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di Gabriele Foi

La liberazione di Cecilia Sala e le relazioni Italia-Iran: una trama complessa

Le relazioni diplomatiche tra Italia e Iran sono da decenni caratterizzate da una delicata alternanza tra cooperazione economica e tensioni geopolitiche. Una storia fatta di accordi energetici, crisi politiche e scambi di prigionieri, che ha trovato un nuovo capitolo con l’arresto e la successiva liberazione della giornalista Cecilia Sala. Detenuta nel carcere di Evin, noto per la reclusione di oppositori e giornalisti stranieri, Sala è stata rilasciata dopo intense trattative diplomatiche l’8 gennaio 2025. L’episodio ha nuovamente acceso i riflettori sul fragile equilibrio tra Roma e Teheran.

Un passato di rapporti altalenanti

L’Italia mantiene relazioni economiche con l’Iran sin dai tempi dello Scià Mohammad Reza Pahlavi, imperatore di Persia dal 1941 al 1979, distinguendosi per una posizione decisamente più pragmatica rispetto ad altri Paesi occidentali. L’Accordo di Amicizia del 1950 e l’intesa energetica del 1957 tra ENI e la NIOC (National Iranian Oil Company) segnarono l’inizio di una collaborazione strategica che vide l’approccio italiano distinguersi subito da quello dei suoi alleati: secondo l’accordo, infatti, il 75% degli utili ricavati dai giacimenti iraniani sarebbe stato destinato alle casse di Teheran, dimostrando l’intenzione del governo italiano a intraprendere collaborazioni che fossero vantaggiose per entrambe le parti, evitando politiche predatorie o a danno dello stato iraniano. Le relazioni tra i due paesi sono proseguite senza problemi, arrivando a un altro punto di svolta nel 1977, con il viaggio di stato del Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, presso quello che allora era lo Stato imperiale dell’Iran.

Dopo la rivoluzione islamica del 1979, che rovesciò il regime monarchico, molte nazioni occidentali interruppero i rapporti con Teheran. L’Italia, pur venendo esclusa dalle decisioni di Francia, Germania Ovest e Stati Uniti, si adattò alle direttive dei suoi alleati ma mantenne comunque canali aperti con il nuovo regime, soprattutto per motivi economici ed energetici. Successivamente, i rapporti sono stati nuovamente normalizzati, quando nel 1999 il presidente della Repubblica islamica, Khatami, decise di recarsi in Italia: si trattò della prima volta dai tempi della rivoluzione che un capo di stato iraniano decise di recarsi in occidente.  Negli anni 2000, il Bel Paese divenne il principale importatore di petrolio iraniano in Europa, fino alla crisi nucleare e alle sanzioni statunitensi del 2018 che costrinsero molte aziende italiane a ritirarsi dal mercato iraniano, pena ritorsioni da parte Washington. La pandemia di COVID-19 ha dato poi un ulteriore colpo alle relazioni economiche bilaterali: le poche attività commerciali italiane rimaste nel paese sono crollate a causa della crisi economica e del mancato sostegno politico e finanziario di Roma.

Il caso Sala: arresto e diplomazia sotto traccia

Arrivando ai nostri giorni, non possiamo non inquadrare l’arresto di Cecilia Sala nella storia delle relazioni italo – iraniane, considerandolo non solo per il caso in sé ma per quello che ci sa dire sui rapporti fra Roma e Teheran, così come sul ruolo che il governo Meloni sta tentando di dare all’Italia nella regione.

Quindi, partiamo dall’inizio: il 19 dicembre 2024, la giornalista Cecilia Sala è stata arrestata a Teheran mentre lavorava a un’inchiesta. Fermata poco prima del rientro in Italia, Sala si stava preparando per andare in aeroporto ma è stata prelevata dalle forze dell’ordine nel suo albergo e trasferita nel carcere di Evin, tristemente noto per la detenzione di prigionieri politici e giornalisti stranieri.

Una ricevuta la notifica dell’arresto da parte dell’ambasciata iraniana a Roma, il governo italiano ha attivato l’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri, i servizi segreti (AISE) e l’ambasciata italiana a Teheran. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, infatti, sono stati informati il giorno successivo, muovendosi tramite questi organi e decidendo di mantenere il massimo riserbo per non compromettere le trattative. È da sottolineare, per capire meglio lo sviluppo della vicenda, che il silenzio iniziale sull’arresto della giornalista è stata una precisa richiesta dei negoziatori italiani, occupati a dialogare con gli omologhi iraniani senza che la scoperta dell’arresto potesse complicare un quadro già abbastanza difficile. La notizia su Sala è stata resa pubblica il 27 dicembre, dopo che l’ambasciatrice Paola Amadei ha avuto la possibilità di incontrarla e verificare le sue condizioni di salute.

Le condizioni di detenzione di Sala si sono rivelate particolarmente dure: isolamento dal primo giorno, privazione dei propri occhiali da vista, interrogatori quotidiani con il volto rivolto al muro e, nell’ultima giornata, un interrogatorio estenuante di dieci ore. “Sentivo le urla dalle altre celle”, ha raccontato Sala dopo il rilascio, sottolineando di essersi considerata fortunata a non aver subito ulteriori violenze. Successivamente, come tutti sappiamo, Cecilia è stata liberata ed è tornata in Italia con un volo dei servizi segreti, segnando un importante successo diplomatico per il Governo Meloni.

