di Nicolò Radice e Lys Cortese
Che vento tira a Helsinki e Stoccolma?
Prima la Svezia, poi la Finlandia, chissà, forse tra poco la Norvegia: nei paesi scandinavi sta succedendo qualcosa di strano: la destra vince le elezioni. Nei paesi dove i socialdemocratici governa(va)no ininterrottamente da anni, i partiti di destra crescono sempre di più, arrivando primi e formando nuove coalizioni di governo. Cosa sta succedendo nella scena politica di questi paesi e perché fa vincere i conservatori?
La Svezia
Lo scorso undici settembre si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Riksdag, il parlamento svedese, e il risultato più significativo è l’exploit dell’estrema destra: i democratici svedesi, diretti discendenti dei neonazisti svedesi, hanno ottenuto il 20% dei voti e sono il primo partito della coalizione di centro – destra. Si parla di una forza politica rimasta da sempre ai margini delle competizioni elettorali e che in pochissimi anni riesce ad assumere il controllo del paese. Che cosa li ha fatti vincere? L’immigrazione? La criminalità? Il nostalgismo forse? O tutte e tre le cose? Per dirlo, bisogna prima fare un passo indietro.
Uno prototipo in crisi
Lo stato sociale svedese ha funzionato per moltissimo tempo, diventando un modello per l’Europa e il mondo intero. Un sistema quasi completamente sovvenzionato dal fisco e in grado di garantire Che per chiunque un welfare a trecentosessanta gradi. Le cose, però, iniziano a cambiare quando le nuove riforme economiche non ottengono gli effetti sperati e il calo della natalità si fa minaccioso: si punta a una parziale privatizzazione del welfare, che, nonostante i tratti di miglioramento, finisce per non bastare. A dare un duro colpo alle casse dello stato, infatti, è la crisi finanziaria del 2008, che in poco tempo comporta il fallimento di numerose imprese, l’aumento dei disoccupati e una conseguente riduzione del gettito fiscale. Tutto è ancora facilmente recuperabile, se non fosse che la crisi migratoria arriva proprio adesso: la capacità di gestire la ricollocazione viene meno, comportando la nascita dei primi ghetti urbani, e le difficoltà a garantire il controllo, la scolarizzazione e l’integrazione di intere comunità influiscono anche sulla condotta sociale. Viene quindi messo a dura prova il buon proposito di un paese che, abituato per decenni alla prosperità, sta entrando in crisi: si rafforzano i sentimenti xenofobi e circolano dati su una criminalità in progressivo aumento: mentre per 21 stati europei le morti per arma da fuoco scendono, qua salgono. Non importa di chi sia la colpa, basta trovare un responsabile e il non – svedese diventa il perfetto capro espiatorio: i partiti di estrema destra soffiano sul fuoco, letteralmente, e quanto crescono le gang criminali tanto più aumenta l’odio verso lo straniero. Il mito svedese sta scricchiolando e perfino i socialdemocratici ammettono che qualche errore devono pur averlo fatto: assieme ai verdi non capiscono come una politica liberale sull’immigrazione abbia portato all’aumento della criminalità, ma, nel dicembre del 2021, la Prima ministra Magdalena Andersson è costretta a esporsi pubblicamente e ammettere che sì, una relazione tra politica di accoglienza – mal gestita, sia chiaro, non sbagliata – e aumento della criminalità c’è eccome. Bisogna cambiare strategia: il principio dello stato sociale si fonda sul fatto che il benessere scaturisce dall’uguaglianza e, se si mira a maggior coordinamento, maggior istruzione e maggior sostegno, si può risolvere il problema. Il welfare svedese, però, ha perso la sua capacità di creare uguaglianza: la corruzione dilaga, i flussi migratori non diminuiscono, le gang criminali continuano a spararsi nelle grandi città e mantenere la linea dell’accoglienza, con i Democratici svedesi pronti a stappare la bottiglia, si fa sempre più dura. I Socialdemocratici, allora, si fanno propensi a un approccio più duro, ma è troppo tardi: le elezioni ci sono state, i DS hanno cavalcato l’onda della paura e vincono: la bottiglia l’hanno già stappata.
