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di Alberto Galli

 

Al prossimo referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020 voterò convintamente Sì alla proposta di riduzione del numero dei parlamentari.

Voto Sì per tante ragioni:

  1. Perché rende più efficiente il funzionamento delle nostre istituzioni attraverso il loro snellimento;

  2. Perché valorizza la rappresentanza parlamentare, anziché mortificarla come sostiene qualcuno;

  3. Perché è storicamente una battaglia nostra, del Pd e del centrosinistra italiano;

  4. Perché lancia un segnale non indifferente all’opinione pubblica, che può tornare a guardare alla classe politica con maggiore fiducia;

  5. Perché, per quanto di portata limitata, lascia aperta e accelera la strada a future riforme;

Forse dal fronte del No qualcuno si sorprenderà di non trovare all’interno di questo elenco punti come “lotta alla casta” o “perché così risparmiamo un po’ di soldi”. E ci tengo a sottolineare come le ragioni del mio Sì come democratico (mi sento di specificare) sono profondamente diverse da quelle del Movimento 5 stelle, perché estremamente diversa è la nostra cultura politica. E su questo sono convinto che il populismo non lo batti certo identificandolo in una riforma e votando No. Sostenere il contrario significa non solo vivere un’illusione ma di più, non tenere conto o peggio ignorare le conseguenze politiche che ne deriverebbero.

Le “ragioni” del no

Ho scritto ragioni tra virgolette perché in realtà a livello teorico siamo tutti d’accordo sul proporre una riduzione dei parlamentari. Mai nessuno dal fronte del No potrebbe sostenere il contrario: né cioè che sia necessario allo stato attuale aumentare il numero dei nostri parlamentari né tantomeno, qualora potesse, di lasciarli immutati per sempre. Ma procediamo con ordine e proviamo a vedere perché gli argomenti del No, a mio avviso, sono poco convincenti.

1. Perché i risparmi non giustificano il taglio ed è una riforma che risponde alle logiche populiste dei 5stelle e di Di Maio.

Aldilà che trovo sbagliato minimizzare o screditare un risparmio che per quanto esiguo esiste (circa 60 milioni immediatamente e mezzo miliardo a legislatura di risparmi a regime) dal mio punto di vista il risparmio non va visto come la causa di questa riforma, ma come una sua semplice conseguenza. Non sono mai stato un grande entusiasta dell’alleanza con il M5S né della loro politica populista che direttamente o indirettamente incarnano. Ma non sostenere una riforma per il fatto che è voluta anche dai 5stelle è il primo passo per diventare subalterni alla cultura populista. Perché le ragioni di un Sì diverso ci sono tutte, anche nel nostro campo politico. Se poi non prendiamo una posizione e non lo spieghiamo tra i cittadini e in primis a chi ci sostiene, la colpa è solo nostra.

Aggiungo: in politica così come nella vita non sempre tutto va come si vorrebbe. Ma sostenere che il Pd si è piegato ai 5stelle su questa riforma lo trovo ridicolo. Il motivo per cui si è votato per tre volte contro è poi a favore è perché nel mezzo è nato un nuovo governo nel quale il Pd ha chiesto delle garanzie e dei correttivi che prima non ci sarebbero stati. Si può non condividere la scelta, ma fare politica significa anche questo.

E mannaggia: mi costringete anche a spezzare una lancia in favore del Pd.

2. Perché non è una riforma organica e non tocca il vero problema, cioè il bicameralismo perfetto.

Su questo partirei da un dato di fatto. Se guardiamo alla storia, al passato, scopriamo che ci sono stati innumerevoli momenti di confronto tra le forze politiche relativamente al tema delle riforme costituzionali. In questo senso cronologicamente ricordo la prima bicamerale Bozzi (83-84), la seconda bicamerale De Mita-Iotti (92-94), la terza bicamerale D’Alema (97) nonché (una volta abbandonato il meccanismo delle bicamerali) gli innumerevoli tentativi di riforme del 2005, del 2007, del 2012 e infine quella del periodo 2013-2015.

Se confrontiamo i contenuti delle proposte tutte (TUTTE) prevedevano una riduzione del numero dei parlamentari all’interno di una riforma più ampia e organica. Bene, sapete quante di queste proposte organiche di riforma sono entrate in vigore? Zero, nessuna, nemmeno una.

Ora, per carità, tutti (me compreso) vorremmo una riforma completa e organica delle nostre istituzioni e in particolare sul superamento del bicameralismo paritario. Credo però che 37 anni di tentativi falliti in questo senso siano più che sufficienti a giustificare oggi la scelta di un percorso di modifiche puntuali alla Costituzione, come si sta facendo. Che più che una scelta sembra quasi una necessità: un atto dovuto nei confronti di quanto ci insegna il passato.

Una considerazione sul superamento del bicameralismo perfetto: alla luce di quanto sopra, penso che questa riforma ci avvicini alla meta più che allontanarci. Che in un certo senso quasi ci costringerà a tornare sul tema. Personalmente la vittoria del Sì alla riduzione del taglio dei parlamentari di oggi appare come la più grande garanzia al superamento del bicameralismo perfetto di domani. Anche per questo riflettiamo bene prima di votare un No che avrebbe la seria conseguenza di bloccare la strada delle riforme.

3. Perché è un attacco alla democrazia e non tutela le minoranze.

Non condivido i toni apocalittici che molto spesso sono utilizzati per descrivere gli effetti di questa riforma (toni apocalittici che mi ricordano un altro fronte del No, quello del 2016) ma al presunto taglio alla democrazia rispondo nel merito dicendo che non esistono standard internazionali che possono consigliare un qualsiasi rapporto fra seggi parlamentari e dimensione della popolazione (come riporta il parere 662/2012 del Consiglio d’Europa). A parte il fatto che in concreto, a mano a mano che cresce la popolazione, il rapporto tende ad alzarsi (per ovvie ragioni), ogni Paese fa come vuole. In ogni caso rimane la sproporzione attuale del numero dei parlamentari italiani eletti direttamente, 945 contro i 650 del Regno Unito, i 709 della Germania e i 577 della Francia (tutti paesi che tra l’altro hanno una popolazione ben più alta dell’Italia).

Sulla presunta mancata tutela delle minoranze: non c’è dubbio che ogni parlamentare rappresenterà più cittadini, ma già oggi esistono (com’è normale che sia) città, province, territori che non esprimono alcun parlamentare. Anche perché l’unica alternativa a questo problema sarebbe quello di aumentarli!

Al contrario penso che la riduzione del numero dei parlamentari vada anche nella direzione di una minore frammentazione del quadro politico. Anche perché poi minoranza o no, entrare in parlamento presuppone che qualcuno ti voti: se sei un partitino che fa fatica a raggiungere il 2,5% puoi opporti quanto vuoi a questa riforma ma al tuo destino ci pensa già la soglia di sbarramento.

In conclusione

Riporto qui le parole di un noto giurista. Votare Sì, senza grandi aspettative, senza grande entusiasmo, ma anche senza alcuna esitazione. Votare No proprio non si può.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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