di Gabriele Foi, Nicolò Radice, Manuele Oliveri
Introduzione: cos’è successo?
A cavallo tra le giornate del 23 e 24 giugno, la Russia si è trovata sull’orlo di un colpo di stato. La brigata militare privata Wagner, guidata dal suo leader Yevgeny Prigozhin ha lanciato un’avanzata verso la capitale che si è arrestata solo a 200 km dalla stessa, grazie a una fumosa mediazione condotta dal presidente bielorusso Lukashenko.
L’assalto ai centri di potere russi, attentamente documentato sui canali Telegram legati alla Brigata Wagner, è partito nella giornata del 23, quando i miliziani, fino a quel momento schierati nell’est dell’Ucraina, hanno lasciato le proprie posizioni in polemica con la leadership militare russa, muovendo verso Rostov-sul-Don, città della Russia sud-occidentale ove si trova il quartier generale dell’esercito per quanto riguarda l’area meridionale del paese. L’occupazione della città ha avuto un fortissimo clamore sia in Russia che all’estero e, proprio dal quartier generale sito nella città, Prigozhin ha annunciato la sua intenzione di muovere verso Mosca per ottenere un cambio nel governo del paese. Inizialmente, gli attacchi sono stati rivolti alla leadership militare, ma dopo una dura apparizione televisiva di Vladimir Putin, che ha definito “traditori” i brigatisti, annunciando la volontà di contrastare duramente l’azione, anche il presidente ha iniziato a essere menzionato nei comunicati della Brigata, che ha affermato il progetto di “sostituire” il presidente.
Lungo i 1.517 km dell’autostrada M4 Don, che collega Rostov-sul-Don e Mosca, la colonna dei mezzi militari della Brigata Wagner è stata brevemente ingaggiata dai mezzi aerei dell’esercito regolare, in uno scontro che ha visto la distruzione di 4 elicotteri, 1 aereo e la morte di 13 soldati dell’esercito. Di fronte a questa avanzata che pareva inarrestabile, le forze dell’ordine (prevalentemente la Polizia) hanno iniziato a scavare trincee alle porte di Mosca, deviando ponti mobili e preparando postazioni di difesa per difendersi dall’attacco della Brigata.
All’improvviso, quando in Italia erano circa le 19 del 24 giugno, l’avanzata della Brigata si è fermata, e le agenzie di stampa hanno riportato che una soluzione di compromesso era stata trovata grazie alla mediazione della Bielorussia, paese nel quale la brigata sarebbe riparata, ufficialmente, stando a quanto dichiarato da Prigozhin stesso, per evitare spargimenti di sangue. Come qualsiasi colpo di stato tanti aspetti rimangono oscuri e non saranno probabilmente svelati per anni. In questo articolo cercheremo però di ricostruire i fatti, le cause e le conseguenze di questa azione, capendo come influenzeranno il nostro paese, l’Unione Europea e la geopolitica internazionale.
Che cos’è la Wagner e chi la comanda?
Fondata nel 2013 come agenzia militare privata, Wagner è de facto l’estensione degli organi e degli apparati di sicurezza russi. L’ottanta per cento dei suoi soldati sono ex carcerati, mentre la restante parte è composta da mercenari, tutti addestrati in due basi militari nel paese. Quest’ultima, peraltro, ha il suo quartier generale vicino la base del GRU, i servizi segreti russi, lasciando presagire un legame tra il gruppo paramilitare e l’intelligence nazionale. Conta in tutto cinquantamila uomini, schierati in oltre trenta paesi del mondo, tra cui Ucraina, Siria, Libia, Mali e Repubblica Centrafricana: paesi in cui (sorpresa!) la Russia ha forti interessi da tutelare.
