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La tragica situazione nella regione di Gaza ha come riflesso un insulso dibattito in Occidente, caratterizzato da ripetute idiozie e avvelenato da preconcetti. Soffocati dal presente e dalla sua incapacità di essere profondo, schiacciati dai social media e dalla loro impossibilità di restituire un quadro unitario, possiamo riporre una speranza nella memoria storica. L’insoddisfazione bidirezionale verso il governo di destra che regge Israele e la forma di resistenza terroristica che caratterizza Hamas ci spinge a ricercare i nostri riferimenti altrove. 

Questo articolo vuole seguire questa linea e raccontare una storia che arriva da tempi passati. Anzi, vuole raccontare un capitolo della storia del sionismo proveniente dai tempi in cui lo Stato di Israele non esisteva e, dunque, la sua storia politica non era ancora iniziata nella dimensione territoriale e governativa, rimanendo arginata alla sfera intellettuale. Per farlo, ci avvarremo del libro dello storico Shlomo Avineri intitolato The Making of Modern Zionism: The Intellectual Origins of the Jewish State. All’interno della lunga e complessa storia intellettuale del sionismo, desidero parlarvi, in forza di una ineluttabile vicinanza di campo, della figura di Dov Ber Borochov e del suo tentativo di unire sionismo e marxismo.

Dov Ber Borochov era un ebreo russo nato nel 1881 sotto il regno del neoinsediato imperatore Alessando III. Cresciuto in una famiglia agiata e altamente istruita, il giovane Borochov entrò in contatto, da un lato, con le mostruose violenze dei pogrom e, dall’altro, con il frizzante clima politico e culturale dell’epoca, rimanendo affascinanto fin da giovane dall’idea socialista. L’unione di queste due differenti fonti portò Borochov a credere di poter saldare in un’unica costruzione politica l’esigenza del movimento sionista di forgiare una nazione per gli ebrei e, dall’altro, la prospettiva rivoluzionaria socialista. Un compito certamente non semplice dal momento che il maestro del pensiero socialista, Karl Marx, contrapponeva con forza la visione nazionale e il socialismo rivoluzionario, vedendo nello Stato nazionale una sovrastruttura ideologica atta a camuffare la natura internazionalista del proletariato. 

Di fronte a questa ottusità dell’impostazione classica, Borochov si rivolse all’interpretazione sui generis offerta dall’austro-marxismo e ai suoi autori, secondo cui «la nazionalità è incorporata nella struttura sociale di queste società e non è semplicemente “sovrastrutturale”»¹. Leggendo Marx attraverso questa chiave Borochov pubblicò, nel 1905,  La questione nazionale e la lotta di classe, in cui si afferma che la situazione nazionale, il prevalere di una nazionalità sopra l’altra all’interno di uno Stato, si integra con la lotta di classe e sovrappone le due battaglie: questione sociale e questione nazionale si incrociano. 

Negli anni successivi, Borochov tentò sistematicamente di applicare la sua analisi al caso del popolo ebraico. Egli non disconobbe mai la natura trasversale dell’anti-semitismo, di cui erano vittime «tanto i venditori ambulanti ebrei quanto i Rothschild e tutta la plutocrazia ebraica»², tuttavia, riconobbe una differenza nelle reazioni che ad esso si avevano. Spinto dai movimenti di liberalizzazione e democratizzazione che, specialmente nell’Europa occidentale, prendevano sempre più piede, gli ebrei borghesi appartenenti alla classe media e a quella alta sviluppavano, nei confronti dei loro connazionali di estrazione sociale più umile, un rapporto di filantropia esteriore e non di vera unità fraterna. 

Afferma Avineri: «secondo Borochov esiste una sola classe della società ebraica la cui miseria è così radicale da non poter continuare a esistere nelle condizioni attuali, ed è necessariamente spinta a cercare per sé un’altra base economica. Si tratta della classe operaia ebraica, accompagnata dalla massiccia classe medio-bassa ebraica, la cui esistenza sociale viene polverizzata dal recente sviluppo economico e che viene così spinta nelle file del proletariato»³. La massiccia emigrazione di ebrei appartenenti alle classi inferiori verso l’America all’albeggiare del XX secolo era unicamente la soluzione passiva a questo problema, una soluzione attiva e concreta consisteva, affermava Borochov, nell’emigrazione in Palestina, poichè essa «si combina necessariamente con la creazione di una nuova società, di un’infrastruttura completamente nuova e con l’emergere di una società nuova e rivoluzionaria»⁴

Soltanto dando un’unità nazionale e territoriale alla classe popolare ebraica sarebbe stato possibile inserire gli ebrei nel movimento storico e universale della lotta di classe. L’impegno internazionalista del marxismo non viene, nella prospettiva di Borochov, eclissato dal nazionalismo ma, al contrario, viene costruito da esso. L’idea di un reciproco scambio fra identità nazionale e solidarietà internazionale porta Borochov ad affrontare la prospettive dell’insediamento della terra palestinese, già occupata da svariate popolazioni arabe e, fino al giorno della sua prematura morte (nel 1917 a soli 36 anni), governata dall’Impero Ottomano. A proposito della questione della convivenza fra movimento sionista e popolazione locale egli dichiarava, in un discorso tenuto poco prima di morire (trascrizione visualizzabile qui): «alcuni dicono che la legge turca ostacola il nostro lavoro, altri ci contestano col fatto che la Palestina è eccezionalmente piccola e altri ancora ci accusano dell’odioso crimine di volere l’oppressione e l’espulsione degli arabi della Palestina […]. Non appena le terre incolte [waste lands] saranno preparate per la colonizzazione, quando la tecnologia moderna sarà introdotta, ci sarà terra sufficiente per soddisfare gli ebrei e gli arabi. La normalità delle relazioni fra ebrei e arabi deve prevalere». L’afflato internazionalista e solidarista era possibile, secondo Borochov, a seguito della costituzione di uno Stato equo e privo di conflittualità.

Si tratta di parole antiche, figlie di una maniera di pensare e fare politica che non esiste più. Nondimeno, non si può non rimanere completamente sbalorditi d’innanzi al loro ottimismo, alla loro lungimiranza e, infine, alla luce alla miseria cui assistiamo oggi, non possiamo non provare quel sentimento misto di malinconia e speranza nel momento in cui realizziamo che i buoni propositi hanno avuto un cattivo destino e che è possibile avere fiducia nella prospettiva di potersi impegnare per vivere giorni migliori.

 

 

Lettera di Borochov, 1913


¹ Nationality is thus embedded in the social structure of such societies and is not merely “superstructural.

² The Jewish peddler as well as the Rothschilds and the whole Jewish plutocracy.

³ According to Borochov there exists only one class of Jewish society whose misery is so radical that it cannot continue to exist under prevailing conditions, and it is necessarily pushed to seek for itself another economic base. 
 This is the Jewish working class, accompanied by the massive Jewish lower middle class, whose social existence is being pulverized by recent economic development and which is thus pushed into the ranks of the proletariatBecause it is necessarily combined with the creation of a new society, a whole new infrastructure, and the emergence of a novel and revolutionary society there
Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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