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Words from the World è la rubrica della redazione dei GD Milano in cui traduciamo e ripubblichiamo contributi apparsi in quotidiani, riviste e siti internazionali!

Disclaimer: tutte le traduzioni e pubblicazioni avvengono previo consenso dell’autore originale/all the pubblications and translations are made with the consent of the original author. This article appeared originally on Social Europe (website available here) on June 25th 2024; the original article can be read here: https://www.socialeurope.eu/italy-a-post-fascist-assault-on-democratic-checks


traduzione a cura di Giovanni Colombo

L’assalto post-fascista alle regole democratiche

Il governo Meloni scommette tutto su riforme costituzionali radicali e polarizzanti

Di Valerio Alfonso Bruno: Valerio Alfonso Bruno is a research fellow at the Università Cattolica del Sacro Cuore in Milan. He is co-author with James F Downes and Alessio Scopelliti  of The Rise of the Radical Right in Italy: A New Balance of Power in the Right-wing Camp (Ibidem and Columbia University Press, 2024).


Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il suo governo sono usciti rafforzati dalle recenti elezioni europee, nelle quali il partito della premier (Fratelli di Italia) ha ottenuto il 28.8 % delle preferenze. A livello europeo, il gruppo parlamentare dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) di cui FDI è parte si qualifica come la terza forza nel Parlamento Europeo, potendo contare su 83 parlamentari. D’altra parte, il gruppo di Identità e Democrazia (ID), la forza di estrema destra che raggruppa la Lega in Italia e Rassemblement National in Francia, si è aggiudicata 58 seggi.

Tipicamente, gli italiani hanno preso l’abitudine di vedere cambiare il proprio governo approssimativamente ogni anno e mezzo, e in pochi si sarebbero aspettati un’eccezione con il governo Meloni. Infatti, il governo più a destra della storia repubblicana italiana (composto da FDI, Lega e FI) potrebbe avere delle possibilità di raggiungere addirittura la fine del mandato legislativo di cinque anni.

Il premierato

Oltre alla sua stabilità legislativa, il governo Meloni sta riuscendo ad implementare alcune riforme essenziali proposte nella campagna elettorale delle elezioni politiche di settembre 2022, inclusa la riforma del premierato, secondo la quale l’articolo 92 della Costituzione Italiana verrebbe modificata introducendo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. Il testo della riforma è stato approvato al Senato durante le scorse settimane, suscitando il giubilo da parte della maggioranza.

Tuttavia, il testo di legge deve ancora affrontare la discussione della Camera e del Parlamento interamente costituito. Tramite tale percorso, vi è la possibilità che la legge venga respinta oppure ad una sconfitta in sede di referendum, che si terrebbe nel caso in cui non sia raggiunta una maggioranza qualificata con due terzi dei voti del parlamento. Un risultato negativo scatenerebbe il caos nella maggioranza.

Chiaramente, la modifica costituzionale mira ad evitare che il risultato delle elezioni possa essere ribaltato da cambi di governo e nuove maggioranze durante la stessa legislatura. Il Presidente del Consiglio sarebbe direttamente eletto tramite suffragio universale per un termine di cinque anni, accantonando la pratica secondo la quale il premier è nominato dal Presidente della Repubblica sulla base delle coalizioni e maggioranze emerse in parlamento dopo le elezioni. Evidentemente, la coalizione formatasi con l’appoggio del premier otterrebbe un bonus elettorale di dimensioni variabili a seconda della legge elettorale in vigore.

L’attuale testo approvato dal Senato prevede che, in caso di dimissioni o se il governo dovesse perdere la fiducia delle camere, il Presidente della Repubblica dovrebbe individuare come premier un’altra figura all’interno della stessa maggioranza di governo, differentemente a quanto accaduto in passato, quando per esempio la figura tecnica di Mario Draghi fu scelta per guidare il paese durante la crisi pandemica. Se anche questo tentativo dovesse risultare in una mancanza di fiducia dal Senato o dalla Camera (o in un ritiro della fiducia da parte di almeno una delle camere), il presidente dovrebbe sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni.

