Introduzione: l’avvicinarsi del quarto congresso nazionale dei Giovani Democratici avviene in un contesto di profonda crisi su livelli differenti (dal governo nazionale, alla politica estera, all’economia fino alla tematica ambientale). Per gettare una luce e fornire una bussola nel mare dei tempi difficili abbiamo intervistato Gianni Cuperlo, ultimo segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) dal 1988 al 1990 e primo segretario della neonata Sinistra Giovanile (antenata dei GD), dal 1991 al 1992
GD: Ciao Gianni, innanzitutto grazie per aver accettato l’invito, è un piacere averti qui con noi oggi. La prima domanda che vorremmo farti è che ruolo riusciva a ritagliarsi la giovanile, la FGCI, all’interno del PCI?
Cuperlo: È una storia lunga che si sviluppa attraverso generazioni diverse e stagioni politiche diverse. Il primo punto è sul linguaggio, per noi era quasi irrispettosa la definizione “giovanile”, negli anni in cui io mi sono dedicato con passione a quella esperienza una delle note che rivendicavamo era l’autonomia dal partito. L’espressione “la giovanile del partito” ci sembrava parziale, noi volevamo essere un’associazione di giovani comunisti -che si identificavano nell’ideale- ma che mantenevano un’indipendenza dal partito ed esprimevano critiche quando questo ci sembrava giusto. Tematiche come il servizio di leva obbligatorio, il nucleare e le battaglie pacifiste. Approfitto per dirvi una cosa: seguo con rispetto e distacco la vostra discussione e mi stupisce sempre che siate disponibili e rivendichiate da parte del partito la necessità di stabilire un regolamento del vostro congresso.Se posso dirvelo con grande sincerità, la mia -la nostra- organizzazione non avrebbe mai accettato il regolamento stabilito dal partito, il regolamento dei nostri congressi ce lo stabilivamo noi in autonomia. Sinceramente mi stupisce questa vostra timidezza. Penso che sia un elemento che non aiuta. Perdonate la sincerità!
GD: Ha senso, uno dei motivi che motivava questa intervista era proprio sentire voci di un’altra generazione dal momento che -senza dubbio- ci serve una bussola. Hai fatto molto bene a segnalare questa cosa.
Cuperlo: Ieri ero a un’iniziativa a Napoli e ho incrociato un po’ di vostri compagni napoletani e a loro ho detto la stessa cosa!
GD: Come mai, ai tempi, ha deciso di supportare la “rivoluzione” di Occhetto, abbandonando gli ideali del marxismo – leninismo in favore di Sinistra Giovanile, antenata dei Giovani Democratici?
Cuperlo: Intanto, ridiamo un po’ di realismo alle cose. La nostra organizzazione, alla fine degli anni ’80, non era un’organizzazione ideologicamente ancorata alle teorie del marxismo-leninismo. A dire la verità credo che la gran parte dei dirigenti della FGCI non avesse mai letto mezza pagina di Marx o mezza pagina di Lenin. La nostra era un’organizzazione legata all’esperienza dei movimenti, nasceva e si rafforzava nel tessuto delle scuole, delle università, del movimento pacifista e quello ambientale, specialmente dopo Černobyl’. Quando Achille Occhetto lancia la svolta della Bolognina e l’idea di una fase ricostituente della sinistra anche la nostra giovane organizzazione si divide.
Perchè io sostengo quella scelta? Perchè anche io, nella mia giovanile ignoranza, credevo di essere davanti ad una fase spartiacque della Storia e che anche noi dovessimo rivendicare l’indipendenza del comunismo italiano, che affondava le sue radici in una specifica originalità (il pensiero di Gramsci, la politica di Togliatti, le scelte di Berlinguer negli anni ’70 per rendere quel partito autonomo dall’Unione Sovietica e agganciato al destino della sinistra e del socialismo europeo); ritenevo, come molti compagni di quell’esperienza, che fosse giusto accettare quella sfida e ricollocare la parte migliore di quel patrimonio e di quella tradizione comunista italiana (l’aggettivo non è dettagli ma sostanza!) in una nuova stagione che si apriva. Teniamo a mente l’89, uno spartiacque, che secondo alcuni chiude il cosiddetto “secolo breve” del ‘900 [il riferimento è allo storico inglese Eric Hobsbawm].
