di Jacopo Centofanti
Andate in cucina e prendete la vostra moka. Osservate la forma, gli spigoli, la struttura così semplice. Diamo così per scontata la presenza di quell’apparecchio in casa da non renderci nemmeno conto delle sue caratteristiche. Eppure, la macchinetta del caffè più famosa al mondo è nata poco dopo i nostri nonni e prima di allora il caffè non era così accessibile se non recandosi al bar. Il rapporto con la tecnologia plasma le nostre abitudini e il nostro modo di vedere il mondo. È una simbiosi che definisce le nostre società e sta diventando sempre più rapida e pervasiva. I computer, gli smartphone e internet hanno stravolto alcune delle nostre abitudini più radicate e sono diventati una pietra angolare della nostra quotidianità in tempi record.
I social network
I social sono uno degli elementi che ha cambiato di più il nostro modo di interagire, al livello personale e professionale. Le aziende creano contenuti virali per potenziare i propri brand, la comunicazione politica ha cambiato faccia per adattarsi a un format più sintetico e “urlato” e le nostre interazioni sono diventate il motore che spinge queste piattaforme. I social network hanno bisogno di utenti per vendere pubblicità e per tenerci connessi hanno sviluppato meccanismi che inducono dipendenza per mantenere le persone collegate. Il termine sembra forte ma basta vedere alcuni studi in materia (1), che evidenziano:
- La somiglianza tra la dipendenza da internet e altre dipendenze;
- L’attivazione delle stesse aree cerebrali collegate a una dipendenza in pazienti diagnosticati;
- La presenza degli stessi pattern nel rilascio di dopamina.
Senza contare il numero di danni osservati (2) tra cui impatto sullo sviluppo comportamentale, aumento delle tendenze suicide, difficoltà nella percezione della realtà e distinzione tra informazione e teorie cospirazionistiche, aumento dello stress, aumento della sensazione di solitudine e riduzione dell’empatia.
L’impatto dei social sulla nostra attenzione ha un profondo risvolto sociale. I social colpiscono la nostra capacità di concentrarci, la nostra immaginazione e la nostra sfera emotiva, impattando la vita sociale, il lavoro, i legami affettivi. In più, la presenza di algoritmi che modificano i contenuti sulla base delle interazioni dell’utente rende l’utente stesso l’artefice della sua dipendenza, per poi essere usato come target di inserzioni pubblicitarie. L’adattamento dei contenuti sulla base degli interessi degli utenti è una dinamica comune a tutti i media, ma il fenomeno dei social media riguarda più di 4 miliardi di persone in tutto il mondo creando quella che possiamo a tutti gli effetti definire una piaga.
Nonostante il problema sia riconosciuto e concreto, l’impatto di questi programmi è stato talmente potente (e proficuo, per alcuni) da rendere impossibile una ritirata senza pagare conseguenze in termini di visibilità, connessioni e ricavi. La potenza dei social sta soprattutto nel potere di collegare le persone e isolarsi sarebbe una soluzione monca, che limita il potenziale dell’individuo nella nostra società.
Per quanto auspicabile non esiste una soluzione semplice. Pensiamo al like, uno strumento immediato ma talmente potente da aver spinto Instagram a nasconderne il numero e il suo creatore a fare campagna contro i social. È difficile pensare che qualcuno possa vietarne l’utilizzo, come è altrettanto ingenuo pensare che la sua eliminazione sia la soluzione ai problemi di internet.
Come affrontare i social
La prima soluzione deve essere di natura culturale. I social sono utili, ma vanno adoperati con la piena consapevolezza dei loro problemi. È necessario creare una conoscenza diffusa del problema, affrontare la depauperazione della nostra attenzione e riportarci a una dimensione più fisica e collettiva di società. Bisogna anche tenere presente che la necessità di distanziarsi e isolarsi per colpa del COVID-19 non sta aiutando e che sarà necessario considerare il problema da un punto di vista sanitario e psicologico.
Un secondo passo deve essere un maggiore intervento legislativo. Dopo l’attacco del 6 gennaio al Congresso degli Stati Uniti e la serie di interrogazioni ai capi di Facebook, Google e Twitter, abbiamo visto come le istituzioni possano mettere sotto pressione le grandi compagnie informatiche. Interrogare non basta, abbiamo bisogno di soluzioni profonde e sostenibili, con norme che affrontino il problema tenendo in considerazione:
- La complessità del problema, senza caricare la responsabilità sui singoli utenti. L’ultima grande normativa sulla tecnologia è il regolamento sulla privacy approvato in Unione Europea, la GDPR, che ha introdotto soluzioni come i consensi sui cookies o la possibilità di leggere normative sulla privacy. Queste norme avrebbero senso se la materia non fosse così complessa: molti utenti accettano cookies di qualsiasi tipo, fino a concedere la possibilità di seguire le proprie attività in ogni momento in cui usi il pc. Chiedere a un utente di effettuare una scelta su una materia così tecnica è sbagliato e dannoso, perché sgrava le compagnie di ogni responsabilità e apre la porta a comportamenti scorretti;
- La responsabilità delle piattaforme e la necessità di valutare gli impatti delle tecnologie usate. Non possiamo aspettarci un controllo legislativo ogni volta che viene implementata una nuova tecnologia, serve che le piattaforme si facciano carico delle loro invenzioni ed illustrino potenziali impatti negativi dei loro software. Le grandi compagnie già dispongono di uffici, comitati e codici di condotta etici per la valutazione delle loro tecnologie e hanno risorse sufficienti per farsi carico della loro analisi. Una normativa che ufficializzi queste procedure e renda pubbliche le valutazioni con accesso diffuso al pubblico permetterebbe una maggiore trasparenza e un intervento più facile da parte delle autorità di controllo;
- L’importanza dell’individuo prima dell’interesse delle compagnie. Il dialogo con i proprietari e i creatori delle piattaforme è fondamentale per non limitare la crescita tecnologica, ma le pressioni delle compagnie a tutela dei loro profitti non possono bloccare una soluzione.
La missione deve essere quella di creare una tecnologia a misura d’uomo che non ne sfrutti le debolezze nella ricerca del profitto. Negli ultimi anni abbiamo visto lo scandalo Cambridge Analytica, la disinformazione dilagante e la diffusione dell’odio online. Abbiamo segnali sempre più importanti di un sistema fuori controllo e ogni esitazione nell’intervenire porta danni sempre più visibili alla nostra salute mentale, allo sviluppo delle nuove generazioni e alla nostra società.
Questi moniti non sono attacchi indiscriminati contro la tecnologia. Per me sarebbe impossibile tornare all’aratro quando vivo di programmazione, e non è possibile rinunciare a tutti i cambiamenti che ha portato internet. Non sarebbe solo dannoso, ma sarebbe crudele per tutte le persone che per professione o per difficoltà personali dipendono da internet. D’altro canto, bisogna contrastare il fenomeno dell’abuso dell’attenzione e i suoi danni.
Serve dunque intervento legislativo e negli ultimi anni sono nati movimenti importanti contro l’abuso dell’attenzione come il “center for human technology” che coinvolgono esperti di etica ed IT. Tuttavia, un primo passo possiamo farlo noi utenti. Siate più analogici, aprite meno i social e usateli in modo più produttivo.
E se siete dei pericolosi estremisti, togliete le notifiche. Vi assicuro che il vostro rapporto con il telefono migliorerà in pochi istanti