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Da qualche anno, destra e sinistra in tutto il mondo hanno ricominciato a dibattere animosamente dei monumenti. A colpi di cancel culture gender ideology, il confronto politico si gioca, al giorno d’oggi, anche sulla cultura, la memoria e i ricordi sociali. Statue?! è la rubrica dei GD Milano che intende affrontare la questione, analizzando casi da tutto il mondo per gettare luce su questa dinamica contemporanea!


a cura di Giuseppe Pepe

In seguito all’articolo Cadano i monumenti del passato, per diventare monumenti del presente si è sentita la necessità di trovare un riscontro della proposta di “attualizzare i monumenti” che nelle nostre città sono oggetto di dibattito.

L’intenzione, già riportata nel precedente articolo, non è quella di riscrivere la storia, ma di stratificare i monumenti dei nuovi portati valoriali propri della nostra società. Qualsiasi attività di “cancellazione” o “eliminazione” dei manufatti storici comporterebbe, infatti, la negazione di un confronto e di un’analisi seria del passato della civiltà occidentale che deve essere studiata, compresa nella sua contingenza storica e superata dalle nuove sensibilità. In una sola parola “affrontata”.

Per avere un riscontro di queste idee abbiamo deciso di intervistare Barbara Pollastrini a cui sottoporremo il progetto del monumento a Indro Montanelli. Barbara Pollastrini è stata dal 2006 al 2008 Ministra per i diritti e per le pari opportunità ma è attiva nella politica milanese fin dal ‘68 nei gruppi giovanili della sinistra del capoluogo meneghino. Nel ‘78 aderisce al Partico Comunista Italiano, di cui sarà segretaria verso la fine degli anni ‘80. Da sempre grande promotrice delle politiche per la parità di genere, nel 1999 diventerà coordinatrice nazionale delle donne diessine.

GD: Nel Partito Democratico lei ha una lunga storia, le posso chiedere se nel suo percorso politico si è mai incontrata/scontrata con un monumento?

BP: Da  studentessa sono  stata una “sessantottina”, ho partecipato  con intensità a un movimento che ha creato linguaggi, musica, contestazione.L’immaginazione al potere”,   “Siamo realisti, pretendiamo l’impossibile”, “È proibito proibire e poi il  movimento delle donne con “Il corpo è mio e lo gestisco io” “Ci vogliono ignoranti, ci avranno ribelli” “Tremate, tremate le streghe son tornate”. Non mi è capitato di prendere di mira un monumento in sé, semmai in tanti e tante ci salivamo sopra con una bandiera, ad esempio  su quello in Piazza del Duomo a Milano. Da lì vedevi arrivare i cortei dalle fabbriche. L’emozione era tanta e mi pareva straordinario l’incontro tra noi,  sindacati,  lavoratori, lavoratrici. Insomma, più che guardarlo quel Vittorio Emanuele lo usavamo.

Ogni generazione ha un suo valore, un suo alfabeto, per me ciò che conta è che si nutra di un senso di giustizia globale. Poi, da adulta, anch’io ho dovuto imparare altro. Mi ha colpita la capacità di innovare con coraggio, penso alla Piramide davanti al Louvre, opera voluta al tempo di Mitterrand e in origine causa di polemiche. Nella mia città mi capita di associare l’Arco della Pace ai momenti drammatici delle guerre in corso. Quell’Arco viene progettato in epoca napoleonica, inaugurato a ridosso dell’unità d’Italia, ma quel richiamo alla parola Pace oggi si carica di una missione ancora da compiere. Mi piace la mescolanza tra  vecchio e  nuovo, come l’antica  ciminiera della Pirelli vicino all’università Bicocca e al teatro. Conservare e innovare, ma innovare per conservare e su questo Milano, la grande Milano con il suo hinterland,  ha un modo tutto suo. Qui, però, il discorso si farebbe lungo perché la bellezza dei grattacieli si scontra con la fame di casa e il divario insopportabile tra ricchezze e povertà. 

GD: Per lei dunque qual è il significato?

BP: Il fatto è  che  in questo nostro tempo alcune parole, pace, diritti umani, uguaglianza, suonano come un’utopia, eppure il miglior realismo resta l’utopia. È solo uno spunto per ricordare che noi europei siamo figlie e figli di una cultura della memoria che vede le nostre città, vie, piazze, caratterizzate da una sorta di “memoranda” a cielo aperto. Anni fa ne ha scritto George Steiner spiegando come cresciamo dentro luoghi dove ogni via, boulevard, lungofiume o viali sono intitolati, hanno un nome, una targa. Mentre a New York, un numero indica la strada. E forse in questo c’è un’indicazione del destino di cui farti carico. La memoria è costellata di monumenti, statue, edifici, che a scrutarli raccontano del futuro. Per noi Binario 21 è la pietra d’inciampo permanente.