La Finlandia
Diverso è il discorso da fare per la Finlandia: la recente campagna elettorale, infatti, si è incentrata su temi come la mancanza di manodopera, l’immigrazione e il contenimento delle spese pubbliche, sempre più centrali nel dibattito politico del paese. Quest’ultimo, non a caso, ha un disperato bisogno di lavoratori formati – la cui mancanza, nel 2019, ha causato la perdita di 65 mila posti di lavoro – e ora, con una popolazione inferiore ai sei milioni di abitanti, si trova a fronteggiare un tasso di 200.000 disoccupati. Assieme a un debito pubblico pari al 70% del Pil e un’inflazione dell’8,8%, la situazione ha cominciato a farsi complicata e il governo Marin, con una spesa pubblica da dieci miliardi di debiti l’anno, non ha certo migliorato la situazione. Del resto, si parla dello stesso paese che era contrario al piano europeo di ripresa economica: troppi debiti non vanno bene, nemmeno se in casa propria. Di conseguenza, anche se i socialdemocratici hanno comunque ottenuto più voti rispetto alle scorse elezioni, i suoi alleati sono calati notevolmente: tutti i partiti della coalizione hanno perso numerosi consensi, senza ottenere un numero di parlamentari tale da garantire alla premier un secondo mandato. Per citare qualche numero, mentre le forze di maggioranza hanno visto una contrazione di diciannove seggi – trattandosi di un parlamento che, per inciso, ha soli duecento posti – dall’altro lato, i Conservatori di Orpo ne hanno guadagnati dieci, mentre i Veri Finlandesi di Purra, se ne sono conquistati ben altri sette. Quando così tanti seggi passano alle (ex) forze di opposizione è quasi impossibile riuscire a controbilanciare da soli e difatti l’SDP non ci è riuscita: tre seggi sono ben poco se ne rimangono altri sedici da recuperare. Quelli che per alcuni sono stati i veri errori della premier, però, sono altri: escludendo che si sarebbe alleata con i sovranisti, ha rotto una tradizione di larghissime intese che avrebbe reso complicata la permanenza dei Socialdemocratici al governo; contando poi che con Orpo difficilmente si poteva stare se, da vero statalista, avrebbe continuato a invocare sei miliardi di tagli. Ma la cosa paradossale è che l’SDP non è per giovani: nonostante la sua leader sia stata la capa di governo più giovane al mondo, solo tre anni fa risultava che nel partito ci fossero più ultranovantenni che under 35; tra i quali, appunto, non è affatto popolare se si parla di voti. Se Sanna Marin non è riuscita a spuntarla per un secondo mandato, il motivo è molto semplice: tutti, sentendo i suoi comizi, si rendono conto che i discorsi della giovane leader non sono altro che la cartolina idilliaca di un passato che gli ultimi quindici anni di storia sono facilmente riusciti a cancellare: parlare di stato sociale nel 2023 è qualcosa che nemmeno in Finlandia si può più fare e, mentre i socialdemocratici si vedono terzi alle elezioni di un mondo che non c’è più – con una leader che, eppure, aveva acquisito tanta popolarità – l’opposizione stappa la bottiglia anche a Helsinki.
La Norvegia
Tutt’altra storia è invece per la Norvegia che, rispetto ai suoi cugini svedesi e finlandesi, ha visto un rialzo dei partiti centristi e socialisti nelle scorse elezioni del 2021: Dovete sapere che per otto anni avevano guidato il paese i conservatori (Høyre) anche alleandosi con il Partito del progresso (Fremskrittspartiet), partito più a destra. Ma poi nel 2021 c’è stato un calo considerevole di entrambi i partiti favorendo il partito di centro (Senterpartiet) che ha fatto poi alleanza con il Partito laburista (Arbeidarpartiet). La vittoria alle elezioni del 2021 non è stata data da un aumento per il partito laburista che anzi nel 2017 era al 27%, nel 2021 invece al 26%, ma dalla crescita di partiti socialisti e ambientalisti minori. Questo è un risultato interessante paragonato agli altri due paesi scandinavi però dobbiamo tenere a mente due differenze peculiari. La prima è che la Norvegia non fa parte dell’UE e questo le concede un’autonomia maggiore su diverse tematiche tra cui l’immigrazione, anche se le scelte politiche fatte negli ultimi anni andavano di pari passo a quelle svedesi e finlandesi. La seconda è che non bisogna affidarsi ai pregiudizi politici ma dobbiamo sempre tenere uno spirito critico, prendere le notizie con le pinze appunto. Da società a società possiamo trovare forti divergenze e a volte degli elementi che non ci aspetteremmo. Ad esempio, che il partito dei conservatori è aperto al mercato globale, le unioni civili compresa la possibilità di adozioni per le coppie omosessuali ed è da sempre favorevole all’adesione dell’Unione Europea nonostante negli ultimi due referendum abbia sempre vinto il no. Per quanto riguarda invece il Partito del Progresso, esso ha sì chiesto maggiori controlli ai confini per quanto riguarda i migranti che avrebbero potuto infettare i propri cittadini, però non si è mai abbassata per supportare negazionisti o membri dei movimenti anti – vaccini, o come li chiamiamo noi i noVax.
Che cosa aspettarsi
Ora che i paesi scandinavi non sono più un baluardo socialdemocratico, sono cambiate le carte in tavola. Fare pronostici è difficile, ma quello che bisogna aspettarsi sarà un irrigidimento di questi paesi in materia di economia e immigrazione, così come su molte questioni comunitarie. Difficile, infatti, che a Bruxelles si facciano sonni tranquilli quando, nel giro di pochi giorni, la destra euroscettica si prende la Scandinavia: il tavolo delle trattative si fa più duro e già si pensa a come sarà il rinnovo del Parlamento europeo.