fbpx

di Francesco Campigotto e Giovanni Soda

Introduzione: PRO o CONTRO?

Negli ultimi mesi e, con maggiore intensità, nelle ultime 6 settimane; gli studenti di sempre più università occidentali hanno iniziato a richiedere a gran voce l’interruzione dei rapporti fra i propri atenei e quelli israeliani per non essere complici del tremendo eccidio cui stiamo assistendo tutti.

Logicamente, il dibattito scatenato all’interno della sfera pubblica coinvolge anche i partiti che, nel nostro caso, si scindono internamente fra favorevoli e contrari. Con questo articolo abbiamo voluto raccogliere due posizioni, una PRO e una CONTRO per favorire il dibattito aperto e democratico


RECIDERE I RAPPORTI CON LE UNIVERSITÀ ISRAELIANE: PERCHÈ SI

Molto spesso, nelle ultime settimane, abbiamo ascoltato i telegiornali e letto i quotidiani che ci parlavano della mobilitazione intercontinentale a sostegno della causa palestinese. I media danno una visione che, a prescindere dagli orientamenti politici dei singoli divulgatori, è quasi totalmente contraria alle occupazioni. Invece, non abbiamo compreso appieno le ragioni di queste azioni, che come sempre rimangono nell’ombra, dietro ai vari motivi per cui queste risulterebbero inutili. Intendo quindi portare alla luce le ragioni dei manifestanti, i motivi delle loro azioni e le reali situazioni all’interno dell’università. Gli studenti di tutto il mondo chiedono agli atenei, con toni talvolta deboli e talvolta impetuosi, la cessazione di ogni rapporto con le università israeliane, che non hanno preso le distanze dall’operato del governo Netanyahu. 

Lette le richieste degli occupanti, la domanda sorge immediata e spontanea, ci chiediamo infatti cosa potranno mai fare degli studenti accampati nel corridoio di un ateneo contro lo strapotere di uno Stato che è a tutti gli effetti occidentale e che gode senza ombra di dubbio dell’appoggio del nostro governo e degli Stati Uniti d’America. 

La risposta è talmente semplice da poter sembrare banale, gli studenti chiedono infatti che la propria università prenda le distanze dall’operato di Israele in modo da non sentirsi colpevoli delle azioni criminali del governo Netanyahu. il fatto che le proprie proteste possano ottenere dei riscontri positivi, è inoltre motivo di orgoglio per i manifestanti tutti, consapevoli finalmente dell’importanza delle loro voci. 

Le occupazioni sono, specialmente dopo le violenze subite dagli studenti che manifestavano a Pisa e in altre grandi città, un gesto di sfida nei confronti del nostro governo, che continua ad appoggiare lo stato di Israele anche con il commercio di armi, siamo infatti il terzo esportatore di armi per Israele al mondo. 

Un’altra critica mossa spesso agli occupanti, è quella di essere violenti o maleducati. Quante volte abbiamo sentito dire: “gli studenti hanno vandalizzato il muro dell’università, ora è giusto che paghino le spese”. Oltre all’ovvia affermazione, che intende portare chi ascolta a pensare che ci siano degli studenti non disposti a farsi carico delle pulizie, troviamo in questa frase una strana posizione, è come se chi la stesse pronunciando non avesse imparato a leggere alle scuole primarie. Per vandalizzare infatti, si intende spesso rovinare un edificio pubblico o monumento, nel caso delle occupazioni pro Palestina troviamo delle scritte con un significato, o che almeno cercano di esplicare un concetto. Quindi chi nella scritta sul muro vede solo l’azione di qualche teppistello e senza nemmeno chiederselo si concentra sul fatto che la scritta vada pulita, sta solo, inconsciamente o consapevolmente, nascondendo alla sua mente il significato che la scritta vuole mandare. 