Naturalmente, ci fu una discussione molto viva e molto aspra dentro la FGCI, perchè c’era anche una componente che riteneva che quella fosse una scelta sbagliata, come nel partito. La componente del “no” alla svolta contava personalità di altissimo calibro come Pietro Ingrao, Aldo Tortorella, Alessandro Natta e Giuseppe Chiarante; la discussione coinvolse -logicamente- anche la generazione più giovane, con divisioni che portarono una parte di questi nostri compagni a scegliere di non entrare nel PDS e di confluire nel percorso di Rifondazione Comunista. L’ultima cosa che voglio dirvi è questa: l’esperienza che facemmo in quegli anni (io sono stato il segretario dalla fine dell’88 all’inizio del ’92), con anche elementi di forte passione e affinità sul campo [ci ha tenuti uniti]. Ad esempio, sul tema della questione migranti, noi andammo a Villa Literno ad allesitre un campo di accoglienza per i ragazzi che raccoglievano i pomodori; mi ricordo che allestimmo questo campo con un centinaio di tende, servizi igienici e assistenza sanitaria della Croce Rossa.
[In quella occasione] le divisioni sulla politica che ci avevano fatto prendere sentieri diversi furono superate da quella esperienza condivisa e ancora oggi ci divide. Unirsi sull’aiutare quelle persone ci ha uniti molto di più che non dividersi sulla politica, perchè ha costituito una unità di valori, princìpi e senso della comunità e della solidarietà; questa è stata la principale dote che ci è rimasta in eredità. Quella militanza giovanile, per noi, non è stato un fattore di carriera politica o una parentesi ma un forte momento di formazione civile e culturale. Eravamo abbastanza ignoranti ma ci muoveva una sincera passione, passione che è ancora viva sia in chi ha continuato a fare politica sia in chi ha smesso, un tratto comune ci tiene appassionati a quella pagina.Non eravamo la generazione preda e succube dell’ideologia, eravamo autonomi nel pensiero -con anche errori nella valutazione e comprensione della realtà, molte cose le abbiamo sbagliate…- ma animati da un sentimento di sincera passione verso il mondo e verso quello che sarebbe accaduto nella nostra vita successiva. Militare in quella organizzazione non era un modo per scalare i gradini delle carriere interne al partito, era un’esperienza a sè che abbiamo sempre rivendicato con orgoglio e felicità!
GD: Nei momenti precedenti alla svolta della Bolognina c’era un’ambiente giovane che spingeva per la svolta e ambienti più anziani che frenavano o è stato più orizzontale come movimento?
Cuperlo: Direi di no, nessuno nella FGCI poteva anticipare quell’evento, un po’ perchè -come dicevo- non c’era profondità d’analisi. Questo tema riguardava, in realtà, anche il partito, nel senso che gli anni ’80 sono segnati da una fortissima egemonia del pensiero e dell’ideologia liberista e neoliberista, questa percezione c’era ma che questo potesse portare -di lì a qualche anno- determinare il collasso di quell’assetto bipopolare del mondo che avevamo conosciuto fin da ragazzini. Si trattava di un’accelerazione imprevedibile, anche nel dibattito interno al partito non si avevano segni che indicavano un cambio.
Nondimeno, c’erano anime e sensibilità diverse che riflettevano la storia di quel partito, la FGCI lombarda o emiliana era affezionata all’idea di buone pratiche amministrative e di governo, le organizzazione del Mezzogiorno -Napoli, Catania, Bari- erano più movimentiste in senso stretto, anche perchè a lungo era stata preclusa la prospettiva del governo locale (nonostante qualche eccezione a metà anni ’70, come la Napoli di Maurizio Valenzi).
Per rispondere alla tua domanda direi di no, la svolta ci coglie stupiti e discretamente impreparati, da lì siamo costretti ad affrontare una discussione impegnativa ed anche emotivamente coinvolgente, si ruppero amicizie e fidanzamenti, io stesso -che ero segretario della FGCI- ebbi un rapporto improvvisamente molto più difficile con compagni a cui ero legatissimo come Nichi Vendola e Franco Giordano che si schierarono per il “no” alla svolta. Tutto questo mise a dura prova la tenuta dell’organizzazione, se non altro perchè quando hai 20 anni le dinamiche della politica intrecciano fortemente le dinamiche relazionali. Le fratture, però, come dicevo poco fa, sono state risanate e oggi con i compagni di allora siamo nuovamente amici, ognuno dei due lati di allora oggi riconosce i meriti e gli errori dell’altro.
