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di Ernesto Guido Gatti e Giulio Giuffrida

Anche quest’anno il Primo Maggio ci ha regalato la sua consueta polemica, accompagnata però anche dalla diatriba settimanale. E in un allineamento di pianeti, le due questioni seppur separate e avvenute su palchi differenti e davanti platee differenti, sono radici del medesimo problema culturale di questo Paese.

La dittatura del politicamente corretto

La polemica settimanale riguarda il duo comico Pio e Amedeo. Hanno deciso di concludere l’ultima puntata del loro show su Canale 5 con un monologo incentrato su “parole e comunicazione”. È un prodotto che possiamo tranquillamente bollare di pessima qualità, che esalta l’ignoranza e luoghi comuni attraverso della comicità becera tipica di chi è privilegiato e non se ne rende conto (White Privilege). Il vero problema siede nell’origine delle parole. Il duo non ha deciso di utilizzare il proprio potere mediatico per veicolare un messaggio simile a quello di Vera Gheno e il “ridiamo il giusto significato e utilizzo alle parole come cagna”, bensì per parlare di politicaly correct e della famosissima dittatura del: “non si può dire più niente, non si può più scherzare, ma fattela una risata”.

Parliamone di questa creatura mitologica il “Politicaly correct”, per i meno pratici è l’atteggiamento troppo formalmente rispettoso, quasi artefatto e corretto nel trattare determinati argomenti senza ledere alcuno. Il monologo proposto dal duo doveva far riflette su come in un mondo di politicaly correct e le parole contano più delle intenzioni, dunque ci si dovrebbe focalizzare solo sul contesto (cioè la situazione in cui avviene la comunicazione) in relazione al messaggio (il contenuto che si vuole comunicare). L’introduzione “non contano le parole ma le intenzioni, l’intenzione della parola” sarebbe anche un presupposto corretto se non fosse che sminuire le storie e il peso di alcune parole da loro elencate non sia esattamente ironico e rispettoso per la storia stessa e per chi subisce soprusi quotidianamente. È ad esempio il caso della N-Word. La coppia ha continuato con “i negri ce l’hanno più grosso del tuo” e “in Senegal se ce l’hai meno di 25cm ti danno la 104” queste poesie contemporanee ci mostrano che come sempre si arriva al nocciolo del problema della maggior parte degli uomini privilegiati, le dimensioni del proprio membro e se per farlo devi utilizzare del sano abilismo poco importa.

Le parti finali, comprendono un paio di spunti di riflessione: “Il senso delle cose e il fraintendimento delle cose”, “l’autoironia sarà il nostro unico vaccino”, “bisogna avere coraggio per cambiare la comunicazione” e i sempre citati “c’è la censura” e “siamo in Italia”. Questo fritto misto di frasi fatte sarebbe stato in grado di funzionare se a farlo non fossero stati – come dichiarato dagli stessi – due maschi bianchi, etero e a causa di questo, privilegiati. Se chi ha molto seguito e può parlare alle folle vanifica lotte di persone oppresse e bisognose di aiuto, solo per fare qualche punto di share in più, forse bisognerebbe domandarsi se sia un problema di “moralismo e comicità a senso unico” o qualcos’altro, forse un problema culturale?

Primo Maggio: il salvatore della Patria di Buccinasco

E poi la polemica del concertone del Primo Maggio. Lo sappiamo: Fedez, cantante e influencer (senza laurea come piace a sinistra), decide di fare un discorso di qualità mediocre a sostegno dei lavoratori dello spettacolo e del DDL ZAN. Improvvisamente l’Italia esulta perché qualcuno sta facendo “nomi e cognomi”, esponendo in pubblica piazza dei bigotti. Il discorso fa vincere tutti: la Lega ha un nemico, la “sinistra” trova una voce esterna e la comunità lgbtqi+ un paladino. Ma è davvero un trionfo?

Invece di dare spazio e voce a chi subisce gli abusi, il discorso è un dito puntato verso i “carnefici”. Non spiega perché ci sia la necessità del DDL Zan o dei possibili effetti della propria applicazione – ad esempio in ambito lavorativo –. La linea difensiva della legge passa dal giudicare e sminuire le altre discussioni parlamentari, arrivando, in un giro che definire pindarico è un eufemismo, ad attaccare gli antiabortisti. Per quanto possiamo concordare che restituire il vitalizio a Formigoni sia scandaloso, i punti centrali su cui riflettere sono altri.

