fbpx

È un onore, per la nostra Redazione, pubblicare questa intervista a Samuel Moyn, Chancellor Kent Professor di Law and History presso la Yale University di New Haven (Connecticut). Moyn è studioso e  audace critico del diritto internazionale per come assodato nell’epoca contemporanea. In questo senso, fra le sue pubblicazioni ricordiamo Human Rights and the Uses of History (Verso, 2014), Humane: How the United States Abandoned Peace and Reinvented War (MacMillan, 2021) e Liberalism Against Itself: Cold War Intellectuals and the Making of Our Times (Yale University Press, 2023).

traduzione a cura di Manuele Oliveri e Alessandro Finzi

original English version below


GD: In Italia, le forze politiche di sinistra fanno principalmente leva sulla retorica del Diritto Internazionale sia in relazione all’invasione russa dell’Ucraina che alla guerra tra Hamas e Israele. Tuttavia, gli elettori di sinistra sono tendenzialmente scontenti del doppio standard applicato nei due conflitti e del trattamento differente riservato a Putin e Nethanyahu. Lei crede che la tendenza a ritenere il diritto internazionale come avente un valore strategico anziché costitutivo avrà conseguenze negative per le forze progressiste occidentali?

SM: Più che avere conseguenze negative, credo non ne avrà nessuna. Tutti si rendono conto di quanta ipocrisia e quanta parzialità [selectivity] siano alla base delle posizioni delle grandi potenze riguardo l’applicabilità del diritto internazionale. Nel Sud Globale c’è una spinta per un diritto internazionale meno ipocrita e parziale rispetto ad oggi, ed è per questo motivo che le nazioni di quella parte del mondo hanno supportato la risoluzione iniziale dell’Assemblea Generale dell’ONU sull’Ucraina. Il problema principale lo vedo altrove: non se fare riferimento al diritto internazionale, ma a quale parte di esso. La sinistra non dovrebbe entrare nel dibattito sul conflitto tra Israele e Palestina concentrandosi sull’umanizzazione della guerra, ovvero sulla domanda se gli standard fissati dal cosiddetto “diritto umanitario internazionale” siano rispettati. Piuttosto, la sinistra dovrebbe insistere su termini di pace che siano solo nell’ambito del possibile [just within the realm of the possible], e quindi fare più spazio – proprio come nel caso dell’Ucraina – alla legge sul ricorso alla forza piuttosto che alla condotta delle ostilità.  In entrambi i conflitti, il punto non è tanto che ci vorrebbe un diritto internazionale meno parziale quanto una forma di diritto internazionale che possa promuovere la negoziazione politica e una pace giusta [just peace] nelle circostanze concrete in cui se ne richiede l’applicazione.

GD:  Il 21 novembre la Corte di Giustizia Internazionale ha emesso un mandato d’arresto per il Primo Ministro israeliano Netanyahu, l’ex ministro della difesa Gallant e il leader militare di Hamas Deif (la cui morte è stata dichiarata da Israele ma la Corte ritiene non dimostrata). Mentre gli Stati Uniti non hanno ratificato lo Statuto di Roma, e non sono pertanto tenuti all’arresto, le nazioni dell’UE lo sono. Matteo Salvini, uno dei leader della destra italiana, ha affermato che non arresterebbe Netanyahu. Secondo lei, quanto è realistico pensare che una nazione dell’UE sarebbe davvero disposta ad arrestare il primo ministro israeliano?

SM: Non è realistico pensarlo perché Netanyahu non visiterebbe mai una nazione firmataria del trattato, sapendo del rischio di essere arrestato. Peraltro, Giorgia Meloni ha annunciato che farebbe arrestare gli israeliani accusati, ora che è stato emesso un mandato di cattura. Naturalmente Netanyahu continuerà a sentirsi libero di visitare il mio paese, i cui leader politici hanno respinto i mandati di cattura della Corte, e non sono riusciti a ratificare il trattato.

GD: Nel dibattito pubblico, ci sono due diversi linguaggi che vengono utilizzati per parlare dell’invasione di Putin. Il primo fa riferimento al diritto internazionale e definisce “illegale” la guerra in Ucraina. Il secondo è fondato sulla moralità e definisce l’invasione come un attacco alla democrazia, alla libertà e al liberalismo. Secondo lei, questi due linguaggi possono convivere, o uno dei due dovrebbe cedere il posto all’altro?

SM: Non credo esista un vero e proprio appello alla legge nuda e cruda. Le persone invocano l’applicazione della legge, e si sentono da questa influenzate, solo quando, e solo se, la ritengono moralmente giustificata. Questo, tuttavia, non significa che una posizione aggressiva, in stile Guerra Fredda, che pone la “democrazia” in contrasto con l’”autoritarismo”, sia moralmente corretta o renda il mondo un posto migliore. Il principio che rende l’invasione di Putin illegale è quello della pace, anche nel caso di stati che non sono necessariamente democratici o liberali. Pertanto, preferirei che si facesse riferimento al valore morale, piuttosto che ad altri valori che non si oppongono alla guerra, e sono anzi stati spesso utilizzati per giustificare delle aggressioni, come dimostra il caso dell’attacco del mio paese all’Iraq.

