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Benvenuti e ben ritrovati con il secondo appuntamento di GD Radio, la rubrica in collaborazione tra GD Milano e GD del Bollatese dove trattiamo la politica che si fa musica e viceversa!

Ricordandovi di ascoltare tutti gli episodi di GD Cast – Bollatese, disponibili su Spotify a questo link (https://open.spotify.com/show/32coYrSU6zEfYpCJ2N5Wiy?si=G5QnyEgjTtOynxq_Ed_Rmg) e su tutti i maggior provider di podcast, è ora di immergersi nel nostro appuntamento odierno!


 di Christian Caccia

Nelle scorse settimane abbiamo assistito al teatrino post Sanremo, in cui è stato detto che la musica non dovrebbe prendere posizioni politiche. Queste affermazioni cancellano 50 e più anni di musica leggera più o meno impegnata…

Oggi, per ricordarci che il dissenso passa obbligatoriamente dall’arte, parleremo di uno dei fenomeni che nel corso dell’ultimo decennio ha fatto più scandalo e riflettere allo stesso tempo, mettendo in risalto gli orrori del regime putiniano, arrivando a pagare la militanza
direttamente sulla pelle delle artiste stesse. Oggi indossiamo tutti un Balaclava colorato, perché andiamo a scoprire le Pussy Riot!

Il dissenso che parte dalle donne: il caso Pussy Riot

Torniamo indietro di oltre un decennio, tra il 2010 e il 2012. In Russia iniziano alcune proteste molto partecipate che culmineranno proprio nel 2012, con la performance che le Pussy Riot tenteranno di eseguire, con il fine di denunciare il cambio “di poltrone” organizzato da
Medvedev e Putin e i brogli elettorali che portarono all’ elezione dell’attuale Presidente della Federazione Russa.

Il collettivo entrò nella Cattedrale del Cristo Salvatore, interrompendo una funzione religiosa per cantare una canzone di denuncia contro il regime russo. Questa performance portò tre esponenti del collettivo femminista (Marija Alëchina, Ekaterina Samucevič, Nadya
Tolokonnikova) a rischiare fino a 7 anni, poi tramutati in 2 (con l’accusa ufficiale di offesa al sentimento religioso).

Le donne, durante la loro detenzione, accusarono ripetuti abusi, che portò le stesse donne ad organizzare numerosi scioperi della fame.

A Punk Prayer: il primo inno contro l’unione tra Stato e Chiesa

Non potevamo parlare della loro musica senza partire dal tragico svolgimento giudiziario che ha segnato alcune delle protagoniste di questo collettivo femminista.

Il gruppo entrò nelle cronache internazionali il 21 febbraio 2012, quando cercarono di interrompere la funzione religiosa di cui vi parlavamo poc’anzi. Oltre alla provocatoria interruzione, il gruppo portò una canzone punk piuttosto tradizionale, in cui si denunciava la rielezione di Putin e il ruolo del patriarca Cirillo. La canzone è naturalmente in russo, pertanto vi lasciamo un passaggio tradotto in italiano (e
così sarà per tutti i passaggi che metteremo in risalto in questo nostro appuntamento odierno):

Il capo del KGB, il loro santo principale
Conduce i manifestanti in prigione sotto scorta
Non turbate la Sua Santità, signore
Attieniti a fare l’amore e i bambini

Le proteste alle Olimpiadi di Sochi 2014: Putin will teach you how to love

Le Pussy Riot sono un appuntamento fisso durante le grandi manifestazioni internazionali organizzate in Russia negli ultimi 15 anni.

Durante il periodo delle Olimpiadi Invernali di Sochi del 2014, il collettivo femminista ha composto la canzone “Putin will teach you how to love”, dove, tra una bella chitarra distorta e una batteria potente, si denunciano gli sprechi economici per le Olimpiadi, la propaganda di regime e il “culto della personalità” di Putin.

Nei primi anni di militanza, le Pussy Riot avevano l’abitudine di filmare i propri flash mob (con annesse violenze da parte delle forze dell’ordine) per renderli poi i videoclip delle loro canzoni. In questo passaggio (sempre tradotto dal russo) il gruppo denuncia la chiusura di programmi contrari al regime, la repressione dei diritti LGBT e il colpevole silenzio dei cittadini russi.

Spegneranno il canale Dozhd
Il gay PRIDE è stato mandato alla dependance
Un bagno a due punti è la priorità
Il verdetto per la Russia è il carcere per sei anni
Putin vi insegnerà ad amare la Patria

Le ultime produzioni: cambio di estetica e sonorità, stesso impegno

Nel corso degli ultimi 6/7 anni il gruppo ha cambiato molto la sua estetica e le sue sonorità. Dopo i processi che le fecero perdere l’anonimato, Nadya Tolokonnikova divenne il vero e proprio volto del collettivo, abbandonando l’iconico passamontagna colorato per esibire il proprio volto.

Le canzoni cambiarono molto, lasciando le sonorità punk per virare verso l’elettronica e suoni più pop. Di pari passo cambiò anche l’estetica dei loro video, ora dei veri e propri cortometraggi, sceneggiati e scenografati con la collaborazione di importanti professionisti
del settore musicale.

Una cosa è rimasta invariata: l’impegno sociale e politico del gruppo. Infatti, Nadya ha presenziato a numerosi eventi dove ha portato la propria esperienza nelle carceri russe e si è fatta portavoce delle istanze delle minoranze meno considerate in Russia. Ci lasciamo con una delle ultime produzioni di questo gruppo: “Mama don’t watch TV”, una presa di posizione forte a sostegno dell’Ucraina e contro la guerra scatenata dal Cremlino.

Oltre le consuete forti critiche a Putin, le Pussy Riot sottolineano il ruolo della televisione di stato, prona al potere e finalizzata all’indottrinamento delle masse:

Mamma, sono tenuto prigioniero
Non guardare la TV
Mamma, qui non ci sono nazisti
Mamma, perché c’è la guerra
Chiamata “operazione speciale”?
Speciale
Non capisco

Questa canzone segna, almeno a livello estetico nella produzione video, alle prime Pussy Riot, con un video più “grezzo” e che vede le tre storiche imputate mettersi sul palco, a volto scoperto per denunciare i crimini della cosiddetta “operazione speciale”. 

Ringraziandovi per la consueta attenzione, non possiamo che invitarvi a seguire le consuete puntate di GD Cast Bollatese e tutti gli articoli dei GD Milano.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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