La guerra in Ucraina: giustizia per i criminali?
È passato quasi un anno dall’inizio dell’invasione in Ucraina ed è ormai evidente come questo avvenimento abbia comportato notevoli modifiche degli equilibri internazionali, dal rinnovo dell’impegno atlantico sul continente europeo – dopo anni di disimpegno – a un nuovo impulso al progetto di difesa europea, passando per la messa alla prova della partnership sino-russa fino al riaccendersi di conflitti congelati in tutto lo spazio ex sovietico.
Ma oggi non si è qui per parlare delle implicazioni di questo conflitto sul piano internazionale o a tentare di predire il futuro circa il suo esito; ci si vuole invece soffermare su un tema che, pur venendo accennato da politici e commentatori, non è mai approfondito adeguatamente: la possibilità di perseguire penalmente i responsabili dei crimini perpetrati nel conflitto russo – ucraino per mezzo di un tribunale internazionale.
Non è la prima volta che la Russia viola il diritto internazionale e, con esso, quello umanitario: l’annessione della Crimea nel 2014 rappresenta una violazione della proibizione dell’uso della forza sancita all’articolo 2(4) della Carta della Nazioni Unite, così come il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Doneck e Lugansk costituisce una mancata osservanza del principio di sovranità territoriale e di non ingerenza negli affari interni; entrambi sanciti nello Statuto dell’ONU. Secondo le Nazioni Unite, la Federazione Russa sarebbe stata responsabile, a partire dal 2014, di numerose violazioni dei diritti umani tra cui: tortura, detenzione arbitraria, sparizioni forzate e la persecuzione di minoranze con l’oppressione dei Tartari di Crimea.
Il diritto umanitario da Ginevra a oggi
Prima di analizzare il caso nello specifico è bene definire correttamente il funzionamento del diritto umanitario, cioè quello a cui si fa riferimento in situazioni di conflitto armato, le sue applicazioni e i suoi numerosi limiti.
Tutti hanno una certa familiarità con le quattro Convenzioni di Ginevra del 1948, le quali stilano i principali limiti all’uso della forza da parte degli stati coinvolti in conflitti armati o di soggetti che prendono parte ad un conflitto non internazionale; tra cui le insurrezioni contro un governo.
Le violazioni più gravi di questi principi possono essere categorizzate come crimini internazionali e i responsabili possono essere appunto perseguiti da un tribunale penale internazionale – a volte istituiti ad hoc, come nel caso della Jugoslavia – o facendo più generalmente riferimento alla Corte Penale Internazionale.
La Corte, essendo un tribunale penale internazionale, ha la peculiarità di poter perseguire singoli individui, che non sono solitamente considerati soggetti del diritto internazionale, dove, invece, i principali protagonisti sono gli Stati. La Corte Internazionale di Giustizia, ad esempio, si occupa esclusivamente di risolvere le controversie tra stati, mentre la competenza di processare gli individui è lasciata ai singoli paesi.
Anche nel caso dei tribunali penali internazionali la priorità di processare è lasciata agli Stati, ma se questi non sono in grado o non hanno intenzione di perseguire l’indagato allora si fa riferimento a tali tribunali.
Tuttavia, considerando la situazione interna alla Federazione Russa e le scarse possibilità di un cambio di regime, non ci si può affidare alla giustizia interna di Mosca per punire eventuali crimini di guerra, soprattutto perché lo stesso Putin si è mostrato d’accordo, o quantomeno tacitamente collaborativo, con le azioni compiute in questo conflitto: ne consegue che l’unica opzione più concretamente percorribile, in questo senso, sia quella di affidarsi alla Corte Penale Internazionale.
La Russia: uno stato non perseguibile
Al giorno d’oggi, disponiamo di numerose testimonianze riferite sia da missioni di organizzazioni intergovernative sia da singoli Stati riguardanti diverse violazioni del diritto umanitario: si parla di bombardamenti indiscriminati su aree densamente popolate, attacchi su civili, uso dello stupro come arma di guerra, torture, utilizzo di scudi umani, deportazioni e saccheggi; arrivando persino all’accusa di genocidio. Attualmente, i dati a disposizione parlano di più di 7000 morti, di cui oltre 400 minorenni, e undicimila feriti.
