilità dei paesi coinvolti. Cercheremo qui di spiegare come avviene, in base alle normative internazionali, il soccorso in mare e la procedura di riconoscimento delle persone portate in salvo.
Il salvataggio in mare è regolato e garantito da diverse convenzioni marittime, basate tutte sul principio cardine del dovere di salvataggio.
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), firmata il 10 dicembre 1982 a Montego Bay, impone a tutte le nazioni l’obbligo di soccorso mettendo in atto le cosiddette Operazioni SAR (search and rescue), ovvero tutte le operazioni finalizzate al salvataggio di chiunque si trovi in una situazione di difficoltà e pericolo.
La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR) prevedono che qualsiasi imbarcazione in grado di intervenire in sicurezza è autorizzata al salvataggio in mare e chiunque abbia la possibilità di intervenire ha l’obbligo giuridico di farlo con riferimento a qualsiasi persona che si trovi in una situazione di pericolo, senza discriminazioni sulla base dello status o della nazionalità L’unica eccezione prevista dalla normativa in grado di giustificare il mancato soccorso è la presenza di condizioni che rappresentino un pericolo per i soccorritori.
L’operazione SAR si conclude con lo sbarco dei naufraghi in un luogo definito “sicuro”, ovvero un luogo dove possano essere soddisfatti i bisogni primari (alloggio, cibo e cure mediche), non siano presenti minacce per la sicurezza dei migranti, e sia possibile organizzare il viaggio verso una destinazione definitiva. Gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR hanno come obiettivo la tutela dell’integrità delle operazioni di ricerca e soccorso, chiedendo agli Stati e alle parti contraenti di organizzare lo sbarco il prima possibile, l’imbarcazione può considerarsi un “luogo sicuro” temporaneo, ma è necessario che essa venga sollevata da questa responsabilità appena sia possibile attuare una soluzione alternativa.
Nel Mediterraneo le operazioni SAR sono portate avanti da diversi attori coordinati dal Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC) e svolte non solo nelle aree di responsabilità territoriali e SAR, ad esempio l’area italiana è di circa 500 000 km quadrati, quasi un quinto del mediterraneo.
Le navi italiane però si trovano spesso ad operare fuori dalla propria area di responsabilità SAR, in caso di emergenza infatti il primo MRCC a ricevere l’avviso ha il permesso di gestire le prime operazioni di salvataggio anche in zone esterne alla propria area.
I naufraghi già durante le operazioni di soccorso possono dichiarare di volere fare richiesta di asilo, tuttavia in mare non è possibile effettuare una valutazione formale dello status di rifugiato o di richiedente asilo, il comandante della nave non è responsabile della determinazione dello status dei passeggeri, ma deve applicare i principi fondamentali stabiliti nel diritto internazionale dei rifugiati. E’ necessario contattare il Centro di Coordinamento del Soccorso più vicino e l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), non deve essere richiesto lo sbarco nel paese d’origine o nel paese dal quale la persone è fuggita, e non possono essere diffuse alle autorità di quei paesi informazioni personali sul richiedente.
Redazione GD

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