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di Serxho Marku

La disputa con la Grecia e le tensioni etniche degli anni 90

La Macedonia del Nord è una dei pochi Paesi appartenenti all’ex Jugoslavia che è riuscita ad ottenere pacificamente l’indipendenza da Belgrado, il 25 settembre 1991. In seguito all’indipendenza, il governo della Grecia avviò una disputa sul termine “Macedonia” e sull’utilizzo della bandiera con il sole di Verghina (o Stella argeade, nome che viene dalla dinastia a cui appartenevano Filippo II di Macedonia e Alessandro Magno) considerati da Atene come parte del proprio patrimonio storico e culturale, soprattutto da coloro che abitano nella regione greca di Macedonia, con capoluogo Salonicco.  A causa del continuo rifiuto della Grecia nel riconoscere il nome ufficiale e la bandiera, appellandosi anche all’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI), il governo di Skopje riuscì ad aderire all’ONU nel 1993 con la denominazione inglese di Former Yugoslav Republic of Macedonia o FYROM, con anche una bandiera diversa da quella originale.

Quando esisteva ancora la Jugoslavia, i diritti delle minoranze etniche erano garantiti dalla costituzione della repubblica socialista di Macedonia. Con la una nuova costituzione del 1991 gli albanesi persero gran parte dei diritti di cui godevano fino ad allora e questo causò un aumento delle tensioni tra la maggioranza macedone e la minoranza albanese. Nel luglio del 1997, a seguito della vittoria alle elezioni amministrative, i sindaci di etnia albanese issarono la bandiera dell’Albania sugli edifici comunali nelle città di Gostivar e Tetovo, scatenando l’ira del governo macedone di Skopje. Il 9 luglio la polizia arrestò i due sindaci albanesi insieme ai presidenti dei rispettivi consigli comunali e rimosse le bandiere dagli uffici, scatenando le proteste della comunità albanese. Il governo centrale di sinistra, composto da esponenti dell’Unione Socialdemocratica di Macedonia, tentò di reprimere le proteste con l’uso della forza. Alla fine dei disordini si contarono 4 albanesi morti, più di 70 feriti e centinaia di arresti. I due sindaci vennero condannati a 13 anni di carcere, ma ne scontarono soltanto 2 grazie ad un’amnistia concessa nel 1999 dopo le pressioni fatte dal Parlamento europeo.

Dopo un decennio di discriminazioni, difficoltà economiche e divieto di utilizzo della lingua e della bandiera albanese, una parte della minoranza albanese insorse contro lo Stato macedone. Durante il conflitto del Kosovo nel 1999, gli albanesi della Macedonia del Nord accolsero più di 250.000 profughi. Alla fine del conflitto kosovaro alcuni membri dell’UÇK (Esercito di Liberazione del Kosovo) entrarono in Macedonia e fondarono una nuova organizzazione paramilitare chiamata “Esercito di liberazione nazionale”, che adottò la stessa sigla di quello kosovaro. La minaccia che fece scoppiare il caos fu l’assalto sferrato dal UÇK albanese-macedone contro la polizia, uccidendo un poliziotto e ferendone due, il 22 gennaio 2001 nel villaggio di Tearce.

In poco tempo i disordini si espansero in tutti i villaggi e città abitati in prevalenza da albanesi. A marzo il governo di Skopje acquistò aerei ed elicotteri da guerra dall’Ucraina per combattere gli insorti. Nonostante gli sforzi diplomatici dell’Ue, degli USA e della NATO, il conflitto proseguì per diversi mesi a causa delle posizioni distanti tra le parti del conflitto. Da una parte i ribelli albanesi chiesero la secessione delle aree abitate in prevalenza da questi ultimi, mentre il governo macedone non intendeva rinunciare alla propria sovranità. Il 13 ottobre 2001 venne firmato l’accordo di pace di Ohrid: entrambe le parti si impegnarono per la cessazione delle ostilità. L’accordo consentì maggior tutele alle minoranze etniche come l’uso della lingua nei comuni in cui la minoranza supera il 20% e obbliga le istituzioni ad avere “quote etniche” nella pubblica amministrazione.