Sulla base di queste testimonianze Karim Ahmad Khan, procuratore della Corte Penale Internazionale, ha avviato un’investigazione sulla situazione in Ucraina, in seguito alla richiesta di 39 Stati membri della Corte di individuare l’eventuale presenza di crimini contro l’umanità.
In ogni caso, è necessario evidenziare come l’operato della Corte rimanga fortemente limitato sul piano internazionale, dal momento che la sua giurisdizione si limita agli stati ratificanti lo Statuto di Roma – accordo base della sua istituzione – e che, per questo motivo, può perseguire solo tali stati e i crimini perpetrati nei loro territori.
La Russia, però, non ha ratificato lo Statuto di Roma, e quindi la giurisdizione della Corte non si estende sul territorio o sui cittadini russi. D’altro canto, anche l’Ucraina non è firmataria di tale statuto, e risulterebbe quindi lecito chiedersi come sia possibile che la Corte abbia avviato un’indagine sui crimini di guerra commessi da un paese non ratificante il trattato; crimini oltretutto avvenuti in una nazione anch’essa fuori dai paesi firmatari.
Questo perché l’Ucraina, nel novembre 2013, appena prima dell’annessione russa della Crimea e dell’insurrezione delle forze separatiste in Donbass, firmò due dichiarazioni con le le quali accettava la giurisdizione della Corte – pur non ratificando lo Statuto in sè – e permetteva a quest’ultima di indagare sui crimini perpetrati in territorio nazionale a partire dal 21 dello stesso mese fino a data indeterminata: sulla base di ciò, il procuratore ha quindi potuto avviare un’indagine su fatti avvenuti entro i confini ucraini, nonostante essa, come già detto, non sia stato membro della Corte.
Quali gli strumenti a disposizione?
Di fronte a tutte queste premesse, sorge spontanea una domanda: alla fine di questo conflitto, sarà possibile processare i criminali di guerra russi? Per avere gli esiti di processi istituiti dalla Corte, in presenza o meno del processato, si potrebbe necessitare anche di diversi anni – lo stesso sta avvenendo per i procedimenti connessi all’ex Jugoslavia, tutt’oggi in corso – ma un mandato d’arresto sarebbe comunque difficile da imporre considerando i limiti giuridici della Corte stessa. Di sicuro, generali, funzionari e politici russi ritenuti colpevoli sarebbero sottoposti a forti limitazioni al proprio movimento; infatti, pur non potendo andare direttamente in Russia a prelevare i responsabili, ogni stato membro della Corte Penale Internazionale – 123 in tutto – sarebbe obbligato ad arrestare i responsabili non appena mettessero piede sui loro territori. Anche i soggetti solitamente protetti da immunità personale, come i capi di stato e di governo – tra i quali Putin -, non sarebbero coperti da tale immunità contro un mandato d’arresto della Corte, attraverso cui essa può essere derogata. Con la dovuta volontà politica ci si potrebbe spingere oltre, basandosi su un precedente applicato in Jugoslavia, attraverso il mantenimento di sanzioni particolarmente soffocanti fino alla consegna dei responsabili. Tutto questo, però, rimane soggetto a forti influenze in base a come si evolverà la guerra e dai suoi esiti: una Russia collaborativa potrebbe facilitare notevolmente i lavori, anche senza far parte del Trattato di Roma ma accettando comunque la giurisdizione della Corte. Nella situazione attuale la strada della Corte Penale Internazionale rimane la più plausibile, con tutte le sue difficoltà e limiti: questo non per delegittimare il diritto internazionale, ma per far comprendere la complessità di far rispettare un regime giuridico in una “società” anarchica e acefala come quella degli stati, specialmente in una situazione di conflitto dove gli incentivi a collaborare si riducono pressoché allo zero.