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Nei mesi recenti hanno suscitato scalpore e acceso dibattito le posizioni di Liliana Segre su Israele e Palestina. Nello specifico, a colpire è stato il suo rifiuto a definire il massacro  israeliano con l’appellativo di “genocidio”; una definizione che -se pronunciata- avrebbe avuto un impatto radicale a causa della storia e, soprattutto, del ruolo pubblico di Segre.

Con questo articolo non intendiamo né attaccare Liliana Segre, che è stata vittima di alcuni indecenti attacchi durante una manifestazione, ma desideriamo porci una domanda: è legittimo pretendere che Segre denunci quanto compie Israele in forza del suo valore simbolico?

 

Raccolte, sono tre tesi reciprocamente discordanti avanzate da tre altrettanti iscritti/e della Giovanile; nella speranza che una diversità di prospettive possa alimentare il dibattito e renderlo più ricco.


1.

Liliana Segre è una figura simbolo nella lotta contro la discriminazione e l’ingiustizia. Sopravvissuta alle atrocità naziste, il suo impegno ci ricorda quotidianamente l’importanza della memoria storica e della resistenza a ogni forma di violenza e odio.

Nella mia tesi, vorrei concentrarmi su un punto centrale: una figura di tale statura morale, che ha sensibilizzato generazioni su temi universali come la sofferenza e la memoria, potrebbe forse ampliare questa stessa sensibilità anche verso ciò che sta accadendo oggi in Palestina. L’onorevole Segre ha espresso posizioni significative, e la sua voce è da sempre un simbolo di resistenza all’ingiustizia.

Tuttavia, quando afferma che definire “genocidio” quanto sta accadendo a Gaza è una bestemmia, mi chiedo se non sia importante riflettere sulla maniera in cui i termini e le parole utilizzate possano influenzare la percezione delle tragedie attuali. Chi soffre oggi non merita forse lo stesso livello di compassione e giustizia? Non possiamo negare che migliaia di vite innocenti sono state distrutte. Il termine “genocidio”non deve essere preso alla leggera, ma nemmeno le vite che vengono spezzate.

Storici come Alessandro Barbero hanno sottolineato come le tragedie storiche tendano a essere ricordate con più facilità quando riguardano le vittime bianche, mentre sofferenze altrui vengono spesso marginalizzate. Questa riflessione ci porta a chiederci: dovremmo preoccuparci che anche la tragedia palestinese possa essere relegata a un secondo piano nella memoria collettiva?

Le immagini che provengono da Gaza, con bambini in lacrime e famiglie distrutte, ci obbligano a riflettere su queste ingiustizie. Signora Segre, davvero i giovani che si indignano di fronte a queste tragedie, che scendono in piazza pacificamente – siano essi ebrei o no – per chiedere un cessate il fuoco, possono essere etichettati come “ignoranti”solo perché si preoccupano di un presente che sembra ripetere errori del passato?

Anche nella giornata di sabato 5 ottobre, a Roma, durante una manifestazione a favore della Palestina, le forze dell’ordine hanno bloccato e manganellato i manifestanti pacifici a Piramide, impedendo loro di lasciare la piazza. In un momento in cui chi scende in strada lo fa per chiedere la fine della violenza e una pace giusta, è inaccettabile che la protesta venga repressa in questo modo. La richiesta di pace e di fine delle ostilità è universale e va rispettata, non ignorata o, peggio, criminalizzata.

Criticare le politiche attuali di Israele non significa essere antisemiti; affermare che Israele non rispetti il diritto internazionale è una questione di fatti, non di ideologia. La voce di chi si schiera per la pace, per la cessazione delle ostilità, non può essere ridotta al silenzio o screditata. Non dovremmo discutere di queste ingiustizie con la stessa passione con cui difendiamo la memoria storica?

Le sofferenze vissute dagli ebrei durante l’Olocausto e quelle dei civili palestinesi non sono opposte o gerarchiche, ma parte di un’esperienza comune di dolore. La memoria è universale e dovrebbe essere per tutti, non solo per una singola categoria di vittime.


2.

La posizione assunta da Liliana Segre merita certamente attenzione, infatti, vi sono implicite due domande fondamentali: 1) in che misura una persona deve ricoprire il suo ruolo sociale? 2) con quale grado di libertà l’opinione pubblica può elaborare e riattualizzare i ricordi sociali?

