di Arianna Curti
“Stai per compiere 18 anni. Voterai per le comunali a ottobre?” Si potrebbe rivolgere questa frase, camminando per le strade di Torino, Milano o Roma in questi giorni a uno qualunque delle ragazze e dei ragazzi nati nel 2003. La risposta, se stessimo ai dati del 2018, è che su 10 neodiciottenni 7 non andranno alle urne. Questa assenza all’appello è grave. La partecipazione dei giovani e delle giovani è importante non solo perché è la voce di chi sarà l’Italia di domani, ma anche perché proprio loro sono quella parte di popolazione di oggi per cui si afferma di fare politiche, ma con cui spesso non si fanno.
Si conoscono realmente le necessità dei giovani oggi? I giovani hanno realmente loro rappresentanti presso le istituzioni? Chi e come votano i giovani? Il senso della proposta di allargare la platea elettorale al senato, e l’iniziativa del segretario del PD Letta di estendere il diritto di voto addirittura ai 16enni cercano di avvicinare giovani e politica, e forse anche la politica ai giovani. Nel primo caso vi è oggi una proposta di legge costituzionale, la proposta Ceccanti che ha come obiettivo, tra gli altri, la modifica dell’art. 58 della Costituzione, che attualmente recita:
I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.
Quando si parla di elezioni vi sono due tipi di elettorato, l’elettorato attivo cioè coloro che votano e l’elettorato passivo, ovvero gli individui che possono essere votati. Originariamente l’intenzione era quella di abbassare al Senato dai 25 anni ai 18 anni l’età dell’elettorato attivo e dai 40 anni ai 25 anni quella dell’elettorato passivo. È passata solo la prima parte con seconda votazione della Camera qualche settimana fa: 405 favorevoli, 5 contrari e 6 astenuti. Ieri, invece, il Senato ha approvato la stessa legge in via definitiva: 178 favorevoli, 15 contrari e 30 astensioni.
Il procedimento di riforma
Per le leggi costituzionali sono necessarie due approvazioni distinte, tra le quali devono intercorrere almeno tre mesi, per ogni ramo del Parlamento. Nella seconda deliberazione per ogni Camera è necessaria la maggioranza assoluta. Altro elemento importante è che per entrare effettivamente in vigore, la legge avrà una “vacatio legis” differente: non di 15 giorni come accade per le leggi ordinarie, ma di 3 mesi, periodo entro il quale un quinto dei membri di una camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali possono chiedere che sia sottoposta a referendum confermativo (il referendum costituzionale). La legge, a questo punto, è promulgata solo se gli elettori la approvano con la maggioranza dei voti validi, nel caso sia stata sottoposta a referendum, o se sono decorsi i tre mesi dalla pubblicazione senza che il referendum sia stato richiesto.
La strada dunque è ancora molto lunga perché effettivamente non sia più discutibile l’estensione del voto. Se venisse però effettivamente approvata e non sottoposta a referendum, da un lato sarebbe piú difficile più si creassero delle differenze nell’esito elettorale tra la Camera dove l’elettorato attivo ha già almeno 18 anni e il Senato, dove l’elettorato attivo previsto in Cost. a 25 anni, garantendo parità di condizioni ai cittadini. È anche un segnale politico, in quanto ambo le camere avrebbero pari rilevanza per la fiducia al Governo.
Potremmo dunque parlare di una razionalizzazione di un sistema complesso. Secondariamente si compirebbe un primo passo verso l’estensione alle cittadine e ai cittadini italiani del diritto di voto che il segretario PD Letta auspica inizi dai 16 anni, ai fini di una maggior partecipazione politica delle giovani generazioni. Con la modifica apportata da questa legge costituzionale, per esempio si estenderebbe il voto a 3 milioni 700 mila cittadini che oggi potremmo dire esercitino un voto “mutilato”. È doveroso ricordare che il diritto di voto è uno dei diritti politici e in Italia è garantito all’art. 48 della Costituzione che specifica però che è poi la legge a dover definire le modalità di esercizio.
Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età.
Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.
La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge.
Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge
Confrontando il nostro Paese con gli altri all’interno dell’Unione, l’Austria già quattordici anni fa ha esteso il diritto di voto ai 16enni, in Germania oggi in alcuni Lander si può votare a 16 anni, la Grecia ha esteso ai 17enni.
Ma quali sono i “ pro” e i “ contro” di queste riforma che allargano la platea elettorale?
In Italia l’imputabilità di un soggetto inizia a 14 anni, prevedendo una valutazione caso per caso da parte del giudice. A 16 anni un soggetto può essere regolarmente assunto con un contratto lavorativo se ha assolto all’obbligo di istruzione. È sensato quindi pensare che una persona che già ha un aumento del carico di responsabilità, possa concretamente contribuire allo sviluppo del Paese anche attraverso l’espressione della sua libertà di scelta della rappresentanza politica, attraverso la sua facoltà di determinarsi anche per quanto concerne un diritto politico. Far sentire i giovani coinvolti è il primo passo per parlare di loro, includendoli nei progetti politici del Paese in modo autentico. Avvicinare i giovani alla politica vuol dire diminuire il distacco che spesso si imputa al politico di turno tra la politica di palazzo e il cosiddetto “Paese reale”.