Dietro l’organizzazione si trova lo “chef” di Putin, Evgenij Prigozhin: arrestato negli anni ottanta per rapina a mano armata, ha lavorato come venditore ambulante a San Pietroburgo per poi aprire uno dei ristoranti più amati dall’élite russa, il New Island. Proprio qui conobbe Putin, quando il presidente russo era ancora il braccio destro del sindaco della città, Anatolij Sobčak. Finì, quindi, per diventare capo del settore catering del Cremlino, cominciando una scalata a dir poco fulminea: attualmente, infatti, Prigozhin possiede aziende nel settore audiovisivo, minerario, di consulenza e militare, divenendo uno degli oligarchi più potenti di tutta la Federazione Russa. L’aspetto più interessante, però, è che a differenza degli altri magnati russi nessuna di queste imprese si trova sotto il controllo statale: in altre parole, qualsiasi cosa Prigozhin possa fare con le società che possiede, il governo russo non ne sarebbe in alcun modo coinvolto.
L’ex cuoco dello Zar, paradossalmente, ha anche numerosi nemici negli alti circoli militari come Shoigu, l’attuale ministro della Difesa, e Gerasimov, capo dello Stato maggiore delle Forze armate russe: più volte il capo della Wagner ha accusato i vertici dell’esercito di non inviare le armi necessarie ai propri uomini sul fronte, così come di aver dato l’ordine di sparare ai suoi soldati. È bene ricordare, infatti, che nonostante Prigozhin si vanti di comandare efficientemente un “esercito nell’esercito”, quest’ultimo dipende fortemente dalle forniture esterne: si stima che la spesa mensile per il mantenimento della Wagner si aggiri attorno ai novanta milioni di euro, destinati sia alla paga dei mercenari sia al rifornimento di armi.
Qual è, però, la percezione che si ha in Russia di questo gruppo? Pur essendo stata ignorata per molti anni – causa la censura del governo e i no comment sui presunti legami con l’agenzia militare – Wagner è ora amatissima: dopo i combattimenti a Bakhmut, i cittadini considerano i suoi uomini veri propri patrioti, soldati che combattono per la madrepatria e che, dopo quello che si può definire il colpo di stato più finto della storia, si è contrapposta ai brutti e corrotti oligarchi – detestati in tutto il paese. Nonostante la visione idilliaca che si possa avere di loro (in un paese, lo ricordiamo, dove ogni notizia e informazione viene distorta a favore del regime attuale), il gruppo Wagner è attualmente accusato di crimini di guerra in quasi tutti i paesi dove ha operato. Il fatto che nessuno dei mercenari sia stato realmente incriminato o processato non dovrebbe destare stupore, siccome non solo la Russia non riconosce la giurisdizione della Corte penale internazionale, ma si guarda che dall’estradare i suoi cittadini quando accusati da un altro paese.
Sebbene alcuni esponenti del gruppo siano stati sanzionati o siano tuttora ricercati dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, che l’hanno definita “un’organizzazione criminale transnazionale”, andare a capire quante persone abbiano effettivamente un ruolo all’interno della Wagner non è semplice, tanto meno impedire che agisca in paesi dove le forze occidentali – si veda l’Africa Subsahariana – hanno fallito nel garantire la stabilità e i governi centrali sono costretti a ricorrere a forze altrui per mantenere il controllo sui propri territori.
Come si arriva ad un colpo di stato?
Per capire come si sia arrivati ai fatti del 24 giugno bisogna tenere a mente che la politica russa vive di dinamiche molto differenti rispetto a quella che conosciamo. Pur essendo sulla carta uno stato che tiene elezioni regolari, è evidente la natura monopolistica della nazione russa: il potere è concentrato nel Presidente e in una ristretta cerchia di collaboratori ad egli vicini: tra le figure più rilevanti nel paese si contano Sergej Shoigu, Ministro della Difesa, Sergej Lavrov, Ministro degli Esteri, e Dmitrij Medvedev, Vicepresidente del Consiglio di Sicurezza, e per lunghi anni secondo di Putin.
Proprio una di queste figure, il Ministro della Difesa Shoigu, ha ricevuto più volte attacchi e minacce da parte di Prigozhin nei mesi precedenti al tentato colpo di stato: il rapporto tra il Ministero della Difesa, a capo dell’esercito regolare, e la Brigata Wagner è sempre stato molto complesso nell’ambito della guerra in Ucraina. Trattandosi di una milizia privata, la Wagner non risponde infatti direttamente al Ministero, e più volte nei primi giorni della Guerra in Ucraina sono stati segnalati piccoli scontri tra soldati delle forze regolari e miliziani nelle zone occupate. Questo braccio di ferro nasce dal desiderio del Ministero della Difesa di “inglobare” la Brigata Wagner nelle proprie fila, mentre quest’ultima ambiva a mantenere ed espandere la propria indipendenza dallo stato.