GD: Ha mai pensato a un atto concreto contro un  monumento?

BP: A un atto concreto no. Per alcuni provo fastidio e vorrei circondarli con altri che restituiscano prestigio a chi il prestigio se lo è meritato.  E allora sì, provo indignazione verso il potere che vorrebbe negare che la storia l’hanno fatta operaie, braccianti, insegnanti, scienziate, artiste, Resistenti, madri Costituenti, femministe, migranti. La vera Cancel Culture l’hanno inventata il patriarcato e il maschilismo facendo del male all’intera umanità e alla dignità di ogni persona. Adesso qualcosa si muove, ma non bastano atti riparatori. Forse si dovrebbe stabilire che d’ora in avanti ogni via e nuova opera deve riconoscere l’articolo 3 della Costituzione.

GD: I rapporti travagliati tra cittadinanza e i suoi monumenti non sono mai stati cosi’ presenti nella cronaca. La Cancel culture si è scagliata contro molti simboli del nostro passato. Lei cosa ne pensa?

PB: È un’espressione di ribellione su cui non riesco a rispondere solo con l’ostracismo. Non sono assolutamente un’esperta. E’ una forma che prende origine in alcune università degli Stati Uniti sull’onda del movimento Me Too e la rilettura delle responsabilità del primo colonialismo contro i nativi. Proprio per questo fammi dire l’apprezzamento e la curiosità verso il vostro progetto che non rimuove le indifferenze e si misura nella ricerca di altre vie. La storia è ben più densa. Magari bastasse abbattere un monumento per cancellare le storture e il buio delle civiltà.  La storia  è un conflitto permanente tra il bene e il male verso cui solo i bambini e le bambine possono dichiararsi innocenti.  La  buona politica e la cultura hanno il dovere di una passione  onesta che metta in dialogo e unisca chi vuole stare dalla parte giusta. Dopo il 1989 e il crollo del Muro di Berlino ricordo l’abbattimento di statue che celebravano i dittatori di quei paesi. Era la reazione di popoli convinti di conquistare finalmente la loro libertà.  Sarebbe stato come chiedere ai nostri Partigiani e alle nostre Partigiane di non abbattere migliaia di fasci littori dopo il 25 aprile del ’45 o di non cancellare svastiche e busti. Poi mi viene in mente una frase di Liliana Segre, quando diceva che senza memoria  persino la Shoah potrà essere rimossa. Mi dico quanta salvezza ci sia nella storia. E allora può avere un fascino la vostra idea di “circondare”, di  “destrutturare”, di  “trasformare” o aggiungo io di “pensionare” i monumenti in una coscienza critica collettiva.

GD: La sua storia con l’università è strettamente legata alla nostra città e uno dei monumenti più discussi a Milano è la statua di Indro Montanelli nell’omonimo parco. Lei cosa ne pensa di quel monumento? E’ giusto che il giornalista italiano sia celebrato?

PB: Nella biografia di Indro Montanelli c’è l’importanza del giornalista, ritenuto per decenni tra i più autorevoli e rinomati. Ma nella sua biografia c’è la macchia orribile di  violenza nei confronti di una bambina di 12 anni comprata in Abissinia come schiava sessuale e poi rivenduta. C’è stato il Montanelli fascista, teorico della superiorità della razza, e poi il Montanelli in rottura con il berlusconismo e vittima di un attentato terroristico. Qualcuno ha scritto che alla sua epoca “servirsi” di una schiava era nelle cose e che anche i greci  avevano come  bottino di guerra ragazze e bambine troiane. Torno al punto che mi sta più a cuore. La vera “Cancel culture” è quella di un maschilismo e un patriarcato che per secoli e decenni hanno aggredito i diritti umani delle donne, condizione peraltro della dignità di ciascuno e dell’intera umanità.  Questo hanno gridato le nostre piazze del 25 novembre, questo gridano in Iran le piazze che inneggiano a “Donne, Vita, Libertà”. Quella statua stride con chi pensa che i diritti umani siano la morale della storia. Siccome lo chiedete a me, vi dico con sincerità che di quella statua non sentivo il bisogno. E comunque la vostra idea di “circondarla” mi pare una testimonianza pacifica.

