Non è necessario ricapitolare gli eventi che, nelle settimane recenti, hanno sconvolto la situazione politica del Medio Oriente e gettata una nuova ondata di violenza e distruzione nelle aree di Israele e Palestina. Parimenti, ai fini di questo articolo, è inutile procedere a moralismi, condanne e prese di posizione; fenomeni a cui abbiamo ampiamente assistito, spesso con nostro disappunto, da parte di ogni attore politico e mediatico. Infine, non ci si propone neanche di raccontare storie, ipotizzare futuri e delineare soluzioni. Questo articolo desidera, infatti, chiedere perchè sia possibile -e doveroso- parlare di “responsabilità occidentale” nei confronti dello scontro, interrogarsi sul significato di una tale espressione e criticare coloro che avanzano delle riserve verso questa etichetta.
Tolemaizzare i discorsi
È oramai ben nota l’estrema infantilità e banalità della discussione sul tema. A buon titolo si ricorre spesso alla metafora della “partita di calcio” e si compara il posizionamento politico al tifo, irriflessivo e aggressivo, incapace di giungere a lucidi compromessi. Tuttavia, spesso i tentativi di rendere il dibattito più “profondo” non superano il livello della dichiarazione di principio. Ciò avviene perchè si tende a non ricorrere alla nota tolemaizzazione e ci si arresta alla generica formula “è complicato”.
“Tolemaizzare” è un verbo complesso, eppure, la dinamica alla sua base è semplice e grossomodo nota ai più. Una volta, si credeva a una teoria secondo cui la Terra era al centro del cosmo e il Sole le ruotava intorno; fu Copernico -con il successivo aiuto dell’eroe sperimentale Galilei- a proporre l’idea innovativa secondo cui l’architettura planetaria doveva essere ribaltata. Ebbene, la teoria che sosteneva la centralità della Terra e che conobbe una brutale fine dopo aver dominato per secoli era precisamente quella dell’astronomo Claudio Tolomeo. Il sostantivo “tolemaizzazione” deriva precisamente da lui e indica il processo di moltiplicazione delle ipotesi e degli elementi di analisi in un discorso, operazione che lo stesso Tolomeo compì rispetto alla tradizione astronomica antecedente e che gli permise di costruire una teoria che, per quanto sbagliata, fu in grado di sopravvivere per 1000 anni. Questo excursus astronomico rispondeva alla necessità di indicare il primo elemento della questione, i discorsi non sono “complicati” di per sè, i discorsi si rendono complicati. Ed è doveroso farlo affinchè si eviti di precipitare nelle logiche sportive menzionate in precedenza.
Che cos’è “responsabilità”?
Seguendo lo spirito di questa premessa, possiamo procede alla domanda in questione. È, innazitutto, cruciale domandarsi cosa si intenda con “responsabilità” affinchè sia possibile attribuirla o no all’Occidente.
Se con responsabilità intendiamo la causa diretta, sia essa di natura intenzionale o no, allora difficilmente possiamo sperare di ritrovare qualcosa del genere. Sebbene noi siamo soliti indicare “la causa” ogni evento, specialmente ogni evento sociale, è in verità determinato da un enorme numero di esse. Vi sono “le cause” e, queste, coprono uno spazio infinito di campi diversi, dalla cultura, alla religione, all’economia, alle opinioni personali e al incrocio di tutti questi; un numero immenso di parti compone il quadro della “causa”.
Nondimeno, la politica riesce a fare cose nel mondo e, dunque, è in grado di condensare tutte questi elementi in un’azione che diviene propriamente “la causa”. Se poniamo il discorso sul campo della decisione allora l’analisi si sposta su un piano totalmente differente. Hamas ha deciso di invadere Israele la mattina del 7 ottobre, Israele ha deciso di porre Gaza sotto assedio e così via. Nondimeno, sebbene possiamo dire che l’Occidente abbia compiuto delle decisioni (dalla visita di Biden alla convulsa risposta dell’UE), è evidente che non possiamo ritenerlo un responsabile diretto degli eventi. Si apre troppo facilmente il fianco alla critica di chi, con fare polemico, è pronto a correre verso una reductio per porre l’acida domanda “se l’Occidente è responsabile allora la morte di innocenti è colpa nostra?”