GD: L’Unione Europea spesso inquadra la sua politica estera nell’ottica del soft power, mettendo in evidenza la diplomazia, l’integrazione economica, e gli aiuti umanitari. Dato il crescente numero di sfide per la sicurezza al suo confine, lei pensa che l’UE dovrà ridefinire la propria identità nell’ordine internazionale, forse adoperando una posizione più militarista?

SM: Sicuramente, anche perché Donald Trump ha innescato una dinamica che obbliga gli europei a difendersi per conto loro, o, alternativamente, pagare di più gli Stati Uniti – e ora Trump è di nuovo al potere. Ciò detto, una strategia di difesa europea è stata discussa a sfinimento nei decenni, recentemente e prominentemente fu risollevata la questione dal presidente francese Emmanuel Macron, il quale non ha molto da mostrare in merito. È comunque molto significativo che l’invasione di Putin abbia avuto il duplice effetto di cristallizzare un rigetto della prassi pacifista tedesca e fomentare l’adozione di impegni vincolanti volti a raddoppiare i bilanci militari degli stati Europei. L’ascesa di Trump ha condotto il mondo a superare la prassi post-bellica e post-coloniale del dopoguerra, facendo venir meno la presunzione che gli Stati Uniti avrebbero svolto tutta l’attività bellica che, fino ad ora, gli europei hanno evitato.

GD:  Il diritto internazionale e i diritti umani sono comunemente associati. I secondi sono frequentemente presentati come universali e inalienabili, eppure la loro storia, applicazione, e interpretazione sono profondamente collegati con l’ideologia liberale dell’occidente. Per esempio, mentre gli stati occidentali si fanno paladini dei diritti LGBTQ+, i medesimi ignorano o sminuiscono gli abusi a questi diritti che avvengono in paesi alleati (ad esempio nel caso  dell’Ungheria o della Polonia), o desiderano imporre queste idee in certe società, le quali vivono contesti culturali diversi. Lei pensa che l’intelaiatura dei diritti umani universali sia un progetto inestricabilmente coloniale che vuole imporre valori occidentali mascherati come moralità oggettiva? Il sistema di global governance dovrebbe orientarsi verso un modello maggiormente accogliente del pluralismo culturale, che ammette deroghe regionali e culturali alla definizione e l’applicazione dei diritti umani?

SM: No, non lo penso. Nessuno direbbe che la teoria della relatività di Albert Einstein è colonialista perché fu scoperta in Svizzera e poi accettata in tutto il mondo. Ho scritto che il problema dei diritti umani non è che sono troppo universalisti, ma invece che non lo sono abbastanza: L’ascesa di quest’ultimi hanno siglato la fine di altri princìpi universali, tra cui la pace e l’equità [fairness]. Ciò premesso, sarebbe stolto per gli attivisti dei diritti umani fingere che le proprie pretese di verità morale li dispensino dal pensare

GD:    Questa domanda finale potrebbe sembrare molto naive , ma gliela poniamo comunque: in un periodo politico afflitto da guerra, crescente autoritarismo, e incertezza, il diritto internazionale ha un futuro o rischia di diventare una reliquia del passato?

SM: Il diritto internazionale esiste da secoli, perché è uno strumento che serve diversi fini, e sarebbe difficile immaginare un mondo senza di esso in una qualche sua forma. Per questo, sarebbe meglio riformulare la domanda e chiedersi di che contenuto crediamo sia composto il diritto internazionale. Stiamo alla conclusione di un’epoca storica ove i valori cardini sono i diritti umani e l’umanitarismo – la tutela dei dissidenti e l’abbellimento della guerra. Invece abbiamo bisogno di un diritto internazionale che promuova pace e giustizia [fairness]. Il diritto internazionale ha perso molta della sua legittimità di fronte alla nostra recente epoca di militarismo e neoliberalismo. Tuttavia, non c’è alternativa che non sia renderlo uno strumento più credibile.


GD: In Italy, political forces on the Left are largely relying on the rhetoric of International Law to address both the Russian invasion of Ukraine and the Israel-Hamas War. However, Left-wing voters are generally unsatisfied with the double standard used in the two conflicts and with the different handling of Putin and Netanyahu. Do you think that the general attitude to hold international law as strategically instead of constitutively valuable will backfire on the progressive forces in the West?

