di Edoardo Oldani
4 Agosto 2020 ore 17.00: un’esplosione senza precedenti travolge il cuore di Beirut. L’esplosione, causata dal semi-abbandono di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio confiscate in un hangar del porto, ha ucciso almeno 200 persone, ferendone più di 6000 e lasciando circa 300.000 persone senza dimora. Le disastrose conseguenze dell’esplosione si sono andate ad aggiungere ad una crisi economica e politica che si era già cominciata a manifestare nel 2019, come dimostrano i movimenti sociali e le proteste della “October Revolution” che hanno mobilitato centinaia di migliaia di libanesi contro la corruzione della classe politica e la mancanza di riforme economiche da parte del governo.
Ad un anno dall’esplosione, il Libano sta vivendo una crisi che va molto oltre le già catastrofiche conseguenze del 4 agosto. Oggi la crisi è politica, economica, finanziaria e sanitaria. Secondo il report più recente della Banca Mondiale, la crisi libanese è probabilmente tra le tre più gravi degli ultimi due secoli ed è di proporzioni che normalmente sono associate solo a guerre e conflitti. La svalutazione cronica della lira libanese, che ha perso il 90% del suo valore negli ultimi diciotto mesi, sta avendo effetti tragici sulla vita quotidiana della popolazione. Infatti, secondo le Nazioni Unite, il 30% dei bambini libanesi non riceve cibo sufficiente e almeno metà della popolazione ha raggiunto la soglia della povertà, con picchi del 90% tra i tantissimi rifugiati siriani ospitati nel Paese. Inoltre, a causa della svalutazione della moneta, gran parte dei conti bancari, e quindi i risparmi contenuti al loro interno, sono stati congelati e i libanesi devono sopravvivere con redditi che secondo il Crisis Observatory dell’Università Americana di Beirut in media sono sufficienti a coprire soltanto un quinto dei bisogni alimentari minimi. La crisi è evidente ovunque, a partire dalla mancanza di elettricità che viene tagliata per addirittura 23 ore al giorno in gran parte del Paese, mettendo in particolare difficoltà gli ospedali e il sistema sanitario, già in crisi a causa della sempre più diffusa scarsità di medicinali di base. Nella prima metà di luglio, il Libano si è anche trovato ad affrontare un periodo di scarsità di combustibile senza precedenti. La penuria di combustibile, conseguenza della mancanza di liquidità del governo, ha portato addirittura alla chiusura di gran parte dei distributori di benzina, essenziali in uno stato senza un vero sistema di trasporto pubblico; la crisi si è temporaneamente risolta grazie ad un accordo con l’Iraq, che ha provveduto a fornire il combustibile necessario per produrre energia per quattro mesi.
Alla base della crisi economica vi è uno stallo politico, che continua dalle dimissioni del Primo Ministro Saad Hariri nell’ottobre 2019 in seguito alle proteste sopra menzionate. Meno di un anno dopo, il governo guidato da Hassan Diab chiamato a sostituire Hariri si è dimesso pochi giorni in seguito all’esplosione del 4 agosto. Nonostante diversi tentativi, il Paese è rimasto senza governo fino a oggi. Il 15 agosto Saad Hariri, che era stato rinominato dopo l’esplosione, ha rassegnato le dimissioni dopo aver tentato di formare un governo per nove mesi, apparentemente fallendo a causa di conflitti con il Presidente della Repubblica Michel Aoun che rappresenta gli interessi della popolazione cristiano maronita. Infatti, secondo gran parte dei libanesi e degli osservatori internazionali, lo stallo politico è causato dal malfunzionamento del sistema politico formato in seguito alla fine della guerra civile nel 1990. Il sistema politico si è infatti sviluppato sulle linee delle divisioni confessionali presenti nella società libanese. Oltre a non essere ancora riusciti a formare un nuovo governo, i partiti tradizionali libanesi non hanno soprattutto portato avanti un’agenda di riforma, considerata elemento fondamentale per la risoluzione della crisi dalla Banca Mondiale e dall’Unione Europea. Inoltre, il corrente stallo politico è anche mantenuto da un alto livello di corruzione nella classe politica e da forti sistemi clientelari. L’impunità politica in seguito all’esplosione è emblematica della situazione politica del Paese. Infatti, alla soglia dell’anniversario dell’esplosione, ventisei parlamentari hanno presentato una petizione perché il primo processo a tre parlamentari ritenuti responsabili indiretti dell’esplosione venisse trasferito dal pubblico ministero al Consiglio Supremo per i Processi a Presidenti e Ministri, organo presieduto da dieci parlamentari e otto giudici non ancora nominati, mossa considerata una calcolata manovra politica dai gruppi per i diritti umani libanesi. Questa settimana il miliardario Najib Mikati è stato incaricato di provare a formare un nuovo governo. La notizia della nomina è stata ricevuta con amarezza dai gruppi di opposizione e dalla società civile, che è delusa dalla designazione di una figura che ha già ricoperto varie cariche politiche e che rappresenta la tradizionale classe politica libanese.