Il primo punto, riassuntivo della vicenda, da considerare sicuramente è: Smetteremo mai di avere bisogno di eroi e salvatori della patria? La domanda può sembrare retorica, con certezza è critica verso un popolo immaturo, non in grado di abbracciare la complessità a nessun livello e per questo costretto a rifugiarsi, peraltro con una capacità di sostituzione sconvolgente, in feticci, figurine di eroi, paladini, radicali, predicatori o simboli di una comunità. Guardiamo la velocità con cui le “bimbe di Conte” hanno applaudito Fedez.

È nostra volontà però essere obiettivi: nel suo discorso Fedez non ha dedicato abbastanza tempo né ai lavoratori dello spettacolo né alle vittime di omobitransfobia e abilismo. Da un’artista non possiamo certo aspettarci che faccia politica per questo non ha senso portargli rancore o giudicarlo malamente per via della sua persona, del suo passato e del suo modo di fare (punti per niente rilevanti nella questione).

Pio, Amedeo e Fedez: l’incapacità di costruire un dibattito

Il secondo punto che si collega ad entrambe le polemiche, esempi che mostrano l’incapacità di costruire una struttura nel dibattito, che potremmo chiamare “la politica che commenta e la politica che fa”. Questa situazione fa porre dei quesiti: il nostro partito cosa vuole essere? La grande famiglia di cui i giovani democratici fanno parte? Il PD ha fatto abbastanza? È stato fatto abbastanza da chi di dovere?

Vogliamo invitare le nostre comunità a smetterla di nascondersi dietro “lasciamo certi temi ad altri partiti”, “ci sono altre priorità”, “certi avvenimenti dovremmo ignorarli”. Se vogliamo essere veramente plurali e democratici dobbiamo non solo discuterne ma anche fare sintesi e trovare soluzioni.

Precisiamo, che il nostro intento non né sentenziare né sminuire Zan, Cirinnà, Boldrini e le altre persone della nostra comunità che da decenni si occupano di diritti sociali e civili, che attualmente ritengono il DDL Zan una priorità e si augurano che il Parlamento lo possa approvare così come è nel minor tempo possibile.

Bensì vogliamo far riflette su:

  • Parte del Pd pensa e dice che non parliamo più di diritti sociali perché parliamo solo di diritti civili, credendo che gli uni sovrastino gli altri o che non vadano di pari passo.
  • Le modalità che stiamo usando per questa battaglia, ma anche per altre, sono adeguate e corrette?

Davanti ad un nuovo eroe della patria, anche la nostra comunità si ferma. Un popolo inadeguato quando vede l’onda arrivare o si adegua o si prepara a resistere. In entrambi i casi lo fa senza analisi e senza tenere conto del contesto. Fedez semplifica, banalizza e lo fa con ragione: è un artista che ha deciso di lottare per i diritti civili, ma allontana creando un sentimento antipolitico, non contro i politici ma contro la disciplina di crescere, governare e far maturare un popolo.

Forse, allora, il problema siamo noi, noi militanti che attuiamo una politica e atteggiamenti da tifosi e commentatori; se sicuramente il nostro compito come democratici non è dare giudizi morali ma dare risposte e soluzioni ai problemi delle persone, stiamo sbagliando qualcosa.

Invece di collocare i momenti presenti nella storia, imparando a convivere con le contraddizioni, sospinti da un “cosa” abbiamo accettato di spendere il tempo battibeccando sul “chi”.

In modo non tanto dissimile da come lo hanno fatto personaggi della politica in passato, Fedez ha utilizzato la sua momentanea sfera di influenza per spostare il dibattito su un singolo tema. Nel farlo, è stato molto più capace del nostro Partito. Dovrebbe farci ammettere i nostri errori e limiti, per far maturare un popolo abbiamo consacrato un uomo che ha utilizzato il proprio potere mediatico per fare qualcosa che spetterebbe a chi fa politica attiva accettando di nascondere la nostra incapacità di parlare al “paese reale” e dialogare tra di noi.

Un po’ come Pio e Amedeo, non siamo capaci di comunicare: non siamo stati in grado di ribadire in modo netto e fermo che il DDL Zan non parla di coppie omogenitoriali, che l’identità di genere o la teoria del gender sono degli spaventa passeri e che supportare il disegno di legge di un nostro iscritto, di un attivista della nostra comunità non è una moda.

Un altro artista, Venditti, cantava:

“Ma quanti amici in torno, che viene voglia di cantare
Forse cambiati, certo, un po’ diversi
Ma con la voglia ancora di cambiare”

Noi, democratici siamo pronti a cambiare? Non snaturarci ma a migliorarci? a “invecchiare”? Siamo pronti ad interrompere la ricerca spasmodica di un Priamo con corte, adepti e padri nobili?

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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