Per quanto riguarda invece la violenza, sempre e comunque da condannare, che sia da parte felle forze dell’ordine o che sia da parte dei manifestanti, vediamo un clima che si tende e si distende sempre, nel giro di poche ore, vediamo dei giornali o sedicenti tali, che cercano sempre, di agguantare lo scoop, vediamo i manifestanti stessi, che pur di far sentire le loro ragioni, esprimono concetti in modo talvolta estremo o violento. Quindi,fermo restando che la violenza va sempre e comunque condannata, non mi arrogo il diritto di definire sbagliata una manifestazione, solo per il fatto che qualche manifestante esaltato decide di utilizzare la violenza. 

Tirando le somme, è comprensibile a tutti l’entità di questaprotesta che si è sollevata nelle ultime settimane. E se non si riesce a provare simpatia per le ragioni di chi manifesta, allora è molto difficile non riuscire ad empatizzare con gli stessi.


RECIDERE I RAPPORTI CON LE UNIVERSITÀ ISRAELIANE: PERCHÈ NO

È una vera passione dell’individuo europeo la tendenza a vedere negli eventi storici ripetizioni di fatti analoghi passati. Così, appena una sollevazione è iniziata ad emergere nelle università di tutto il mondo occidentale, dagli Stati Uniti, alla Francia e all’Italia, la mente di tutti noi è si è cimentata nell’identificare l’avvento di un “nuovo ‘68”. 

Come ha sostenuto magnificamente Žižek (in un articolo consultabile qui), una differenza profonda separa i sessantottini dagli occupanti di oggi: se i primi erano l’espressione di una rivolta completa contro una generazione precedente (contro un modello di famiglia, di Stato, di università e di partito), i nostri sono assai più accecati nelle loro rivendicazioni e protestano, soprattutto, in forza di un generico sentimento di disperazione dinnanzi all’incapacità delle istituzioni di portare avanti le loro istanze. 

Al di là dell’osservazione en passant secondo cui il nostro partito dovrebbe sforzarsi enormemente per incanalare questa sofferenza in una forma costruttiva, non è possibile non tenere a mente questo fattore nel momento in cui si va a valutare le loro richieste.

Alla prova dei fatti, gli studenti lamentano (pur sapendolo solo parzialmente) l’incapacità dei governi di “fare qualcosa” per la Palestina, impossibilitati a trovare sbocco nelle istituzioni effettivamente detenenti il potere (in sintesi, non riuscendo a trovare un partito che affermi con vigore la necessità di riconoscere la Palestina) il bersaglio delle richieste diviene l’università, un’istituzione dai poteri limitati, che può avere influenza -al più- sul mondo accademico e, per vie indirette, sulla società civile.

Consegue, da ciò, un ulteriore punto. Žižek nota anche come il sentimento di insoddisfazione degli studenti non sia soltanto sintomatico di cecità politica interna, ma anche la risultante dell’assenza di alternative all’esterno. Una volta, chi rifiutava parimenti USA e URSS, sosteneva il “Terzo mondo”, oggi chi protesta contro il regime criminale di Netanyahu è disgustato, con forza uguale e contraria, da Hamas (salvo qualche rarissima ed estemporanea eccezione). La speranza, l’unica concreta e razionale per noi, è riposta nella società civile israeliana e in quellanpalestinese. Ma se la solidarietà e il supporto vogliono andare a queste allora il boicottaggio non può essere la via, al più, si dovrebbe sostenere la necessità di far sentire la propria voce dai campus europei ai campus israeliani, in cui si trova -come in ogni dove- la parte più progressista ed internazionalista della popolazione; quella che più di ogni altra può riconoscere la propria sofferenza come facente parte di quella di un più ampio ordine mondiale e cimentarsi, in forza di ciò, non in minuziose schermaglie particolaristiche ma in tutte le lotte del mondo.

 

 


Disclaimer

I Giovani Democratici di Milano sono un’organizzazione plurale, gli articoli pubblicati su questa redazione non sono da intendersi come una posizione ufficiale della Federazione ma unicamente come espressioni di pensieri ed opinioni personali. Nondimeno, la natura politica della giovanile comporta una serie di valori e princìpi basilari che sono fondativi e costituiscono la nostra identità.

Redazione GD

Redazione GD

La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.