Innanzitutto, bisogna tenere a mente che l’identità di una persona non è mai un’essenza, ogni individuo è il risultato di ciò che la Storia ha fatto di lui (facendola nascere in una determinata classe, genere, sesso e momento storico) e di ciò che lui fa alla Storia. Così, la senatrice Segre ha ricoperto -e continua a farlo- una straordinaria funzione sociale nel corso degli ultimi decenni.

La scelta di narrare apertamente gli avvenimenti di Auschwitz ha un impatto fondamentale e -senza ombra di dubbio- rappresenta un momento fondamentale nell’elaborazione delle responsabilità storiche del Paese. Nondimeno, Segre, individuata come persona eccede di gran lunga la funzione sociale che essa esternalizza, la narrazione degli avvenimenti costituisce una parte della più complessa elaborazione del trauma che (per sua ammissione stessa) avviene in toto solo a livello personale e nell’insieme di una vita.

Pertanto, no, non è necessario che Liliana Segre “in quanto ebrea” si dissoci dagli atti di Israele.

Nondimeno, per quanto a suo titolo personale non sia necessario un distanziamento, l’opinione pubblica ha il diritto, ed il dovere, di riutilizzare la memoria su cui la stessa unità sociale si fonda.

Pertanto, è assolutamente legittimo che la domanda sul rapporto fra l’Olocausto e altri genocidi (o sospetti tali) sia almeno avanzata. La questione dipenderà, allora, da come si elaborerà il nesso fra ripetizione e innovazione dei fatti storici, da come si rapporterà il “nuovo” al “vecchio”, ciò non significherà in nessuna maniera screditare, infangare o umiliare la memoria ma -anzi- onorarla e fare di un lascito che rischia di diventare tristemente passivo, un elemento attivo di riflessione politica e culturale.


3. 

Partiamo da una premessa, che è doveroso fare: la senatrice Liliana Segre è una donna di 94 anni, superstite dell’Olocausto e testimone attiva della Shoah. Ella quindi quando era soltanto una bambina di 8 anni, nel 1938, quando ha subito le leggi razziali fasciste in prima persona e una ragazzina di 13 quando, nel 1943, è stata deportata nel campo di concentramento di Auschwitz, dove è rimasta fino alla fine della seconda guerra mondiale. Tornata in Italia, dopo molto tempo ha iniziato a raccontare la propria storia nelle scuole negli anni novanta, per sensibilizzare le nuove generazioni a combattere sempre il razzismo e l’indifferenza. 

Questa premessa è importante farla perché senza di essa, non si potrebbe dare il giusto peso alle parole della senatrice Segre. Durante il convegno sull’antisemitismo al Memoriale della Shoah a Milano il 21 maggio 2024 ha affermato: “quando mi dicono che Israele fa genocidi, questo confronto diventa una bestemmia”. R

itengo che sia più che normale che la senatrice pensi che Israele non stia commettendo un genocidio ai danni del popolo palestinese. Mi stupiscono le persone che si aspettano che ella dica qualcosa di diverso dal sostenere Israele ad oltranza, nonostante gli atti compiuti ai danni dei civili palestinesi. Parliamo di una donna che ha vissuto la sua gioventù durante una delle pagine più nere della storia dell’umanità, quando non esisteva ancora lo Stato d’Israele e che quindi per lei qualunque azioni tale governa compia, per lei è giusta e legittima, anche se ciò non è vero nei fatti reali. 

Ciò che sta facendo Israele per quanto mi riguarda è sbagliato, perché la sua risposta è sproporzionata al danno ricevuto il 7 ottobre 2023 da parte dell’organizzazione terroristica di Hamas: da una prigione a cielo aperto Gaza è diventata una tomba a cielo aperto.

La Senatrice Segre ha proseguito affermando che sono pochi i giovani che studiano veramente la storia, e che la gioventù ignorante va nelle università a gridare. Ritengo che questo approccio sia sbagliato ma me lo aspetto per l’età che ha: è sempre una donna anziana figlia del suo tempo, con delle idee che ormai sono diventate di marmo, quindi difficili da smussare.

Affermare che chi grida nelle università sia un ignorante solo perché, molto probabilmente, afferma idee o prende posizioni che non si condividono, è sbagliato. O meglio, richiede che si argomenti sul perché dal tuo punto di vista sia ignorante. Il conflitto Israele-Palestina è uno dei più complicati dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e non solo, perché risale anche a prima di essa. Una certezza è che Israele non è di certo uno stato non macchiato da nessun crimine ai danni di un popolo, che è stato privato della propria terra, occupata illegalmente, come nel caso della città di Gerusalemme, in cui la parte Est fa parte dei territori assegnati ai palestinesi.

Redazione GD

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