L’ombra del caso Abedini: scambio di prigionieri?

L’arresto di Cecilia Sala ha subito sollevato il sospetto di un possibile collegamento con la vicenda di Mohammad Abedini, ingegnere iraniano arrestato a Malpensa su mandato statunitense. Fondatore della società SDRA, specializzata in sistemi di navigazione per droni militari, Abedini era accusato di fornire supporto alle Guardie Rivoluzionarie Iraniane, un’organizzazione considerata terroristica dagli USA.

Il 28 gennaio 2024, infatti, è stato condotto un attacco con droni militari contro una base statunitense in Giordania:  l’attacco ha causato la morte di tre soldati e il ferimento di svariate persone. I sistemi di navigazione presenti sui droni utilizzati nel raid erano gli stessi di SDRA, facendo subito puntare il dito sull’ingegnere, su cui è stato imposto un mandato di cattura internazionale da parte dei tribunali americani.

Dopo l’arresto, gli Stati Uniti avevano chiesto l’estradizione di Abedini. Tuttavia, il 12 gennaio 2025, le autorità italiane hanno revocato il fermo, consentendone il rientro in Iran. La quasi simultanea liberazione di Sala ha alimentato ipotesi su un possibile scambio di prigionieri, sebbene il Ministero della Giustizia italiano abbia negato qualsiasi accordo formale.

Resta il fatto che, il 5 gennaio 2025, Giorgia Meloni si è recata dal neoeletto presidente, Donald Trump, discutendo con lui di svariati dossier ma soprattutto quello riguardante la giornalista. Secondo le indiscrezioni, durante la visita la Presidente del Consiglio avrebbe fatto numerose pressioni, ottenendo il via libera americano per usare l’ingegnere nella trattativa e accelerare il ritorno di Sala in patria.

Fonti diplomatiche indicano che gli Stati Uniti potrebbero aver acquisito dati dai dispositivi elettronici di Abedini prima di autorizzarne il rilascio. Tuttavia, la Procura di Milano ha smentito la ricezione di rogatorie ufficiali, lasciando aperta l’ipotesi che l’intera operazione sia stata gestita attraverso canali di intelligence.

 

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Italia e Medio Oriente: un nuovo ruolo strategico?La gestione del caso Sala, oltre la vicenda in sé, permette di inquadrare, attraverso esempi concreti, quello che è un più ampio riposizionamento della politica estera italiana nel Medio Oriente. A partire dal 2022, il governo Meloni ha avviato un cambio di strategia, mantenendo l’attenzione sul Nord Africa ma dedicando buona parte del proprio impegno verso il Medio Oriente con iniziative come il “Piano Fermi”, volto a rafforzare la cooperazione con potenze regionali come l’Arabia Saudita.

Se questa strategia avrà successo, l’Italia potrebbe emergere come un attore chiave nella stabilità regionale, contendendo a Francia e Germania un ruolo di primo piano. Tuttavia, la concorrenza di Paesi come Turchia e Russia, che mirano ad aumentare la loro influenza in Nord Africa e Medio Oriente, rappresenta un rischio concreto per la diplomazia italiana

Durante le negoziazioni con le autorità iraniane, oltre la liberazione di Abedini, il governo italiano si è offerto di aiutare la Repubblica islamica a stabilire un contatto con le forze rivoluzionarie che poche settimane fa hanno rovesciato il regime di Assad in Siria, prendendo il controllo del paese.

L’apertura di un canale di comunicazione tra Iran e la nuova amministrazione siriana, con il supporto dell’Italia, è un segnale del tentativo riuscito di Roma di assumere un ruolo proattivo nella regione, riuscendo a garantirsi posizioni che si rivelano molto utili in casi come quello di Sala. Resta da vedere se questa nuova strategia permetterà al paese di consolidare il proprio peso diplomatico o se, al contrario, espone a maggiori rischi internazionali: al momento, il modo in cui Roma è riuscita a convincere Teheran grazie ai suoi rapporti con altri attori della regione, indica che si è sulla giusta strada. In sostanza il caso Sala, più che aver segnato una svolta nei rapporti fra Italia e Iran, ha fatto da cartina tornasole degli sforzi italiani per essere un interlocutore credibile e di peso nella regione.

 

Conclusione>Il caso Cecilia Sala ha evidenziato ancora una volta quanto siano intricate le relazioni tra Italia e Iran. Se da un lato la diplomazia italiana ha dimostrato rapidità ed efficacia nel negoziare la liberazione della giornalista, dall’altro la coincidenza con il caso Abedini solleva interrogativi sulla reale autonomia delle scelte italiane e sui futuri sviluppi delle relazioni con Teheran. In un contesto di crescente competizione geopolitica, la capacità dell’Italia di muoversi con equilibrio tra interessi economici, pressioni internazionali e questioni umanitarie sarà determinante per il suo ruolo nella regione.

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