Per comprendere più a fondo la crisi e soprattutto come la vivono i nostri coetanei libanesi, ho intervistato tre giovani studenti libanesi: Dalia, Yara e Joseph. Dalia e Yara rispondono direttamente dal Libano mentre Joseph fa parte della diaspora libanese e risponde dall’Arabia Saudita. Sebbene sia difficile trasmettere il tono di passione e allo stesso tempo disperazione e sconforto con il quale mi raccontano della situazione nel loro Paese, qui sono alcuni dei loro pensieri e delle loro riflessioni. La loro risposte sono state parafrasate in traduzione.
Come vivono la crisi i giovani libanesi? Qual è il sentimento generale nel Paese?
Dalia: Il modo migliore per descrivere il sentimento generale attuale è che sta rendendo le persone depresse e senza alcuna speranza. Considero la speranza un grande strumento politico, e la popolazione libanese ne è ormai completamente priva. Tanti adulti ci dicono addirittura che le attuali condizioni di vita sono peggiori di quelle che hanno vissuto durante la guerra civile. C’è un grande nervosismo, che si manifesta ovunque nel Paese. Ad esempio, dato che manca spessissimo l’elettricità anche i semafori si spengono, e tutta la frustrazione delle persone si può osservare anche solo nel traffico incontrollato e nelle tensioni che emergono nelle strade senza controllo.
Joseph: I giovani libanesi sono frustrati e disperati. L’esplosione del 4 agosto 2020 è avvenuta nel contesto di una grave crisi economica e finanziaria. La parola giusta per descrivere la situazione attuale non è più crisi ma disastro. La parola crisi è definita da una durata ed è una situazione dalla quale si può uscire. La situazione attuale va nella direzione opposta, peggiora ogni settimana e non vediamo nessuna soluzione all’orizzonte. Io faccio parte della diaspora, e il sentimento tra i tanti libanesi all’estero (che sono più di quelli in Libano) è di sollievo ma allo stesso tempo di colpa. Guardando il disastro che stanno vivendo i nostri compatrioti sentiamo dolore per il caos nel quale il nostro Paese sta discendendo. Inoltre, i nostri sogni, e in particolare quelli dei nostri nonni e genitori di tornare in Libano si allontanano sempre di più.
Yara: Al momento il Libano è un Paese senza stato, ed è il caos più totale. Per la maggior parte della popolazione le attività di ogni giorno si trattano di pura sopravvivenza, infatti, a causa della svalutazione della nostra moneta e dato che la maggior parte delle persone ha perso i propri risparmi, molti riescono a malapena a sfamare le proprie famiglie. Ogni giorno succede qualcosa di tragico, a partire dalla mancanza di elettricità fino a incendi in città o nelle aree naturali che non vengono spenti a causa della scarsità di risorse. Tutte le persone che ne hanno la possibilità stanno provando a lasciare il Paese ma per la maggior parte si trovano intrappolate senza alcuna via d’uscita. Un punto molto importante per la gioventù libanese è quello della salute mentale. Oltre all’assenza di educazione data la mancanza di elettricità che non permette alla gran parte degli studenti di seguire le lezioni online, la salute mentale dei giovani libanesi è fortemente intaccata dal generale sentimento di disperazione e dalla mancanza di speranza, che si aggiunge a traumi irrisolti legati alla guerra civile che vengono trasmessi dalla generazione precedente.
Qual è la responsabilità politica per la situazione attuale?
Dalia: Questa situazione sta dimostrando il fallimento del settarismo nella nostra società e politica, mostrando chiaramente che partiti politici tradizionali, che esistono i Libano sin dalla guerra civile, hanno completamente fallito nel portare cambiamenti positivi al Paese. La corruzione e mancanza di vero interesse per lo sviluppo da parte della classe politica tradizionale sono la causa diretta della situazione attuale. Questo problema emerge anche dalla completa mancanza di giustizia di transizione sin dalla guerra civile. Partendo proprio da noi giovani, la storia che studiamo a scuola si ferma alla dichiarazione di indipendenza nel 1943 dato che gli storici libanesi non hanno ancora trovato un consenso storico sulla guerra civile. Perciò, il Paese vive uno stato di amnesia collettiva e conosce la propria storia solo attraverso la visione settaria che gli viene trasmessa dalla famiglia e dalle forze politiche tradizionali, che attenua le responsabilità dei loro leader confessionali e crea forti divisioni nella società. Allo stesso modo, il Paese è entrato nello stesso stato di amnesia collettiva dopo l’esplosione del 4 agosto, i cui responsabili restano impuniti.
