di Nicolò Radice e Giovanni Soda
Chi è Navalny, il principale oppositore di Putin?
Alexei Navalny nasce il 4 giugno 1976 a Butyn (Бутынь), Russia: il padre è ufficiale dell’esercito e il giovane Alexei vive i primi anni tra una base militare e l’altra.
La sua attività politica comincia negli anni Duemila, con l’iscrizione al partito liberale Jabloko: qui comincia a fare carriera all’interno delle sezioni provinciali, ma viene espulso nel 2007 dopo essere entrato in collisione con la dirigenza del partito, per aver partecipato, in particolare, a manifestazioni di matrice neonazista e aver più volte rilasciato dichiarazioni xenofobe.
Nello stesso anno fonda “Persone”, una forza politica che, oltre alla tutela dei russi etnici e la preservazione della cultura nazionale, propugnava un sistema giudiziario equo, l’introduzione di nuove riforme statali e norme contro la corruzione. Da questo momento inizia anche la sua attività di blogger, andando ad accusare di clientelismo personaggi influenti del panorama politico russo.
Nel 2011 prende parte alle dimostrazioni popolari contro il risultato delle elezioni parlamentari e continua la sua attività di blogger: si candida alle Comunali di Mosca del 2013, arrivando secondo, e alle presidenziali del 2018, a cui non gli sarà permesso di presentarsi per “non idoneità”.
Nel 2020 si oppone al referendum costituzionale russo, definendolo un “colpo di stato” e nell’agosto dello stesso anno subisce un tentativo di avvelenamento – per ordine, probabilmente, di alte cariche governative vicine a Vladimir Putin. Dopo essere entrato in coma e in seguito all’appello della sua organizzazione ai capi di stato occidentali, viene trasferito con urgenza in Germania, dove si riprende e viene dimesso nel giro di non poco tempo.
Una volta tornato in Russia, nel 2021, viene nuovamente arrestato con l’accusa di aver violato la condizionale nel caso Yves Rocher, in cui viene dichiarato colpevole. Nell’agosto 2023, Navalny viene condannato definitivamente a 19 anni e mezzo di carcere per aver “presumibilmente finanziato attività estremiste, incitato pubblicamente ad attività estremiste” e “riabilitato l’ideologia nazista”.
Lotta per la democrazia versus nazionalismo e xenofobia
Nonostante venga idolatrato da molti politici e organizzazioni internazionali, Navalny risulta essere una figura più complessa di quanto viene pensare. Come anticipato prima, punti come la lotta contro la corruzione o la richiesta di un equo sistema giudiziario vanno sicuramente a favore dell’oppositore russo – così come la tenacia dimostrata nel combattere il regime di Putin – ma se il suo liberalismo non comporta problemi, non vale lo stesso per le posizioni ultranazionaliste e xenofobe.
In un video della sua organizzazione risalente al 2007, vestito da dentista, dice allo schermo: “Nessuno dovrebbe essere picchiato. Tutto ciò che ci infastidisce dovrebbe essere accuratamente, ma inflessibilmente eliminato mediante la deportazione… Un dente senza radice è considerato morto!”. Quando invece, nel 2008, la Russia decise di invadere la vicina Georgia, Navalny appellò i suoi cittadini come “roditori”, dimostrandosi favorevole all’invasione del paese e chiedendo che tutti i residenti georgiani in Russia fossero espulsi. La guerra in Ucraina, inoltre, sarebbe sbagliata perché “fratricida”: portare questo paese sotto l’influenza russa, però, non è mai stato qualcosa a cui sembrasse essere contrario. D’altronde, i suoi legami con figure dell’estrema destra, di posizioni marcatamente antisemite e neonaziste, sono noti a tutti quanti.
Navalny propone un nazionalismo russo moderno e profondamente legato all’Europa, spostando il baricentro strategico russo non più in Cina ma in Occidente: la sua dottrina, tuttavia, deve essere presa con molta cautela, perché prendendo in esame le sue posizioni quest’ultime risultano notevolmente vicine a quelle delle forze politiche europee più eversive, di certo non a quelle di sinistra o quantomeno moderate.
La domanda, a questo punto, risulta spontanea: ma Navalny è buono o cattivo, sta con noi o contro di noi? Il quesito, francamente, è fin troppo semplicistico, anzi a dir poco ingenuo: non si può rispondere affermativamente o negativamente, perché significherebbe andare a leggere il panorama socio- politico russo e le dinamiche delle sue opposizioni in chiave fin troppo occidentalizzata: essere contrario alla dittatura, non significa avere posizioni progressiste su temi come l’immigrazione e l’accoglienza. Se però adesso dicessi al lettore che il caro Alexei è favorevole alla legalizzazione dei matrimoni omosessuali, lo confonderei più di quanto non lo sia adesso.