Occorre, evidentemente, spostare ulteriormente i termini del discorso. Ciò di cui è possibile ritenere l’Occidente responsabile non sono le scelte in campo degli attori militari, sempre liberi di scegliere fra le alternative che la guerra offre, bensì la condizione diplomatica, il clima culturale e la situazione politica a cui si è arrivati. L’idea di una responsabilità occidentale non è un subdolo tentativo di farci sentire in colpa perchè siamo distanti dalla furia bellica mediorientale, bensì la presa di coscienza di essere portatori di un eredità che ha direttamente accompagnata la costruzione di questa situazione. In breve, essere responsabili significa essere portatori di un’eredità politica.
Spesso si ripete come il primo atto della nascita di Israele sia la dichiarazione Balfour del 1917. Regno Unito e Francia, satolle di colonialismo e militarmente impegnate contro gli Imperi Centrali, iniziarono a progettare la spartizione del territorio che oggi si chiama “Palestina” che ai tempi apparteneva all’Impero Ottomano. La storia potrebbe retrocedere ulteriormente e cercare radici più profonde nella nascita del movimento sionista in Occidente, nelle sue cause culturali radicate nel nazionalismo europeo, nella storia dell’antisemitismo e così via. Oppure, è possibile procedere in avanti e gettare lo sguardo sulle prime rivolte arabe anti-ebraiche o sul terrorismo anti-britannico di stampo sionista; è possibile guardare con deplorazione all’ingenua reazione alla guerra del ‘67 e apprezzare lo spirito dei trattati di Oslo.
In che misura siamo responsabili
In qualunque direzione si guardi la storia di Israle e della Palestina, è indubbio che in ogni momento “l’Occidente” accompagna costantemente il processo che, dopo una serie di piroette, porta alla situazione presente.
Certamente, la condizione di questo “Occidente” non è sempre identica a sè stessa. È evidente la differenza di potenza e mezzi tecnici, nonchè di atteggiamento nei confronti della politica estera, che intercorre fra l’epoca della Prima Guerra Mondiale, la seconda metà del Novecento e i giorni d’oggi. Dall’imperialismo all’ONU, dalla coppia Grey–Cambon a Von der Leyen-Borrell, vi è sempre una partecipazione occidentale negli avvenimenti dell’area e, dunque, una responsabilità.
Questo ci permette, inoltre, di identificare ed apprezzare una distanza all’interno dell’etichetta stessa “Occidente”, troppo carica di significati ideologici. Possiamo, infatti, distinguere all’interno di questa fra Europa e America (non UE e Stati Uniti, poichè la prima è un’invenzione recente e perchè fra le due intercorre una differenza di età). Certamente, arriviamo da storie diverse e siamo portatori di sensibilità diverse, probabilmente senza un cambio radicale ma comunque con una sfumatura di differenza. Si pensi, ad esempio, alla nota Crisi di Sigonella, in cui il governo italiano andò ai ferri corti con quello statutitense a causa di un atteggiamento diverso nei confronti della causa palestinese.
Parlare, dunque, di una responsabilità europea nel conflitto attualmente in corso non significa nè parlare di “colpa europea” nè sostenere una sorta di natura diabolica dei nostri antenati in forza di qualche concetto woke. Significa, al contrario, ammettere che l’arazzo si è composto in una tale maniera anche attraverso il tessuto steso dall’Europa, significa riconoscere il lavoro dei nostri predecessori (che, in forza della disastrosa condizione attuale, non può che essere ritenuto ampiamente fallimentare) nella speranza che ciò motivi una classe politica capace di essere all’altezza dei tempi e che sappia, finalmente, generare un ordine migliore.
[in copertina: la dichiarazione Balfour]