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Words from the World è la rubrica della redazione dei GD Milano in cui traduciamo e ripubblichiamo contributi apparsi in quotidiani, riviste e siti internazionali!

Disclaimer: tutte le traduzioni e pubblicazioni avvengono previo consenso dell’autore originale/all the pubblications and translations are made with the consent of the original author. This article appeared originally on Social Europe (website available here) on  February 13th 2025; the original article can be read here: https://www.socialeurope.eu/totalitarian-democracy-how-populist-leaders-are-undermining-democracy


 traduzione a cura di Amalia Sofia Di Bari

I leader populisti sfruttano la democrazia per consolidare il potere, smantellano le istituzioni e accantonano le consulenze, minacciando la stabilità globale.

I teorici politici, insieme ad altri studiosi di ideologie e sistemi politici, hanno da tempo tracciato una chiara distinzione tra Stati democratici e totalitari. Tradizionalmente, la democrazia è stata concepita come distante dal totalitarismo, sia esso nella forma del fascismo, dell’assolutismo o della dittatura. La visione prevalente ci dice che i regimi totalitari sono alla ricerca di controllo su ogni aspetto della società, senza lasciare alcuno spiraglio alle opposizioni politiche, a una società civile indipendente, tribunali imparziali, università autonome, mass media liberi o organi qualificati isolati dall’interferenza politica. In tali sistemi, la meritocrazia nella pubblica amministrazione è rimpiazzata dalla fedeltà politica, con nomine basate sull’alleanza al leader o al partito di turno al governo. L’autorità centralizzata, spesso concentrata in una singola carismatica figura, domina su ogni sfera del governo.

L’ascesa di Donald Trump e l’ondata in tutto il mondo di analoghi populisti politici inclinati in questa direzione, solleva la domanda se la classica dicotomia tra regimi democratici e totalitari regga ancora. Trump e le sue controparti rappresentano, secondo me, un nuovo modello ideologico meglio descritto con il termine ‘democrazia totalitaria’. A differenza del palese autoritarismo, questo modello non elimina in toto la democrazia rappresentativa, ma reinterpreta nella sostanza il significato dello stesso mandato elettorale. Esso afferma che conquistare la maggioranza dei voti garantisce alla leadership eletta un diritto non controllato di imposizione del proprio volere su tutte le aree della vita pubblica, con poco riguardo per i limiti costituzionali o le norme consuetudinarie di governo democratico. Il rispetto delle regole nella politica – un tempo principio guida in numerose democrazie – è tralasciato in favore di un maggioritarismo aggressivo.

Uno degli effetti più visibili di questo cambio di direzione è la sistematica erosione della meritocrazia nella pubblica amministrazione. La lealtà politica prende sempre più il posto delle competenze nelle nomine di governo, dato che i leader eletti esigono fedeltà assoluta dai funzionari pubblici. Gli indipendenti organi qualificati, da lungo incaricati di fornire consigli oggettivi su problematiche quali sanità, politica estera, protezione ambientale e gestione delle risorse naturali, sono emarginati o rimosse interamente. In breve, la dimensione epistemica della democrazia è abbandonata in questa concezione totalitaria della democrazia.

Ci si aspetta che scuole e università si conformino a una nuova forma di ‘esattezza’ [correctedness] politicamente imposta che si allinea con il partito dominante e la sua leadership. Il timore della ritorsione – che sia nella forma del licenziamento, diffamazione pubblica o perdita di fondi – plasma un processo decisionale all’interno delle istituzioni pubbliche, sostituendo il tradizionale ethos del lavorare per il bene comune con la sottomissione ai programmi del leader. Tra i suoi più cari obiettivi, non c’è spazio per il dissenso o la discussione critica. Al contrario, sono richieste la totale devozione e la cieca obbedienza.