La Brigata Wagner ha rappresentato per diversi mesi un elemento fondamentale per lo sforzo russo in Ucraina, rappresentando il perno fondamentale della Battaglia di Bakhmut, unica zona del fronte ove le forze russe sono avanzate nel corso dell’inverno, a costo di perdite umane elevatissime che l’esercito regolare ha “appaltato” alla milizia privata. Questo ruolo centrale acquisito al fronte ha reso progressivamente più importante il ruolo di Prigozhin all’interno delle dinamiche di potere russe (dove, come in qualsiasi dittatura, potere militare e potere politico hanno un legame molto stretto): per settimane questi è stato l’unico all’interno della leadership militare del paese a potersi permettere di criticare esplicitamente la condotta dell’invasione in Ucraina, attaccando in particolare il Ministro della Difesa, accusato di non rifornire adeguatamente le forze della Brigata, costrette a risparmiare artiglieria, munizioni ed equipaggiamento.
Negli ultimi giorni prima dell’avanzata su Mosca, gli attacchi di Prigozhin, trasmessi prevalentemente tramite video sui canali Telegram della Brigata, si sono fatti progressivamente più espliciti, arrivando a nominare sempre più figure della leadership militare (senza però mai chiamare in causa Putin stesso), e criticando in maniera sempre più aspra gli errori commessi nell’organizzazione della guerra. Questo fino a che, nella notte del 23 giugno, un presunto bombardamento di artiglieria sarebbe stato lanciato dalle forze dell’esercito regolare contro le posizioni della Brigata Wagner in Donbass. Naturalmente non ci sono state conferme indipendenti di questo fatto, e le intelligence occidentali ritengono che il colpo di stato fosse già pianificato da mesi, ma stando a quanto comunicato dalla Brigata sarebbe stato questo il momento in cui si è deciso di procedere con l’attacco a Rostov-sul-Don prima e a Mosca poi.
Elemento che è emerso da questa vicenda è qualcosa di molto preoccupante per l’attuale amministrazione russa. Un detto recita: “la cosa che i dittatori temono di più è un’alternativa”, e per la prima volta in oltre vent’anni di potere Putin ha visto avanzare una credibile alternativa al proprio potere verso la capitale. Prigozhin è stato per anni uno dei più vicini a Putin, e il suo tradimento rappresenta, per il Presidente, un colpo durissimo non solo militare ma anche politico. Le sconfitte subite nell’Invasione dell’Ucraina e le sanzioni occidentali hanno compromesso in modo importante la credibilità russa all’estero e la sua situazione economica, per la prima volta nell’élite del paese sembrerebbe iniziare a serpeggiare un sentimento di insoddisfazione nei confronti di Putin: retroscena giornalistici più o meno affidabili parlano di tensioni all’interno del FSB, i servizi segreti russi, e l’arresto del generale Sergei Surovikin, già capo delle operazioni militari in Ucraina, accusato di essere stato coinvolto nel tentato golpe, è una chiara dimostrazione dell’aria di sospetto e sfiducia che si respirano in questo momento al Cremlino. I fedelissimi di Putin sono sempre meno, e la presa del Presidente sulla Russia sembra progressivamente sempre più debole.
La reazione occidentale e la mossa ucraina
La “guerra civile” tra Prigozhin e Putin colpisce di sorpresa l’UE e la NATO. Le due alleanze, fin dalle prime dichiarazioni, ribadiscono il sostegno totale verso l’Ucraina e la necessità di analizzare ciò che sta succedendo in Russia, poiché è segno di una politica instabile e di una forte tensione che può avere conseguenze non solo sulla guerra in Ucraina, ma sull’intera Europa.