Le nuove tensioni con la Grecia e il governo di Nikola Gruevski

Dopo aver ratificato l’accordo di stabilizzazione ed associazione con le comunità europee nel 2001, la repubblica di Macedonia presentò la domanda di adesione all’Unione Europea il 22 marzo 2004. Nel 2005 il Paese riuscì ad ottenere lo status di Paese candidato a membro dell’UE e nel 2009 la Commissione Europea raccomandò l’avvio dei negoziati, ma la Grecia pose il veto a causa della disputa sul nome. Nel 2006 il partito nazionalista di destra DPMNE (Partito Democratico per l’Unità Nazionale Macedone) vinse le elezioni parlamentari ed il suo leader Nikola Gruevski divenne il nuovo Presidente del Governo.

Negli anni successivi con l’appoggio del partito albanese Unione Democratica per l’integrazione o UDI, fondato da Ali Ahmeti, leader politico dell’ex UÇK macedone, Gruevski riuscì a rimanere a governo fino al 2016, vincendo le elezioni nel 2008, nel 2011 e ne 2014.

Gruevski, durante il suo governo si rifiutò di cambiare il nome della repubblica macedone, bloccando l’adesione all’Unione Europea e alla NATO. Ogni scoppiarono numerosi scandali di corruzione, che provocarono malcontento. I comuni abitati in prevalenza da minoranze etniche ricevettero meno fondi governati, con la conseguenza di un’emigrazione costante che portò ad una diminuzione della popolazione dello Stato macedone. Nel 2015 il leader dell’opposizione macedone Zoran Zaev, alla guida dell’Unione Socialdemocratica di Macedonia o SDSM, pubblicò diverse intercettazioni dalle quali emerse che Gruevski e gli apparati di sicurezza avrebbero sorvegliato circa 20.000 persone, con l’obiettivo di avere il mantenere il potere controllando quelle persone che avrebbero potuto criticare il suo governo.

Questo causò numerose proteste tra la popolazione che si riversarono nelle piazze macedoni per diverse settimane. Il governo nazionalista di Skopje, nel tentativo di distogliere l’attenzione pubblica, aumentò le tensioni tra le diverse etnie con l’Attentato di Kumanovo.  Il 9 maggio 2015 le forze speciali macedoni attaccarono un gruppo di combattenti albanesi asserragliati nel quartiere albanese della città di Kumanovo. Il risultato fu la morte di 18 persone e la distruzione di diverse abitazioni civili. Gruevski si rivolse alla nazione macedone, affermando che un gruppo terrorista era giunto in Macedonia per portare disordine e caos. Il suo discorso però non ebbe l’effetto sperato: dopo l’attentato diversi ministri e il capo dei servizi segreti si dimisero, venendo poi iscritti nel registro degli indagati; nel frattempo gran parte dell’opinione pubblica si convinse che l’attentato fosse stato organizzato dal governo e quindi le manifestazioni continuarono. Johannes Hahn, commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento, convinse Gruevski a indire elezioni anticipate.

L’attacco al Parlamento e l’Accordo di Prespa sul cambio del nome

L’11 dicembre 2016 si tennero le nuove elezioni parlamentari. Nonostante il partito nazionalista di destra arrivò per primo con 51 seggi su 120, fu il partito socialdemocratico con 49 seggi a formare un nuovo governo. Zoran Zaev, leader dei socialdemocratici, divenne il nuovo Presidente del Governo, formando una coalizione con diversi partiti albanesi e non. L’obiettivo era quello di porre fine alla disputa con la Grecia e velocizzare il processo di adesione all’UE e alla NATO, oltre che un aumento dei diritti delle minoranze etniche.  Il 27 aprile 2017, durante l’elezione del primo albanese a Presidente del parlamento macedone, gli estremisti nazionalisti sostenitori del VMRO-DPMNE assaltarono l’edificio del parlamento, aggredendo i parlamentari della nuova maggioranza. Al termine degli scontri Ziadin Sela, leader del partito albanese ASH (Alleanza per gli albanesi) venne ridotto in fin di vita.