Jan-Werner Müller, massimo studioso della materia, descrive questo fenomeno come politici che cercano di ‘colonizzare’ lo Stato. Un esempio lampante di ciò si è verificato nei mesi finali del primo mandato di Trump, quando ha introdotto lo “Schedule F” (Ordine Esecutivo N. 13957), una misura che ha permesso il licenziamento sommario di migliaia di funzionari pubblici senza giustificato motivo. Il presidente Joe Biden, quando è stato immesso nell’esercizio delle sue funzioni, ha subito abrogato l’ordine, ma per come si muovono le acque potrebbe tornare presto a essere applicato. Gli sforzi per rimuovere la United States Agency for International Development (USAID) e il licenziamento di oltre dieci mila impiegati esemplificano questa strategia. Qualora tali misure vadano avanti, la conseguente interruzione di sussidi medici e assistenza umanitaria potrebbe portare a più morti in tutto il mondo rispetto alle vittime provocate dall’invasione russa dell’Ucraina. Insieme al tech miliardario Elon Musk, Trump sembra intento a indebolire ancor di più la già fragile pubblica amministrazione statunitense, spogliandola della sua autorità e competenza.

La ricerca in questo campo, stranamente, parla chiaro: i Paesi che riguardo alla p.a. mancano di imparzialità, professionalità e merito sono di gran lunga più propensi alla corruzione e significativamente meno capaci di adempiere al benessere umano. Difatti, vari studi lasciano intendere che la forza della pubblica amministrazione – misurata su criteri di imparzialità, professionalismo e meritocrazia – è strettamente più collegata al benessere rispetto alla mera esistenza della democrazia elettorale. Quando i cittadini valutano la legittimità dei loro governi, fattori come controllo della corruzione, stato di diritto ed efficienza governativa pesano molto più dei soli diritti di stampo democratico. Carl Dahlström e Victor Lapuente, analisti politici, nel loro libro Organizing Leviathan: Politicians, Bureaucrats and the Making of Good Government affermano che una governance di alta qualità emerge nel momento in cui sono stati eletti politici che seriamente si relazionano con i consigli degli esperti. Questo non implica un governo di esperti, piuttosto un governo attraverso gli esperti: i leader democratici dovrebbero avere l’ultima parola, ma solo dopo essersi confrontati con la conoscenza e competenza di un servizio civile professionale.

La ragione per la quale questo equilibrio è cruciale si regge sul fatto che sia i politici sia gli esperti hanno i loro limiti. I politici, spinti dalla pressione elettorale, possono essere poco lungimiranti e opportunistici, ignorando la scomoda, così ritenuta, conoscenza degli esperti. Questi ultimi, d’altro canto, potrebbero diventare distaccati dal sentimento pubblico, così rischiando un deficit di legittimazione. Un buon governo sorge non dal dominio di uno sull’altro ma da una sana e produttiva interazione tra i due. Nel momento in cui i legislatori sono costretti a confrontarsi con gli esperti indipendenti, le politiche ottenute tendono a essere da un lato efficaci, dall’altro lecite sul piano democratico. 

I pericoli di una governance trainata dai cosiddetti fedelissimi sono evidenti. Quando i leaders si circondano esclusivamente di adulatori, rischiano di creare una eco chamber dove li raggiungono solo le informazioni vantaggiose. Ciò può portare a errori di valutazione disastrosi, in particolare in ambito di politica estera e strategia militare. Su questo punto, una spiegazione plausibile per la decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina la si trova nel fatto che la sua cerchia ristretta ha enormemente sopravvalutato la capacità militare della Russia, mentre ha sottostimato la resistenza ucraina. Una dinamica analoga potrebbe aversi sotto la seconda presidenza Trump, dove il ruolo decisionale dovrebbe essere modellato da un entourage di fedeli opportunisti più preoccupati ad appagare il loro leader che a fornire analisi oggettive.

L’emergenza della democrazia totalitaria pone sotto lo sguardo del governo democratico una sfida di alta gravità. L’erosione dei controlli istituzionali, la polarizzazione della p.a. e il rifiuto degli esperti a scapito della lealtà minacciano le fondamenta stesse di un governo efficace. Man mano che questo modello guadagna popolarità, i rischi si estendono ben oltre i singoli Paesi, dando forma all’andamento delle politiche globali in modi che potrebbero rivelarsi profondamene destabilizzanti.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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