SM: I doubt it will backfire, but it will not make much difference either. Everyone is aware of how much hypocrisy and selectivity is involved in great power claims about the applicability of international law. In the global south, the vision is of a less hypocritical and selective international law, which is why its countries supported the initial General Assembly resolution against Ukraine. I see the main problem elsewhere: not whether to appeal to international law, but which part. The left should not collude with a debate in Israel/Palestine focusing on the humanization of war – whether the standards of so-called “international humanitarian law” are being complied with. Rather, the left should insist on peace terms that are just within the realm of the possible, and therefore make more room — just like in the Ukraine case — for the law on the resort to force rather than the conduct of hostilities. In both wars, the problem is not so much a less selective international law as a form of international law that can bring political negotiation and just peace given the circumstances.

GD: On  November 21st, the International Criminal Court issued arrest warrants for Israeli PM Netanyahu, former Defence Minister Gallant, and Hamas’ military leader Deif (whose death was claimed by Israel but not proven according to the Court). While the US have not ratified the Rome Statute and are not ‘obligated’ to arrest, EU countries have. Matteo Salvini, a frontman of the Italian right, has stated that he would not arrest Netanyahu. In your opinion, how realistic is it for one of the European countries to actually arrest Netanyahu?

SM: It is not realistic because Netanyahu will not visit a treaty party, and risk being apprehended. And now Georgia Melonihas announced that she would arrest the Israeli accused now that their indictments have issued. Of course, Netanyahu will continue to feel free to visit my country, where political leaders have repulsed the court and its indictments, and failed to ratify the treaty.

GD: In public discourse, two different vocabularies are used to discuss Putin’s invasion. One relies on International Law and defines war against Ukraine as “illegal”, the other one speaks the language of morality and frames it as an attack against democracy, freedom and liberalism. In your opinion, can these two different vocabularies coexist or one should be dropped in favour of the other?

SM: I don’t think there is ever a pure recourse to law. People invoke it, and are swayed by it, when and if they feel it is morally justified. But this does not mean that an aggressive Cold War stance popular in many quarters that pits “democracy” against “authoritarianism” is morally appropriate or likely to make the world a better place. The actual prohibition that makes Putin’s invasion illegal concerns peace, including among states that are not necessarily democratic or liberal. So I would favor an appeal to that moral value, rather than ones that do not relate to the prohibition of war, and have more frequently been mobilized to justify aggression themselves, as the case of my country’s Iraq war shows.

GD: The European Union often frames its foreign policy in terms of “soft power,” emphasizing diplomacy, economic integration, and humanitarian aid. Given the growing security challenges at its borders, do you think the EU will need to redefine its identity in the international system, perhaps embracing a more militarized stance?

SM: For sure, if only because Donald Trump has set of a dynamic forcing European to defend themselves, or pay America more to do so — and now Trump is back in power. That said, a European defense strategy has been endlessly discussed over decades, most recently raised prominently by French president Emmanuel Macron, without much to show for it. Still, it is highly significant that Putin’s invasion crystallized a rejection of Germany’s historic pacificism and commitment to double military budgets. The transformative rise of Trump has led the world beyond the aftermath of World War II and decolonization, and the assumption that America necessarily would do all the fighting that Europeans avoided.

GD: International Law and Human rights are usually associated. The latter are often presented as universal and inalienable, yet their history, enforcement and interpretation are deeply tied to Western liberal ideology. For instance, while Western nations champion LGBTQ+ rights, they often ignore or downplay violations in allied countries (e.g. when it comes to Hungary or Poland) or pretend to impose these norms on societies with vastly different cultural contexts. Do you think that the framework of universal human rights is an inherently colonial project, imposing Western values under the guise of morality? Should global governance shift to a more pluralistic model that allows for regional or cultural variations in defining and enforcing rights?

SM: I do not, no. No one says Albert Einstein’s theory of relativity is colonialist, just because it was discovered in Switzerland and is now accepted the world over. I have written that the problem with human rights is not that it is too universalist, but not universalist enough: its rise in the last fifty years sounded the death know of other universal values like peace and fairness. That said, it is very foolish for human rights activists to pretend that their claim to universal moral truth saves them from strategic thinking, and their acts can cause backlash that sets the universalist project back. Of course there is room for pluralism in interpreting universal values, but at a certain point pluralism slides into relativism.

GD: This last question can sound overly naive but let us ask it anyway: in a political age pledged by war, rising authoritarianism and lack of clarity does International Law have a future or is it going to be nothing more than a relic of the past?

SM: International law has existed for centuries, because law is a tool to serve diverse ends, and it is hard to imagine a world without it in some form. That is why the better question is what content international law is believed to have. We are ending an era where it is believe that the most important values are human rights and humanitarianism — protecting dissidents and prettifying war. Rather, we need a commitment to an international law that promotes more peace and fairness. International law has lost a great deal of legitimacy during our recent era of militarism and neoliberalism. But there is no alternative to making it a more credible tool.

Redazione GD

Redazione GD

La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.