fbpx

Un sospiro seguito dall’esclamazione «che storiaccia!», così abbiamo reagito tutti noi dopo aver letto i primi articoli che riportavano quanto accaduto a Palermo il 7 luglio; fatti che hanno suscitato, nei ranghi della società civile, un netto sentimento di rabbia, disgusto, sdegno e vicinanza alla vittima. 

Dopo pochi giorni, la notizia di quel raccapricciante stupro di gruppo è stata condita dalla pubblicazione di diverse chat in cui i perpetuatori commentavano quando avvenuto in  termini incivili. Un ulteriore pennellata di macabro si aggiungeva al quadro già delineato, quello che era “soltanto” un altro capitolo di una sistematica e reiterata barbarie andava ad arricchirsi di un tour nella testa dei barbari carnefici.

 

Un ulteriore ruggito di indginazione si è sollevato dalla società civile. A buon titolo politici, giornalisti, attivisti, personaggi pubblici latu sensu fino ai più comuni cittadini hanno manifestato tutto il loro digusto. Da tempo immemore, trovarsi faccia a faccia con la mostruosità sviluppa -di primo acchito- impulsi istintivi nelle menti delle persone e le spinge a comportamenti estremi e non meditati. Così, aiutati dall’anonimato e dalle logiche interne dei social, si sono verificati alcuni spiacevoli episodi: un ragazzo omonimo ad uno degli stupratori ma totalmente estraneo ai fatti ha ricevuto alcune minacce e la vittima dello stupro è stata contatta sui social massicciamente, un‘esperienza non certo piacevole per chi ha vissuto situazioni del genere (non è rilevante se la comunicazione avvenga per solidiarietà o per infierire su quanto accaduto). 


È nel marasma dell’indignazione generale che molti di noi sono inciampati in quelle assurdità e stupidaggini che si incontrano frequentemente sui social, stupidaggini che assumono grande visibilità senza che sia possibile misurarne l’effettiva diffusione statistica. D’innanzi all’indignazione profonda per il riconoscimento dell’esistenza di un minaccia strutturale costantemente alle spalle della nostra civiltà, una società salubre dovrebbe chiamare a gran voce le istituzioni assodate e avere fede nella capacità della giustizia di fare Giustizia. Già nel XVIII secolo David Hume aveva compreso che cosa significasse essere spettatore di un evento sociale: la distanza permette, al contempo, un giudizio partecipe della sofferenza della singola vittima e la generalizzazione, ovvero l’individuazione della sorgente del fatto in un sistema antisociale negativo. Ciò apre la strada affinchè avvenga una presa di posizione energica volta allo sradicamento della radice originaria. Si è spesso e correttamente affermato che, nel caso in questione, l’origine sia la nota “cultura dello stupro”, la cui medicina corrisponde -al contempo- a pene più severe (senza, ovviamente, cedere alle idiozie di Salvini sulla castrazione chimica) e ad un’educazione scolastica improntata a contrastare il meccanismo culturale sotteso.

Questo è quanto avverrebbe in una comunità culturalmente in salute dai meccanismi ben oliati. Tuttavia, nella nostra sfibrata, sfaldata, polarizzata e disillusa società; costantemente costretta a cibarsi di fake news e giornalismo di basso livello, le cose non seguono questo ordine.

Prima come tragedia, poi come farsa

Abbiamo già accennato all’aggiunta della dimensione social all’interno di questo fenomeno e ne abbiamo già dichiarato le problematicità. Nei giorni successivi all’uscita della notizia originaria, i giornali di maggior grido del paese -su cui spicca il Corriere della Sera- hanno avviato una raccapricciante narrazione dell’evoluzione degli avvenimenti incentrata su ciò che gli stupratori postavano sui social, nello specifico su TikTok. 

Così, sono apparse inaudite stranezze, vere e proprie follie istituzionali, come la “difesa su TikTok” (elemento dall’immenso valore giuridico e legale!) e, d’altro lato, le “dichiarazioni” di uno degli imputati (sempre, puntualmente su TikTok) che rivendicavano con orgoglio quanto commeso.

Nel tempo di due articoli, il principale quotidiano d’informazione del paese (a cui hanno presto fatto coro tutti i restanti) trasformava una tragedia prodotta da una precise condizione culturale e strutturale della società in poco più di una telenovela. Mossi da nient’altro che logiche economiche, si è provveduto ad anestetizzare lo spettatore e a costruire una narrazione che, invece di permettere di afferrare la sorgente del problema, si scioglie in un mare di frivolezze senza valore. 

D’altronde, da anni in Italia soffriamo l’assenza di figure intellettuali in grado di gettare luce sul discorso pubblico e di avanzare una critica delle narrazioni. Abbiamo bisogno di buoni intellettuali, ci stanno dando solo intellettuali buoni che ci lasciano nel nostro sdegno, nella nostra reazione immediata e nervosa e, invece di contrastare gli effetti negativi del mutilato dibattito pubblico dei social media, si nutrono di spettacolarizzazione a basso costo ed emotività spicciola acchiapalike.


D’innazi al triste spettacolo di un giornalismo che stringe l’occhio alla chiacchiera, spetta ai partiti farsi carico del dovere di compiere analisi complesse e di spostare i termini del discorso. La cultura dello stupro è una piaga che affetta la nostra società ma, dal momento che si tratta di una “cultura”, l’idea che sia possibile ridurre il tutto ad una semplice questione di “lifestyle” e di iniziative individuali appare manchevole. Problemi strutturali si risolvono politiche strutturali, una narrazione centrata sulla dimensione individuale che pone l’enfasi sulle esternazioni pubbliche via social dei carnefici non permette di cogliere pienamente questa dimensione. Spetta ai partiti, d’innanzi al vuoto intellettuale del giornalismo, il compito di portare una riflessione raffinata capace di motivare politiche improntate al sistematico rinnovamento della scuola, dell’istruzione e della società civile; rifuggendo personalismi, squallide logiche di clickbaiting e banalizzazioni.

 

Redazione GD

Redazione GD

La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.