GD: prima si menzionavano gli anni ’80 e la fine della divisione in blocchi, anche noi oggi andiamo al nostro congresso nazionale in un contesto storico-culturale profondamente mutato e anche noi con un partito in riposizionamento nello spettro politico, secondo te quale può e deve essere l’approccio che la giovanile deve adottare nel tema della politica estera?
Cuperlo: non mi permetto di dare consigli nè suggerimenti memore del verso di De Andrè [Si sa che la gente dà buoni consigli/ Se non può più dare cattivo esempio]. Io sul versante della politica estera vedo due questioni che voi dovreste e potreste affrontare in autonomia (termine importante come vi dicevo prima!): la dimensione delle migrazioni e la realtà del Mediterraneo nonchè della Rotta balcanica. Qui c’è un tema che riguarda la cultura politica e il metodo, voi dovreste essere fisicamente a Lampedusa, fisicamente nei luoghi dove questi ragazzi arrivano e dove è possibile costruire rapporti diretti di solidarietà, io vi ho raccontato la mia esperienza del campo di Villa Literno…voi dovreste essere una componente politica molto meno attenta a trovare sbocco nelle istituzioni e molto più concentrata a costruire percorsi di movimento di partecipazione ed esperienza capace di motivare ragazzi e ragazze ad una scelta di campo.
Tutto ciò deve essere aiutato dallo studio, dalla cultura, capire cos’è oggi lo scacchiere del Mediterraneo (come sta cambiando? Cosa sta succedendo? Che ruolo hanno Russia e Turchia negli avvenimenti del Nord Africa?) attraverso seminari e centri studio. Dovremmo combinare queste due questioni, lo studio e la pratica. L’altro tema è quello della pace e della guerra, c’è una rimozione, all’interno della politica, di questo punto di vista. La guerra nel cuore di questo continente dovrebbe essere per voi l’ABC, l’alfa e l’omega di un’azione che costantemente alza lo sguardo su ciò che avviene in un conflitto che ha causato 500.000 morti, devastato un paese e distrutto una comunità. La posizione non è diversa da quella del partito (condanna totale dell’invasione e sostegno e solidarietà assoluta al governo e popolo ucraino), però voi avete vent’anni, non potete rinunciare a coltivare la moderata utopia di un percorso di pacificazione nel cuore di questo continente che avete ereditato pacificato e che rischiate di vivere, nella vostra età adulta, non più paficicato a causa di una serie di concatenazioni. Ad esempio, dovreste cercare di capire se la via diplomatica di Bergoglio e di Zuppi ha qualche spiraglio, spingere la discussione interna al partito e così via. In generale, questi sono i due temi di politica estera che voi dovreste caratterizzare (ripeto ancora una volta) con autonomia, intraprendenza e coraggio.
GD: dicevi prima che c’era una considerevole quantità di autonomia della FGCI nei confronti del partito che voi rivendicavate. Una domanda su questo punto: dal lato del partito voi ricevevate critiche basate sull’accusa di non avere esperienza e non avere competenze sufficienti per mettersi in gioco a livello dell’amministrazione locale?
Cuperlo: Il punto è proprio la differenza di obiettivi, io non so che rapporto avete voi con le istituzioni (magari per voi la vostra ambizione a vent’anni è entrare in un consiglio comunale, regionale o in Parlamento) ma per noi era l’ultimo degli obiettivi. Da parte del gruppo dirigente del partito l’atteggiamento era un atteggiamento di ascolto e di curiosità. Io, quando ero segretario della FGCI, venivo chiamato da storici dirigenti di quel partito (come Pajetta e Occhetto) che mi facevano domande e volevano sapere cosa avveniva nel mondo giovanile, quali erano le tendenze che andavano affermandosi. Su alcune posizioni avevano atteggiamenti critici, certamente, ma era una dialettica molto rispettosa in doppia direzione. Certamente capitava di eleggere giovani ma non era il cuore dell’attività politica, ciò valeva anche per il partito.
Questa cosa vi sembrerà strana ma all’epoca, se prendevate cento segretari provinciali di partito e chiedevate “tu preferisci essere mandato in Parlamento o entrare nella segreteria nazionale del partito?” ecco che 98 su 100 vi avrebbero risposto “preferisco entrare nella segreteria nazionale del partito”. Dirigere il partito (o la giovanile) era fonte di orgoglio e autorevolezza, l’approdo nelle istituzioni non era uno dei principali traguardi e questo aiutava a costruire la passione per l’impegno politico.