L’età media dei rappresentanti in Parlamento in Senato è 55 anni nel 2021, alla Camera il 73,77% ha più di 40 anni. Se ci ricordiamo, come detto sopra, che ad oggi per essere eletti al Senato bisogna aver compiuto 40 anni – non me ne vogliano i quarantenni, ma a quarant’anni non si è giovane – chi li rappresenta i giovani? Non parliamo poi delle giovani, perché vista la sottorappresentanza femminile nelle istituzioni si potrebbe scrivere un’enciclopedia!
Non è forse meglio rispetto ad un modello statale basato sulla teoria di “padri e madri della patria” cioè gli adulti che decidono cosa è meglio per chi verrà dopo di loro, uno Stato che renda protagonisti i giovani e che se ha il bicameralismo perfetto lo renda tale anche negli elementi fondativi che garantiscono il diritto all’elettorato attivo? Ovviamente ci sarebbe da riflettere anche su quello passivo, ma visto il tenore delle proposte ora in campo e gli emendamenti mi limiterò all’attivo.
Estendere l’elettorato attivo vorrebbe dire avvicinare due poli che ora comunicano poco, significherebbe poter far sentire attraverso propri rappresentanti vicini alle istanze dei giovani, le necessità più impellenti, i bisogni di una generazione in cerca di futuro dietro a una mascherina. La pandemia ha permesso lo sblocco di fondi europei importanti di cui grande parte è stata destinata a progetti che sono rivolti ai giovani ma allo stesso tempo ha creato disoccupazione e debiti che ricadranno soprattutto sulle generazioni di domani. Forse potrebbe essere proprio questo il momento giusto per includere nella partecipazione politica le nuove generazioni, per farle contare davvero.
“I giovanissimi non sono sufficientemente pronti per votare perché non hanno la formazione necessaria”. Questa affermazione è sostenuta spesso non solo dai cosiddetti “boomers” ma anche da quella parte di giovani stessi contraria all’estensione. Innanzitutto questa affermazione riconosce un nesso logico tra età anagrafica e voto o tra preparazione culturale e voto. Sulla prima si potrebbe obiettare che per altri motivi allora si potrebbero escludere le persone anziane dall’elettorato attivo perché “troppo anziane”. Il rischio di questo ragionamento è strumentalizzare un requisito come quello anagrafico per selezionare gli elettori. Secondariamente lo stesso ragionamento si può fare a livello di preparazione: aver garantito il suffragio universale ha affermato che nel nostro Paese il voto è un diritto per qualunque individuo e lo Stato, affermando in Costituzione il principio di uguaglianza, deve mettere in campo ogni strumento necessario per rendere effettivo questo diritto, per abbattere ogni barriera e far sì che il voto di un muratore conti come quello di una laureata in neuroscienze. Tale obiezione quindi potrebbe essere trasformata in “Oggi in Italia un 16enne non sarebbe ancora pronto per votare” perché quell’ “ancora” rappresenterebbe un “vulnus”, una lacuna che è lo Stato, tramite formazione e informazione, a dover colmare. Lo Stato deve rendersi responsabile di questo. A 16 anni un ragazzo frequenta ancora la scuola dell’obbligo, quindi è lo Stato a doversi premurare di fornire il necessario perché il giovane abbia un bagaglio per affrontare la vita autodeterminandosi il più possibile, altrimenti non sarà in grado di farlo neanche in età più avanzata e in diversi fronti oltre a quello del diritto di voto. Ammettendo dunque che oggi un giovane non sia pronto riconosciamo una responsabilità collettiva, e allora colmiamolo questo “gap” riformando la scuola in tutto ciò che è necessario! Vogliamo riformarla prima di estendere il suffragio? Benissimo, basta che agiamo, perché il tempo è adesso, siamo agli sgoccioli.
“I giovani sono più influenzabili dai social”. Questa è un’assunzione di principio soprattutto perché i giovani, a differenza già solo della generazione dei loro genitori, sono nati con i social quindi, paradossalmente, sono spesso più consapevoli dei rischi che questi presentano, spesso più consapevoli rispetto ai loro stessi genitori. Quante volte a te, genitore, è capitato di farti impostare la privacy sul singolo “device” da figlia o figlio? Si parla di 16enni, non di bambini. Non si può affermare che i giovani non siano responsabili se non gli si garantiscono strumenti per responsabilizzarsi.
“Il voto dei giovani è populista”. Altra obiezione. Nel 2019 alle europee il 38% dei giovani ha votato Lega. Il problema però non si risolve limitando il libero esercizio democratico, ma casomai chiedendosi quali siano le strategie per arginare una “deriva populista”, se la si ritiene tale. Credo che questa obiezione si presti bene per concludere: non è togliendo dagli occhi di un ragazzo giovane l’alcol che gli si insegna a bere responsabilmente, ma spiegandogli il senso di responsabilità, il concetto di moderazione, allo stesso modo non è limitando i giovani nel voto che avremo un Paese migliore se quel Paese non mette in atto meccanismi formativi adatti. Chi scrive non è favorevole al voto ai 16enni tout court, ritengo però che se davvero si vuole avere la pretesa di rappresentare a 60 anni giovani di 16 allora bisogna trovare modalità radicalmente diverse da quelle odierne per farlo. Se invece si ritiene che il voto ai 16enni sia corretto come principio, ma oggi manchino le condizioni, penso che sia giunto il momento che questo Paese, spesso fanalino di coda a livello di progresso, abbia oggi più che mai l’opportunità di dimostrare che progresso è democrazia e che è oggi il momento di riformare la scuola e di attuare quel cambiamento che non è più sufficiente in un mero slogan elettorale.
Ogni voto ha il diritto di contare!