Opposizioni compatte

Nel frattempo, le opposizioni appaiono maggiormente coese nella netta opposizione alla riforma del premierato, sebbene le manifestazioni di piazza contro la riforma tenutesi a giugno non abbiano avuto il supporto delle forze centriste, ovvero quelle guidate da Matteo Renzi e Carlo Calenda. Hanno invece ribadito la loro strenua opposizione al premierato la leader del Partito Democratico Elly Schlein, insieme ad altri partiti dell’area di sinistra (Verdi-Sinistra Italiana e altri minori), e Giuseppe Conte, leader di indebolito Movimento 5 Stelle.

Almeno parte della società civile è altrettanto allarmata. A seguito di espressioni di grande preoccupazione dalle dichiarazioni di Liliana Segre, sopravvissuta all’Olocausto, con gruppo di centottanta costituzionalisti hanno firmato un severo appello contro la riforma, che altererebbe profondamente la Costituzione Italiana:

Tutti i timori esposti nell’accorato intervento della Senatrice Segre sono fondati. La creazione di un sistema ibrido, né parlamentare né presidenziale, mai sperimentato nelle altre democrazie, introdurrebbe contraddizioni insanabili nella nostra Costituzione. Una minoranza anche limitata, attraverso un premio, potrebbe assumere il controllo di tutte le nostre istituzioni, senza più contrappesi e controlli. Il Parlamento correrebbe il pericolo di non rappresentare più il Paese e di diventare una mera struttura di servizio del governo, distruggendo così la separazione dei poteri. Il Presidente della Repubblica sarebbe ridotto ad un ruolo notarile e rischierebbe di perdere la funzione di arbitro e garante. Di fronte a tutto questo anche noi – come la Senatrice – non possiamo e non vogliamo tacere.

Sebbene il processo per l’approvazione della riforma sia complicato e le opposizioni sembrano essersi unite, il governo guidato da Giorgia Meloni appare molto solido. In quasi due anni dall’inizio della legislatura, il governo ha seguito un percorso che minimizzasse le frizioni con le istituzioni europee e con i suoi alleati regionali e internazionali (la NATO in particolare), oltre ai mercati finanziari globali. Tale base profilo internazionale è stato abbandonato solo raramente, poiché l’attuale governo si è posizionato nel solco tracciato dalla precedente amministrazione Draghi. Le posizioni internazionalmente più caute e moderate del governo di estrema destra sono tuttavia state compensate da narrazioni e politiche pubbliche piuttosto radicali a livello nazionale.

Egualmente divisivo

Oltre al premierato, altre riforme egualmente divisive sono state proposte dal governo, come l’autonomia differenziata (approvata il 19 giugno), fortemente voluta dalla Lega come politica che ricalcasse le origini del partito, quando si chiamava Lega Nord e pretendeva l’autonomia e l’indipendenza per le regioni più ricche nel Nord Italia. Questa legge garantisce autonomia legislativa alle regioni su materie di competenza mista con il governo centrale, e in tre casi di materie finora di competenza esclusiva dello Stato. Insieme ad un più ampio potere legislativo, le regioni potranno trattenere le imposte raccolte, che non verranno più versate al governo centrale e redistribuite secondo i bisogni di ciascuna regione. Tale riforma può apparire parecchio controversa, poiché potrebbe portare  ad un aumento del divario tra Nord e Sud Italia, con l’ultimo storicamente meno sviluppato.

Vi è quindi necessità di non sottostimare l’attuale governo italiano. Portando il messaggio che le élite siano maggiormente a favore del mantenimento dello status quo, il governo Meloni è stato finora in grado di realizzare quanto promesso, incluse le proposte più controverse e polarizzanti.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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