GD: c’erano rapporti e scambi con le altre giovanili, le giovanili di altri partiti?
Cuperlo: c’erano assolutamente! Io avevo ottimi rapporti col segretario dei giovani socialisti , dei giovani democristiani e dei più piccoli giovani repubblicani. In quella fase era forte anche la presenza di collettivi autonomi dal mondo universitario, con cui i rapporti non era semplicissimi e con cui la FGCI aveva avuto frizioni nel ’68 e del ’77. C’erano anche forti legami con i giovani delle ACLI, con i giovani dell’arcigay e con i giovani delle associazioni ebraiche. Eravamo l’organizzazione un po’ più riconosciuta, con decine di migliaia di iscritti, ma nondimeno avevamo rapporti esterni collaborativi e proficui pur nelle differenze. Ad esempio, nella mia segreteria (è in quella precedente di Pietro Folena) c’era un forte orientamento anticraxiano e dunque con i giovani socialisti, che erano filocraxiani, c’erano rapporti polemici ma rispettosi e civili.
GD: Cosa direbbe Gianni Cuperlo di oggi al Gianni Cuperlo segretario della FGCI?
Cuperlo: Studia di più! Leggi e studia di più. C’è un elemento decisivo della politica che è progressivamente venuto meno, l’idea che l’azione politica non richieda una solida base culturale e solidificata. Base non edificata a partire dal nozionismo ma dalla curiosità di capire il mondo che ci circonda e quali sono le radici che hai di fronte. Nella tradizione comunista italiana questi elementi erano ben visibili e ben piantati. Gramsci, le riviste e i centri studio che caratterizzavano i settori dell’economia e del diritto, filoni della tradizione del pensiero, come lo storicismo di Croce e il razionalismo critico di Antonio Banfi. Al giovane dirigente di allora direi “qualche riunione in meno e qualche lettura di più”, in termini più generali uno dei limiti degli anni successivi è stato lo smarrimento di questa dimensione a favore dell’idea che tutto dovesse concentrarsi sulla comunicazione efficace. Ovviamente, una buona comunicazione è efficace, specialmente nel nostro mondo coperto dai social H24, ma io rimango affezionato all’idea che una buona comunicazione riflette una buona politica e una buona cultura politica. Invece, negli anni abbiamo chiusi i centri di studio e aumentato gli uffici stampa, quasi come potesse compensare…sarebbe questo il primo e unico consiglio che darei al Gianni Cuperlo di allora, segretario della FGCI.
GD: Una figura che ha segnato il tuo percorso politico, un riferimento? Come è possibile attualizzare oggi il suo insegnamento?
Cuperlo: La persona che più mi ha influenzato è stata Alfredo Reichlin, mi ha influenzato soprattutto nel metodo. È un uomo che se ne è andato più che novantenne e che non ha mai smarrito fino all’ultimo giorno della sua vita l’interesse per capire la realtà e come cambiava sotto i suoi occhi. Pochi giorni prima di morire ha scritto un articolo sull’Unità in cui rifletteva sulle prospettive a lungo termine della sinistra europea. Questo ti fa capire come la politica, se vissuta con la giusta dose di passione, lucidità e razionalità, può riempire veramente una vita, come diceva Berlinguer.
GD: Che cosa potrebbero imparare i GD dalla FGCI? E viceversa, cosa potrebbero insegnare i GD alla FGCI di allora?
Cuperlo: I GD di oggi potrebbero essere incuriositi (perchè “imparare è un termine improprio”) da quello che vi ho raccontato della FGCI di allora, le parole chiave sono: autonomia, movimenti, piazze, solidarietà vissuta (non solo teorizzata). La FGCI di allora potrebbe apprendere lo sguardo sul mondo di adesso, la capacità di fare politica in un mondo assai più veloce e in cui si partecipa in maniera diversa e inedita. Immaginate una militanza senza cellulare, con i gettoni telefonici, in cui ci si scriveva lettere spedite col francobollo, in cui non c’erano treni ad alta velocità o low cost per volare; in questo mondo andare a una manifestazione o ad una riunione a Roma significava partire col treno notturno nella cuccetta e tornare a casa il giorno successivo, un altro mondo.
GD: va bene! Noi ti ringraziamo per questa intervista bellissima e ti salutiamo.
Cuperlo: grazie a voi, ciao a tutti!