Chiunque di noi conosce il becero ed incivile modus operandi di Milano Bella da Dio (MBdD). Nelle settimane recenti, la popolarità di questa pagina bruta è finita al centro di un gran calderone di polemiche. Dopo l’invito della consigliera comunale Monica Romano a cessare le pubblicazioni e le condivisioni dei contenuti della pagina (invito che le è costato un violento assalto sui social), si è scatenato un putiferio politico che ha coinvolto esponenti politici locali e nazionali oltre che svariati giornalisti, dal sensazionalismo populista di Valerio Staffelli di Striscia La Notizia, fino alla presa di campo più sobria del Corriere, dove, oltre all’inesorabile intervento di Massimo Gramellini , il fondatore di MBdD è stato dipinto come una sorta di paladino sociale.
Superata la fase più turbolenta della bagarre mediatica, una volta che siamo andati oltre il momento in cui è necessario ruggire le proprie posizioni, possiamo procedere ad una riflessione calma sulla questione. Ovviamente, ciò avviene mantenendo un riferimento assoluto ai valori e alle intuizioni conquistate, alle conclusioni già raggiunte, che possono -ora- essere analizzate ulteriormente. Pertanto, in questo articolo non prenderemo una posizione, posizione che per molti versi tutti abbiamo già sviluppato, l’unica che ci interesserà sarà: cosa dobbiamo imparare da Milano Bella da Dio?
Quanto avvenuto circa MBdD non ci insegna nulla sulla sicurezza a Milano, nulla sulle condizioni del trasporto pubblico, nulla sullo stato dell’integrazione nella nostra città. In sostanza, Milano Bella da Dio offre una carrellata di immagini che sono solamente reali, non vere. D’altro canto, in opposizione alla sterilità assoluta di tali contenuti, scopriamo che MBdD insegna tutto su chi ne partecipa, organizzandone e condividendone i contenuti e la logica culturale. In breve, Milano Bella da Dio non dice nulla sull’oggetto che rappresenta ma tutto sul soggetto rappresentatore.
Fatti e narrazioni
Possiamo ben immaginare la controcritica pronta ad elevarsi contro chiunque tenti di mettere in questione e di problematizzare la vicenda di MBdD, già sentiamo quella voce che afferma «è impossibile accusare di disinformazione o di diffondere fake news una pagina che pubblica dei video che parlano da sé stessi». Cosa rispondere ad una simile obiezione? Innanzitutto, che è quei video, quei contenuti mostrati, quei borseggi e quelle dinamiche “criminali” sono indubbiamente reali e quella realtà è inoppugnabile. Ma fra vero e reale esiste uno scarto che è nostro dovere colmare.
Abbiamo da tempo notato come la nostra epoca sia, da un lato, satolla di fatti (piena di immagini, di video, di statistiche ecc. ecc.) e che, addirittura, in essa la fatticità degli accadimenti sia un valore tenuto in elevatissima considerazione (si sprecano le operazioni di fact-checking); ma, al contempo, questa epoca è l’epoca dove più che mai le narrazioni e la comunicazione -per non dire la propaganda– si sono dimostrati importanti. Come può interagire al contempo, negli individui odierni, questo nuovo attaccamento passionale ai fatti con l’assoluta e secolare malleabilità delle coscienze alle narrazioni? La risposta è presto data: nel quadro di un’assoluta rivendicazione di oggettività e neutralità la narrazione viene scardinata dal quadro ideologico in cui, fino al secolo scorso, era inserita. Così, al giorno d’oggi, lo spazio fra vero e reale è ingenuamente richiuso.
MBdD opera precisamente in questo modo, sotto l’inconfutabile verità di quei video, la loro assoluta veridicità sta un preciso progetto narrativo, agiscono delle mire, dei fini politici e si ricerca il consenso e l’approvazione. Per quanto riguarda lo spazio politico occupato da MBdD non vi sono molti dubbi, ben prima che Salvini si dichiarasse strenuo difensore della pagina, era nota la vicinanza fra il fondatore della pagina e Fratelli d’Italia, filiazione rivendicata dalla stampa di destra stessa.
