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È necessaria molta onestà e franchezza sul punto: non è possibile negare che il voto ai fuorisede sia stato implementato, pur con tutti i caveat che conosciamo, dal governo di destra attualmente in carica. Eppure, se ci fermassimo alla mera constatazione dei fatti non faremmo interpretazione, dunque non faremmo politica. Questo articolo, scritto da tre persone, non vuole presentare una lettura unica, bensì tre interpretazioni differenti e divergenti (alcune più realiste, altre più conciliatrici) che non si sintetizzano in una sola ma lasciano aperta la possibilità di elaborazione ulteriore.


di Samuele Franciolini, Francesco Paolantonio e Giovanni Soda

Voto ai fuorisede? Semplice questione di numeri

È stata la stessa Meloni a mostrare quale motivazione sia realmente insita  in questa operazione. Il post pubblicato da FdI parla chiaro:

Ora, al di là dell’esordio “studente”-virgola che trasmette delle inevitabili vibes da cinegiornale anni ‘20. 

La strategia della destra è chiara: il governo fa, la sinistra promette. Lo studente che, come è noto ai più e come i dati statistici mostrano, vota tendenzialmente per le forze progressiste dovrebbe spostarsi verso i partiti di destra. Insomma, alla fine nella strategia della Meloni non vi è nient’altro che la più brutale questione politica: i voti.

Conquistare consenso dove finora scarseggia, magari seguendo la tendenza europea che spinge i giovani, specialmente se maschi (ne abbiamo parlato qui), verso il voto a destra è la motivazione semplice ed elementare che ha guidato l’operazione del governo. D’altronde, è un segreto di Pulcinella che la destra italiana sia, da 30 anni, più capace e rapida ad intercettare le tendenze del paese rispetto alla sinistra.


Voto ai fuorisede? L’ennesima strategia di marketing del governo Meloni

Negli ultimi giorni si è molto discusso dell’iniziativa presa dal governo Meloni per permettere agli studenti fuori sede di votare nel proprio comune di domicilio e non in quello di residenza, in occasione delle prossime elezioni europee. Questa proposta, seppur apparentemente lodevole nell’intenzione, è in realtà una strategia di marketing a costo zero per il governo che sfrutta, ancora una volta, le debolezze sul tema delle opposizioni e gli permette di salvare la faccia nei confronti di una categoria ad esso tendenzialmente ostile. Se, infatti, tutti gli indicatori segnalano un progressivo allontanamento dai giovani dall’impegno politico ciò non avviene nelle università, dove rimane uno zoccolo duro di studentesse e studenti fortemente critici nei confronti delle politiche reazionarie dell’esecutivo, in particolare in materia di diritti civili, transizione ecologica e politica estera. In questo senso, l’operazione di Meloni diventa quindi un tentativo di assicurarsi i voti degli studenti meno politicizzati in modo da ridurre l’influenza, anche a livello di ateneo, dei movimenti più progressisti che la osteggiano apertamente. Questa operazione, tuttavia, non rappresenta un vero cambiamento di paradigma, che avremmo, come Giovani Democratici da tempo attivi sul tema e critici nei confronti del nostro partito, salutato con favore, bensì un tentativo di maquillage depotenziato temporaneo e con poche conseguenze sul piano pratico.

In primo luogo, a disilludere è la platea di persone a cui si rivolge la proposta, essa infatti riguarda esclusivamente gli studenti universitari, sono infatti esclusi tutti quei lavoratori che, pur essendo residenti nel paese d’origine, lavorano e vivono altrove. Questo tema diventa ancora più rilevante in una città come la nostra dove la bilancia fra salari e costo della vita è drammaticamente sbilanciata verso quest’ultimo e dove una cultura del lavoro stacanovista ed estremamente improntata al sacrificio personale rende molto più difficile l’esercizio del voto per i lavoratori fuori sede. Ci potrebbe essere opposta l’argomentazione che, siccome i lavoratori producono ricchezza nel luogo dove sono domiciliati, per divenire cittadini a pieno titolo, sarebbe opportuno vi spostassero anche la residenza. Tuttavia la precarizzazione del mercato del lavoro in atto da anni e, recentemente, l’aumento della mobilità in posti di lavoro “prestigiosi”, ha reso i trasferimenti molto più frequenti e di conseguenza eccessivo il numero di pratiche da sbrigare. Diventerà forse opportuno, nei prossimi anni, ridiscutere il concetto stesso di residenza o, se questo è il tipo di modello che si vuole imporre, creare le condizioni affinché questa migrazione continua si fermi.

Non solo i lavoratori però, il provvedimento risulta depotenziato anche dalla concomitanza di queste europee con numerose elezioni amministrative. Nei comuni e nelle regioni al voto infatti, non sarà possibile votare “da fuori sede”. Gli studenti ivi residenti saranno costretti quindi a scegliere se esercitare il proprio diritto al voto in maniera parziale rimanendo nel luogo di studio oppure tornare nel proprio comune di residenza. Non vorremmo quindi che il contentino offerto dal governo diventasse una scusa per rendere ancora più difficile e costoso il viaggio a coloro che decideranno di rientrare a “casa”. Comprendiamo le difficoltà logistiche legate al procedimento di voto per elezioni che sono intrinsecamente diverse in ogni comune, ci chiediamo tuttavia se fosse impossibile introdurre una qualche forma di voto postale (come avviene per gli italiani all’estero per le elezioni politiche nonché in moltissimi paesi) o telematico.