Nel 2018 Zoran Zaev insieme al primo ministro greco Alexīs Tsipras annunciano di aver trovato un accordo che ponga fine alla lunga disputa sul nome. L’Accordo di Prespa (il nome dal lago di Prespa nelle vicinanze della firma) viene siglato il 12 giugno 2018 tra la Grecia e la Macedonia sotto l’egida delle Nazioni Unite, venendo poi ratificato dai rispettivi parlamenti il 25 gennaio 2019 e il 12 febbraio 2019. L’ex Repubblica di Jugoslava di Macedonia divenne così  la Repubblica della Macedonia del Nord. Il presidente macedone Gjorge Ivanov, esponente del VMRO-DPMNE (eletto dai cittadini nel 2009 e riconfermato nel 2014)  si rifiutò però di riconoscere il cambio di nome dello Stato macedone, opponendosi. Si creò così una crisi istituzionale che venne risolta grazie all’accordo raggiunto tra i socialdemocratici macedoni e i partiti albanesi, riuscendo così a riformare la costituzione. I partiti albanesi ottennero che la lingua albanese venisse inserita nella costituzione macedone.  L’opposizione guidata dai nazionalisti gridò al tradimento, criticando le concessioni fatte a greci e albanesi. Il cambio del nome permise alla Macedonia di entrare nella NATO nel 2020. Nel frattempo Nikola Gruevski venne condannato a due anni di carcere per abuso di potere, ma è riuscito a fuggire in Ungheria dove ha chiesto ed ottenuto asilo politico dal suo storico alleato Viktor Orbán.

Il veto francese e la nuova disputa con la Bulgaria

Dopo aver superato il veto greco sull’apertura dei negoziati nel 2019, le nuove difficoltà vennero dalla Francia: il governo di Parigi decise di porre il veto sull’Albania, bloccando anche il percorso della Macedonia del Nord, la cui adesione è legata a quella del paese delle aquile. A seguito della sconfitta alle elezioni amministrative nel 2021 Zoran Zaev si dimette e l’incarico di formare il nuovo governo viene assegnato a Dimitar Kovačevski, che diventa anche il nuovo leader dell’Unione Socialdemocratica di Macedonia. Questi forma una coalizione con il partito albanese UDI, stabilendo un governo di rotazione: la carica di presidente del governo sarà prima assunta da Kovačevski e poi dal leader dell’UDI, Talat Xhaferi, che ricopriva il ruolo di presidente dell’Assemblea della Repubblica di Macedonia (il parlamento macedone) dai disordini del 2017.

Questa scelta ha destato alcune polemiche per via del passato di Xhaferi come combattente dell’UÇK albanese durante il conflitto nel 2001.

Lo scoppio del conflitto russo-ucraino nel 2022 ha portato un nuovo slancio al percorso di integrazione europea dei balcani occidentali, ma l’apertura dei negoziati questa volta è stata bloccata dalla Bulgaria. La Francia interviene di nuovo proponendo che nella costituzione macedone venga riconosciuta la minoranza bulgara, per togliere così il veto del governo di Sofia. Nel luglio del 2022 viene dato il via libera per l’apertura dei negoziati, ma vista la necessaria maggioranza di due terzi del parlamento per riformare la costituzione macedone, il processo viene bloccato dai nazionalisti di VMRO-DPMNE, fermando anche l’adesione dell’Albania.  Il lento percorso verso l’Unione Europea e le continue richieste da parte di Grecia e Bulgaria hanno fatto crescere di molto l’euroscetticismo in Macedonia. Se da una parte la popolazione albanese ha un solido orientamento “europeista”, lo stesso non si può dire della popolazione macedone.

L’accordo di Prespa non ha portato i risultati sperati (ritardata l’adesione all’UE), ed è stato percepito come un’umiliazione dai macedoni che oggi non sembrano voler accettare altri compromessi.

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