La risposta che va data a questa domanda è: sì e no, cinquanta e cinquanta, più o meno. Se la poniamo sulla lotta per la democrazia e la libertà Navalny può anche esserci compagno di merenda, se lo facciamo sui diritti LGBT riusciamo ancora a non prenderci una brutta facciata, ma su punti come la lotta al nazionalismo e la connivenza di più culture ed etnie in un unico Stato, Alexei sta dalla parte di Salvini e Le Pen. Capire questo significa rendersi conto che, fuori dal nostro comodo salotto occidentale, non è tutto bianco o nero e che esistono sfumature che per noi sono e saranno sempre incomprensibili: cercare di schierarsi completamente da una parte o con l’altra è una perdita di tempo il cui gioco non vale la candela. Navalny è eroe ed estremista di destra allo stesso tempo, punto e basta. La scelta sta tra il prendere atto delle sfaccettature apparentemente inconciliabili di questa figura o non farlo e andare a trovare un’altra persona che, rispettando per filo e per segno il nostro pensiero, verrà eletta quale nuova paladina dei diritti, perfetta e immacolata: in quel caso, un sincero “buona fortuna”.
I sogni dei liberali spiegati con i sogni dell’Europa di ieri
Nell’attuale situazione storica vi è un possibile errore in cui incappare sarebbe eccezionalmente grave. Si può provare la tentazione, alla luce dell’evoluzione del conflitto e della “naturale” penombra che i media gettano sul tema, di deprezzare e svalutare lo scoppio del conflitto in Ucraina, degradandolo da “evento radicale” a “tema d’attualità”.
In tale orizzonte erroneo si muovono svariate forze -spesso anche opposte- del convulso dibattito pubblico. Qualunque sia l’interpretazione che si dà al conflitto vi è un fatto che rimane fuori discussione: l’Europa si è fatta trovare impreparata. Come ha giustamente affermato un celebre autore, la principale causa dello spaesamento europeo è da ricercarsi in un autentico “disturbo di personalità multipla” che affetta la cultura e la politica europea, rendendo i tentativi di trovare una bussola che garantisca ordine e direzione ardui nello svolgimento e fallimentari negli esiti.
Schiacciata fra un’incoffessabile nostalgia della grandeur impériale, uno slancio conservatore a difendere la sovranità e l’asettico universalismo astratto dell’ONU, l’Europa si trova a dover fare i conti con il “nemico” russo. Questo, non è alimentato da smarrimento e nausea bensì da contraddizione cosciente e risentimento. Proveniente da una storia diversa, portatore di una cultura diversa e fautore di valutazioni diverse, il gigante russo non può che avere una considerazione differente rispetto a noi.
Le sfumature dell’affresco politico della nazione difficilmente riescono ad essere ricondotte sic et simpliciter al nostro quadro. È in questo contesto che emerge lo stupore di fronte al sostegno che l’oppositore politico, nonché (ex) idolo dei liberali, Aleksej Navalny ha offerto all’invasione dell’Ucraina e -in precedenza- della Georgia.
Affinché non si ricada nell’errore di fare dell’apertura di un nuovo capitolo della storia una semplice glossa di quello precedente, è necessario domandare a noi stessi quale sistema di aspettative e di pretese sia all’opera nel momento in cui ci scandalizziamo per il supporto che Naval’nyj riserva nei confronti delle imprese belliche della sua nazione e in che misura il suo decantato liberalismo differisca dal nostro. Nel momento in cui sgraniamo gli occhi increduli dinanzi alle posizione naval’nyj jane non sta, forse, operando in l’ingenua certezza di essere dinnanzi alla fine della storia e alla piena e completa vittoria dell’ordine liberale caratterizzata da trionfo dell’economia di mercato e dalla fede nei diritti umani?
Richiedere lo sradicamento dal proprio orizzonte costituisce una pretesa sproporzionata che risulta incapace di farsi realtà. Una decina di anni orsono, il filosofo sloveno Slavoj Zizek parlava di “capitalismo con valori asiatici” per indicare quelle forme di capitalismo che, invece di essere portatrici di democrazia e parlamentarismo, si affermano in società autoritarie e dispotiche (cfr. S. Zizek, Vivere alla fine dei tempi, Ponte delle Grazie, Milano 2011). Ebbene, non possiamo noi definire l’attività di Naval’nyj come opposizione con valori russi? Proprio come la speranza nella capacità democratizzatrice dell’economia di mercato si è rivelata infondata così fallisce l’idea che sia possibile proporsi come antitesi al leader russo in carica sacrificando il militarismo e l’imperialismo che da secoli caratterizzano la Russia in nome di una “giustizia” suppostamente sovranazionale.
Abbandonare rapidamente la fiducia nella capacità livellatrice ed armonizzatrice di una supposta unità sovranazionale è la sfida da porsi per i tempi a venire. Solo così sarà possibile comprendere il mondo nelle sue differenze e, dunque, capirne gli attriti con la speranza di poter identificare punti di contatto fra i popoli. Unicamente chiedendoci perché compiamo certe valutazioni possiamo mettere in discussione i presupposti dei nostri giudizi e prepararci a considerazioni nuove, con la speranza che esse siano in grado di renderci pronti d’innanzi ai violenti schiaffi che la storia non smette di scagliare.