Molto più interessante ed urgente è, invece, la domanda circa la classe sociale -gli individui- cui la narrazione di MBdD parla. In tempi recenti, abbiamo preso coscienza del fatto che le narrazioni trionfalistiche, secondo cui ogni conflitto (sociale ed internazionale) si sarebbe prontamente sedato, erano inflazionate e peccavano di un eccesso di ottimismo.
In una città come Milano, che è stata incensata negli ultimi dieci anni (o giù di lì) da una miriade di storytelling trionfalistici prodotti dai media e fatti risuonare a grancassa dalle istituzioni, tutto ciò che causa un contraccolpo rispetto alla narrazione paradisiaca viene eccezionalmente amplificato. La storia della polarizzazione sociale che ben conosciamo vede, nella vicenda MBdD, un nuovo capitolo. Contro le narrazioni trionfalistiche ed ottimistiche che ingenuamente sono state rilanciate dalla politica, la contronarrazione che mostra Milano come il parco divertimenti della criminalità, che dipinge una città decadentista in cui si ammirano i quadri mentre il museo crolla, acquisisce potenza e rilevanza.
Siamo, ancora una volta, al vecchio problema: la società conosce una polarizzazione crescente e via via più radicale, “noi” e “loro” siamo sempre più isolati, alienati, separati, distanti. La lotta avviene fra classi: il “paese reale”, “l’altra metà” si ciba e si nutre della narrazione rassicurante e violenta che MBdD offre. MBdD mostra in maniera chiara e distinta un’altra forma di disagio sociale -quello della microcriminalità spesso straniera- e, facendolo, dà sfogo al disagio sociale rimosso e dimenticato, l’impoverimento della classe media e l’assenza di unità là dove l’unità era finora stata ingenuamente ritenuta immediata. Questo si estende fino alle famose “ronde” di MBdD, in cui si manifesta la sostanziale sfiducia nelle istituzioni e nel potere giudiziario che vengono rimpiazzati da una visione più “western” e “fai da te” della giustizia.
Fare e narrare ovvero la politica dopo la fine del patto col diavolo
L’impegno a richiudere la frattura sociale è diventato un mantra di gran parte della sinistra mondiale (anche nelle sue varianti centriste, come ad esempio il piano Biden) ed è stato un punto cruciale condiviso da tutti i candidati alle recenti primarie del Partito. Ma al di là degli slogan e delle formula programmatiche si pone sempre la stessa secolare questione: “come fare?”.
Nel caso di MBdD siamo davanti ad una difficoltà non secondaria, richiamando una celebre formula di Jean Baudrillard possiamo dire che quel modello comunicativo segna la fine del patto col diavolo, nulla viene dato in cambio d, un semplice furto diventa -di per sé- un elemento in grado di costruire una narrazione e di darvi senso.
L’assoluto appiattimento di fatti e narrazione dei fatti, impone di lavorare al di là della semplice magagna tecnica: “fare qualcosa sul tema borseggiatrici”, “aumentare i controlli”, “rafforzare la sicurezza” sono certamente azioni giuste e necessarie -se non altro nella misura in cui sottraggono pane dai denti di MBdD. Tuttavia, l’impegno più profondo e radicale deve essere rivolto ad un progetto di rinarrazione della città e dell’operare pubblico.
Il compito non sarà certamente semplice, al contempo imparare da MBdD, leggere nei suoi contenuti la manifestazione del disagio sociale, e non cedere all’incivile retorica e alla rozza giustizia che caratterizza quel modo di pensare richiederà uno sforzo complesso e strutturato. Insomma, MBdD non può dettare l’agenda ma, al contempo, non è possibile ignorarne l’esistenza. Sarà possibile costruire una nuova narrazione che renda i cittadini meno inclini alla violenza e più fiduciosi verso le istituzioni? In ciò consiste la grande sfida di fare politica in un’epoca in cui ogni progettualità sembra essere enormemente più debole di un’immagine postata sui social, un’epoca dove tutto viene fruito senza fatica e senza oscurità, un’epoca dove tutto è immediati e non si fanno più “patti col diavolo”.
Ricostruire e rinarrare, ascoltare e mediare, questo è ciò che dobbiamo fare e l’orizzonte entro cui dobbiamo muoverci; essere in grado di farlo significherà essere dimostrarsi all’altezza di tempi difficili.