La NATO, temendo un’escalation dell’instabilità politica portata dalla guerra civile, decide di intensificare le truppe negli stati confinanti con la Russia – Paesi Baltici, Finlandia e Polonia. Gli Stati Uniti inviano oltre 3.000 soldati in Polonia, Romania, Bulgaria e nei Paesi Baltici, in aggiunta alle 4.500 forze statunitensi già presenti negli stessi territori, mentre il Regno Unito supporta carri armati e missili di grande gittata.
D’altra parte, l’Unione Europea, dopo un’approfondita analisi della situazione, impone nuove sanzioni economiche alla Russia in risposta alla “guerra civile” tra Prigozhin e Putin. Le nuove sanzioni mirano a interrompere il flusso di denaro e risorse che finanziano la campagna militare di Prigozhin, nella speranza di spingere le parti coinvolte nel conflitto al tavolo dei negoziati. Come parte delle sanzioni, l’UE congela i beni di Prigozhin e dei suoi alleati e vieta ai cittadini e alle società europee di fare affari con loro. Interrompe anche la cooperazione economica e scientifica con la Russia in settori chiave come l’energia, la tecnologia spaziale e la difesa. Queste misure possono avere un impatto significativo sull’economia russa, che ha già subito molti colpi.
Dall’altro lato, è l’Ucraina a muoversi in velocità per approfittare della crisi interna russa. In questi mesi, Prigozhin, noto anche come “lo chef di Putin“, guida le forze filo-russe nel Donbass, rendendo la vita impossibile alle forze ucraine. La sua influenza politica e militare nella regione è determinante per il controllo russo del territorio. Non è difficile capire quanto sia strategico per l’Ucraina approfittare della vacanza a Minsk di Prigozhin, lanciando attacchi aerei e di artiglieria pesante contro le postazioni filo-russe.
Allo stesso tempo, le forze speciali ucraine conducono raid notturni contro i comandanti locali, distruggendo le loro linee di rifornimento e comunicazione. In poche settimane, l’Ucraina riconquista porzioni del territorio occupato, costringendo la Russia a inviare rinforzi per evitare ulteriori avanzate.
La mossa dell’Ucraina è audace ma calcolata. Approfittando dell’assenza del nemico più potente, Prigozhin, riesce a ottenere guadagni territoriali che sembravano impossibili solo pochi mesi fa. In questa settimana si registrano continui attacchi da parte dell’Ucraina in tutti gli oblast, nelle città più importanti sia strategicamente che simbolicamente, come Bakhmut, prendendo anche delle vittorie tra le più importanti, come le città di Vodiane, Opytne e Zalizne, collegate alle strade più importanti nell’oblast di Donetsk, diminuendo i possibili rifornimenti dei ribelli. L’esercito ucraino compie di recente progressi significativi nell’oblast’ di Luhansk, conquistando diverse città chiave, tra cui Popasna, Lysychansk e Severodonetsk. Queste vittorie interrompono le linee di rifornimento dei separatisti sostenuti dai russi nell’oblast’. Dopo anni di stallo, l’Ucraina ha ora il sopravvento nel conflitto, e queste vittorie migliorano il morale delle truppe ucraine, che vedono finalmente una possibilità di vittoria.
La determinazione dell’Ucraina nel riprendersi i propri territori non può che intensificarsi in futuro.
Allora, sembra che l’Ucraina abbia colto l’occasione per provare a riprendere il controllo del Donbass. Con Prigozhin e le sue truppe private impegnate a sedare la ribellione a Mosca, l’esercito ucraino ha lanciato un’offensiva su vasta scala in entrambe le regioni occupate. Chissà se Kiev riuscirà a ottenere qualche guadagno territoriale prima che Prigozhin torni a concentrarsi sull’Ucraina. In ogni caso, questa crisi in Russia ha dimostrato ancora una volta quanto sia fragile l’equilibrio di potere nella regione. E ha anche dimostrato che l’Ucraina è pronta ad approfittare di ogni opportunità per cercare di riprendere il controllo dei propri territori. Staremo a vedere se questa offensiva porterà a qualcosa di concreto o se si risolverà in un nulla di fatto, come tante volte in passato. Ma per ora, buona fortuna Ucraina! Speriamo che tu riesca a riconquistare almeno un po’ del tuo territorio. Te lo meriti