Yara: I media internazionali descrivono ancora il Libano come una democrazia completa. Questa narrativa nella mia opinione è completamente falsa. Avendo osservato in prima persona come i giovani hanno provato a cambiare le cose negli ultimi due anni, posso affermare che è impossibile farlo, perché viviamo sotto quella che considero una dittatura. Il governo è già caduto quattro volte dalla October Revolution, e nessuno dei governi incaricati ha rappresentato le richieste della gente, sono sempre composti dalle stesse figure politiche a capo di tutti e tre i rami del governo e dell’esercito. Nessuno verrà incriminato per l’esplosione di Beirut. Quando i libanesi chiedono un cambiamento, non lo chiedono all’interno della classe politica di oggi, perché sono le persone che ci tengono in un ostaggio politico sin dalla guerra civile. Inoltre, non abbiamo il vero diritto di protestare come in una democrazia, ogni volta che io voglio protestare devo pensare alle gravi conseguenze violente che spesso seguono. Con un governo vero e funzionale, sarebbe impossibile arrivare al punto nel quale si trova oggi il Libano, la situazione economica è puramente il risultato di corruzione e malgoverno da parte della classe politica che viene ancora giustificata e descritta come democratica da gran parte dei media internazionali.
Joseph: Il nuovo Primo Ministro incaricato è il quarto dall’inizio della crisi economica. Sebbene sia stato nominato, è importante sottolineare che questa nomina va contro le richieste del popolo: è un miliardario e ha già tenuto varie posizioni governative, mentre durante le proteste del 2019 i libanesi hanno chiesto un cambiamento di élite politica. La corruzione e gli interessi personali delle persone al potere all’interno dei partiti tradizionali sono alla base del disastro economico. Dopo tutto quello che è successo, le persone stanno realizzando sempre di più che è impossibile rimanere legati ai partiti politici confessionali. Nelle elezioni del 2022 spero emergerà la realizzazione dell’importanza dell’unità e che essa prevalga sulle divisioni settarie all’interno della società. Spero anche che le elezioni del 2022 si svolgano in modo trasparente e penso che l’intervento dell’Unione Europea sarà centrale nel garantire il loro corretto svolgimento. Sono anche molto favorevole alle sanzioni che l’Unione Europea sta adottando verso i politici libanesi che perpetuano il sistema di corruzione e impediscono l’implementazione di riforme.
Come stanno rispondendo i giovani?
Yara: Già a partire dalla October Revolution, i giovani sono scesi nelle strade per portare avanti idee progressiste e di opposizione alla corruzione della classe politica. Oltre a non poter nemmeno votare fino all’età di ventuno anni, le idee di giovani non sono mai state considerate dal governo, che ha invece spesso risposto alle proteste con la violenza, portando parte della popolazione a volersi dissociare dalla politica piuttosto che continuare a parteciparvi. Ora però le cose stanno cambiando. Quest’anno vi è stato per la prima volta un grande successo dei giovani partiti non confessionali nelle elezioni universitarie risultato diretto di una nuova mobilitazione e partecipazione politica giovanile. Ci sono tantissimi nuovi partiti alternativi formati principalmente da giovani che stanno prendendo la costruzione del Paese nelle loro mani, a partire dalla ricostruzione della città all’assistenza alle vittime dopo l’esplosione. Il Libano è un Paese fallito senza un vero governo funzionale, ma ha un seme – formato da giovani – che sta costruendo un futuro: creando istituzioni, valori, diritti, tolleranza e modernità. Tutte queste persone, unite in una collettività, sono state ferite dalla mancanza di morale e corruzione della classe politica, ma ora stanno lavorando attivamente nella società per creare il Libano nel quale credono e che sognano. Questa speranza che esiste ancora tra i giovani libanesi nonostante l’esplosione – che ha distrutto quella Beirut che è tutto ciò che del Libano rimaneva loro – la pandemia e la crisi economica, sarà rivoluzionaria.
Dalia: Un grande sviluppo positivo sta avvenendo grazie ai social media, che stanno permettendo a molti giovani di informarsi su quello che sta succedendo nel Paese, visto che i media tradizionali libanesi raccontano solo la situazione attraverso la loro visione politica e settaria. I social media sono una piattaforma che sta dando lo spazio ai giovani di esprimere la loro frustrazione verso il governo e di unirsi, creando comunità. Inoltre, vi sono molti nuovi partiti non confessionali guidati da giovani studenti che stanno emergendo nel Paese e che stanno provando a creare un nuovo sistema di valori, mostrando ai libanesi che un cambiamento è possibile, in un Paese dove le persone al potere sono le stesse dalla guerra civile. Questi giovani rappresenteranno le fondamenta del futuro del Libano.
Il disastro libanese deve essere una priorità per l’Italia e per l’Unione Europea. Non solo per le conseguenze catastrofiche della situazione sulla vita delle persone in Libano, anche perché una crisi di queste dimensioni nel Mediterraneo avrà inevitabilmente riverberi sul nostro Paese, indebolendo i già instabili equilibri della regione e possibilmente creando nuovi importanti flussi migratori. Se l’Unione Europea continuerà a mantenere un ruolo nella risoluzione della crisi è però importante che le voci del seme di giovani libanesi che sta costruendo il futuro di cui parla Yara diventi uno degli interlocutori principali per comprendere la crisi e le prospettive per il futuro del Libano.