Infine la temporaneità del provvedimento ci fa ulteriormente insospettire. Per quale motivo si è deciso di portare avanti questa iniziativa in modo frettoloso, senza nessun tipo di informazione in televisione e sui social, fino a pochi giorni dalla scadenza?  Anche qui non vorremmo risultate cinici e malpensanti, ma neanche ritenere che un’eventuale bassa affluenza dei fuorisede alle urne in questa occasione venga usata come argomentazione per sbarrare la porta a questa stessa pratica in elezioni future. Le elezioni europee, sebbene estremamente significative ed importanti per noi che crediamo nella centralità del ruolo di queste istituzioni nel futuro politico del continente, sono percepite dagli italiani come elezioni di serie B e sono spesso vissute come un sondaggione nazionale per programmare un rimpasto di governo. Inoltre, la situazione politica a livello europeo è sempre più fossilizzata sulla grande coalizione PPE, S&D, Renew e, nonostante i proclami trionfalistici dei Conservatori (ECR, il gruppo a cui sono iscritti i polacchi del PiS e gli stessi europarlamentari di FdI), tutti i sondaggi indicano che questa maggioranza sarà l’unica possibile anche nel nuovo parlamento. Tutto considerato vediamo quindi come questa operazione costata praticamente nulla a Meloni verrà sfruttata dal governo per macinare consensi in una categoria sociale che, di fatto, osteggia apertamente. Diventa ancor più nostro dovere quindi, in occasione di queste elezioni europee quindi, recarci alle urne, anche con le deboli armi messeci a disposizione da questo esecutivo e, tramite il voto, lanciare un segnale chiaro di rifiuto nei confronti di questa destra autoritaria e regressiva che fa finta di lasciar votare gli studenti ma in realtà li manganella in pubblica piazza.


Voto ai fuorisede? Siamo tutti sulla stessa barca istituzionale

C’è infine un’altra interpretazione che può essere presa in considerazione per comprendere le motivazioni che hanno indotto il Governo a garantire una prima forma di voto fuorisede (ne beneficiano solo gli studenti ed è valido solo per le prossime elezioni europee). La maggioranza, semplicemente, ha riscoperto il suo ruolo di istituzione. I membri del Governo hanno giurato sulla Costituzione e sono i rappresentanti di tutti i cittadini, con questa mossa politica hanno solamente adempiuto ai loro doveri. Hanno agito nell’interesse della nazione, proprio come chiede la Costituzione, tentando di risolvere, almeno in una prima forma temporanea, un annoso problema che attanaglia il nostro Paese.

Si discute di voto ai fuorisede da anni (esiste in tutti i paesi europei, tranne in Italia, Malta e Cipro), sono state presentate diverse proposte di legge e nessuna è stata approvata. Si aggiunge un sempre maggiore astensionismo che aumenta ad ogni tornata elettorale. Nasce, così, un vulnus democratico non trascurabile, perché delegittima le forze politiche e la rappresentanza democratica, minando il ruolo delle istituzioni. Il decreto, che permette agli studenti fuorisede di votare alle prossime elezioni europee nel luogo del loro domicilio temporaneo, è un piccolo passo per cercare di arginare questo vulnus. Va dato atto al Governo di aver agito in un clima di distensione con le altre forze politiche col fine ultimo di rafforzare la nostra democrazia. D’altronde siamo una repubblica democratica fondata sui partiti e tutti sono sulla stessa barca, sia di destra sia di sinistra, senza di questi ogni politico non avrebbe un futuro, il loro venir meno comporterebbe semplicemente la fine della Repubblica come l’abbiamo conosciuta fin oggi. La delegittimazione del sistema partitico colpisce tutti indistintamente, svuotando la rappresentanza, da qui l’esigenza di rispondere in maniera unitaria.

Ci sono ancora molte cose da fare, il voto ai fuorisede deve essere esteso anche ai lavoratori e soprattutto deve essere reso permanente per tutti i tipi di elezione (regionali, comunali, politiche ecc..). Sono passi fondamentali per garantire a tutti di poter esercitare il proprio diritto al voto. Ciò va inteso nel più ampio problema dell’astensionismo, una vera piaga per la nostra democrazia che aumenta di anno in anno, svuotando gli organi di rappresentanza. Condurre le persone al voto dovrebbe essere un punto del programma di ogni forza politica.

Il Governo, forse, avendo ben chiara l’attuale situazione di delegittimazione del Parlamento e del sistema politico, ha deciso di agire cercando di porre un argine. Sarebbe una soluzione istituzionale, le forze di maggioranza hanno lavorato come i rappresentati di tutti i cittadini e non solo di coloro che li hanno votati. Non dimentichiamo che siamo una Repubblica parlamentare, dunque il perno della forma di Governo è il parlamento composto dai partiti, per questo si rende necessario legiferare in sua tutela.

Non si sapranno mai le reali motivazioni che hanno condotto la maggioranza ad approvare il decreto per il voto ai fuorisede: l’avranno fatto per un semplice tornaconto elettorale elemosinando il voto dei giovani, oppure per via di una pressante richiesta di legiferare da parte dell’opinione pubblica e del mondo delle associazioni o semplicemente per cercare di distogliere l’attenzione da argomenti molto più delicati come la legge di bilancio e la guerra. Sono interrogativi giusti ai quali però difficilmente si avrà risposta. Non si vuole essere maliziosi e malpensanti, quindi si proverà a pensare per una volta che, ciò che è stato fatto, è avvenuto nell’interesse della collettività e collaborando con tutti i gruppi parlamentari. In tal caso aveva ragione Berlinguer nel dire che ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno.

 


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