GD: Stiamo cercando sui monumenti di proporre una nuova visione. L’idea è quella di escludere la rimozione o lasciare lo stato di fatto così com’è per tutti quei monumenti che sono oggetto di dibattito e di pensare a un’addizione reversibile al monumento di elementi che possano attualizzare il suo significato. Nel caso specifico volevamo proporle per la statua di Indro Montanelli un accostamento a un altro monumento da realizzare ex novo. Questo consiste in una lastra metallica alta e larga almeno 4 metri nella quale sono affastellate diverse bambole sempre in metallo grandi tra i 20 e i 30 centimetri. In centro alla lastra un foro rettangolare. La posizione di questa installazione è fondamentale: il foro infatti dovrà puntare verso l’immagine laterale o di spalle della statua di Indro Montanelli. Il significato appare lampante: il muro che si alza ben sopra l’altezza di una persona, i diversi simboli dell’infanzia appesi alla lastra, soli e ammucchiati, e al centro uno squarcio verso uno dei protagonisti di un caso che ai tempi era solo uno di molti ma che in seguito fece scalpore. E’ ovvio che le due opere, quella di Indro Montanelli e il monumento che potrebbe essere dedicato alle vittime delle violenze coloniali, lavorano in questo modo sinergicamente. L’una giustifica l’altra ed entrambe fanno parte del nostro passato per cui la rimozione di una comporterebbe la perdita in parte di significato dell’altra. Le faccio vedere alcuni elaborati e schizzi che abbiamo preparato.

GD: Rispetto a questa proposta specifica e all’idea di attualizzare senza compromettere il manufatto storico lei cosa ne pensa?

PB: Lo ripeto, siete delle e dei giovani visionari nell’accezione più bella che si può dare a questo termine. Se capisco bene volete favorire una lettura, una percezione più limpida  e critica di un monumento o una piazza. In questo caso vorreste posizionare una installazione collegata alla statua di Montanelli che indichi  come si dovrebbe leggere la storia e ogni storia. E’ un’idea che vorrei potesse camminare. Come vorrei che tante donne venissero rappresentate per il loro valore. Se pensiamo che solo nel 2021 a Milano si dedica una statua a una donna, Cristina Trivulzio di Belgioioso.

GD: Quindi secondo lei è giusto attualizzare i monumenti? Dare loro nuovo significato?

PB: È un traguardo che può essere favorito dalle nuove tecnologie. Penso all’obelisco con la scritta dux che fa mostra davanti allo stadio Olimpico di Roma. (ndr. l’obelisco citato dall’on. Polastrini sarà oggetto di un altro articolo) Ecco , magari per tanti giovani che frequentano le curve per tifare i loro beniamini, potrebbe essere utile far conoscere che cosa i loro nonni e bisnonni hanno dovuto soffrire a causa di quel nome e quella scritta.

GD: Secondo lei quali sarebbe l’accoglienza a questa proposta da parte della società italiana?

PB: Da alcuni e  alcune applausi sinceri. Soprattutto da chi ha chiaro quanto  la storia sia minacciata dalla destra che vorrebbe riscriverla col presidenzialismo e l’abbraccio con un’internazionale oscurantista che ha nel mirino Illuminismo, Antifascismo, Diritti, e di cui il primo bersaglio è la libertà delle donne. Da altri irrisa. E da  altri ancora considerata un gioco di ragazzi perché si sono dimenticati che le rivoluzioni le fanno i giovani.

GD: Le viene in mente un monumento che vorrebbe aggiornare?

PB: Sono sincera, più di uno. Tutti quei re, generali anche nelle vie. Sono così fiera di chi il 2 giugno del 1946 ha votato Repubblica.  Ma alla fine mi dico che stiano lì polverosi e stanchi, prima o poi andranno in un deposito per dare spazio al verde.  Esiste anche l’arte del trasloco, mettendo a riposo qualcuno e dando spazio ad altre. Per me il monumento più caro è il Duomo con la sua Madonnina perché è una fabbrica sempre in costruzione grazie ad architetti e scalpellini.  La statua più bella? Beh, a parte l’assoluto di cui l’Italia è culla, da noi, la Pietà Rondanini, la cupola di Santa Maria delle Grazie e il Cenacolo lì accanto,  e potrei continuare.  Per stare  nel tempo recente mi piace il Grande Disco in Piazza Meda.  Però la speranza è che la più bella sia ancora da scolpire. Dunque  sperimentiamone tante, diffuse nella città metropolitana, con gare tra giovani artisti che guardino quanto status quo e classi dirigenti impigrite non sanno più vedere.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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