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La redazione dei Giovani Democratici di Milano è felice di portarvi la recensione di Angela Davis di Raffaella Baritono, pubblicato per Carocci nell’ottobre 2024 all’interno della collana “Donne e pensiero politico“. Un vivo ringraziamento alla case editrice che ha gentilmente concesso il testo.

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Nel corso di questa recensione i riferimenti al libro sono indicati come “AD”.


di Elisa Di Chiara

Nel 1993, parlando dell’ ancora attuale tema del razzismo, Norberto Bobbio affermava: «una democrazia non può essere “esclusiva”, senza rinunciare alla propria essenza di “società aperta”» (Bobbio 1994, 154). Individua, insomma, quella contraddizione che si crea laddove un’istituzione democratica (o presunta tale) adotta politiche emanate da ideologie antidemocratiche; la stessa intuizione che l’attivista Angela Davis ebbe agli inizi della sua attività di contestazione.

La biografia politica e intellettuale della studiosa e attivista statunitense viene illustrata da Raffaella Baritono nel secondo libro della nuova collana Donne e pensiero politico inaugurata da Carocci a settembre di quest’anno.

L’opera segue le vicende biografiche di Davis a partire dagli anni della sua formazione. A partire dalle scuole elementari, ha occasione di sperimentare una forma una segregazione razziale non fisicamente violenta, concretizzata in un’educazione diversamente impartita a figli di bianchi e figli di neri, dove per questi prevalevano programmi incentrati sulla storia afroamericana. In seguito, in un momento di grande fermento intellettuale e politico, è allieva di Herbert Marcuse, filosofo, sociologo, politologo, tra i primi esponenti della Scuola di Francoforte e maitre a pensier della sinistra dell’epoca

Affiancando gli studi di letteratura francese all’attivismo, ella ha modo di vivere quel sentimento di ‘doppia coscienza’ (AD, p. 25), descritto nel secondo capitolo della biografia, condiviso da molti suoi contemporanei afroamericani. Di fronte ad un sistema di pensiero che le facesse sperimentare quella twoness, ‘duplicità’ di essere americana e di essere nera, Davis sviluppa un approccio critico non solo nei confronti della democraticità degli Stati Uniti, ma anche nei confronti dei movimenti del Black Power a cui si era avvicinata alla fine degli anni Sessanta. Caratteristica di questi movimenti era la rivendicazione del riconoscimento di una soggettività nera, altra rispetto alla società bianca. Si coglie, dunque, un esempio di quella contraddizione da cui è iniziata la presente riflessione: non solo si assiste ad un comportamento antidemocratico ed antiegualitario (attestato dai sopradescritti programmi scolastici differenziati) da parte di un paese democratico ma ad  “società chiusa“ si voleva rispondere con la proposta di una seconda “società chiusa”.

L’aspetto rivoluzionario del pensiero di Davis risiede nella sua risposta a queste pretese; e, meglio, nel rifiuto di un’ideologia nazionalista afroamericana che auspicava al superamento di una forma oppressione a scapito di altre conquiste. In particolare, essa si oppose alla rifondazione di un concetto positivo di razza che non guardasse a considerazioni di classe, etnia, genere.

Il terzo capitolo dell’opera di Raffaela Baritono mette in luce il ruolo che ebbe il Partito Comunista degli Stati Uniti d’America nella contestazione avanzata da Davis. Due furono i fattori che la avvicinarono a esso: l’escalation militare in Vietnam, a partire dal 1964, e la lettura delle opere di Franz Fanon, avvenuta in una Francia segnata dagli strascichi dalla Guerra d’indipendenza algerina. La nuova sinistra marxista del CPUSA avanzava proposte che superavano gli ideali del nazionalismo afroamericano, opponendosi alle diverse forme di oppressione razziale nel mondo in un’ottica internazionale, anticapitalista e antimperialista.

L’urgenza di un approccio intersezionale fu seguita inevitabilmente da una nuova attenzione di Davis per alcuni fatti, sintomi di contraddizioni intrinseche della democrazia americana; tra i quali la repressione, da parte del presidente Nixon, delle diverse forme del dissenso politico da parte degli attivisti afroamericani. Soprattutto, però, la riflessione si rivolse ai movimenti del nazionalismo nero, in cui era rintracciabile – secondo Davis – un sessismo pari a quello della restante società americana. La concatenazione delle tre facce di un unico problema (sessismo, razzismo e classismo) viene denunciata da lei nella sua opera dell’1981, Donne, razza e classe: l’unione inscindibile di patriarcato, quindi oppressione della donna, con ogni altro rapporto di potere

Negli anni seguenti il suo approccio internazionale si estese anche alle riflessioni circa le diverse classi sociali e il sessismo.

Il terzo capitolo dell’opera di Raffaela Baritono mette in luce il ruolo che ebbe il Partito Comunista degli Stati Uniti d’America nella contestazione avanzata da Davis. Due furono i fattori che la avvicinarono a esso: l’escalation militare in Vietnam, a partire dal 1964, e la lettura delle opere di Franz Fanon, avvenuta in una Francia segnata dagli strascichi dalla Guerra d’indipendenza algerina. La nuova sinistra marxista del CPUSA avanzava proposte che superavano gli ideali del nazionalismo afroamericano, opponendosi alle diverse forme di oppressione razziale nel mondo in un’ottica internazionale, anticapitalista e antimperialista.

L’urgenza di un approccio intersezionale fu seguita inevitabilmente da una nuova attenzione di Davis per alcuni fatti, sintomi di contraddizioni intrinseche della democrazia americana; tra i quali la repressione da parte delpresidente Nixon delle diverse forme del dissenso politico da parte degli attivisti afroamericani. Soprattutto, però, la riflessione si rivolse ai movimenti del nazionalismo nero, in cui era rintracciabile – secondo Davis – un sessismo pari a quello della restante società americana. La concatenazione delle tre facce di un unico problema (sessismo, razzismo e classismo) viene denunciata da lei nella sua opera dell’1981, Donne, razza e classe: l’unione inscindibile di patriarcato, quindi oppressione della donna, con ogni altro rapporto di potere.

Mantenere il contatto con la complessità di un fenomeno interconnesso sarebbe stato l’unico modo per fondare pratiche di solidarietà, consolidate da una concezione storicistica dei fatti.

Raccontata nel sesto capitolo della biografia, una ‘lente’ particolare che Davis utilizzò per analizzare il fenomeno sessista nel mondo afroamericano fu quello della cultura del blues. I testi del blues femminile rappresentavano una forma di rivendicazione della libertà sessuale della donna e non solo: i testi si estendevano, riflettendo lo stesso approccio intersezionale invocato dall’attivista, alle diverse forme di oppressione subite dal mondo afroamericano all’indomani della liberazione dalla schiavitù.

L’opera di Baritono si chiude con l’analisi dell’ultimo specchio negativo della sincrasi tra le diverse forme di oppressione: l’’industria carceraria’ (AD, p. 72). Concepibile come un apparato di sfruttamento e nuova forma di segregazione razziale (soprattutto a seguito delle sopracitate politiche di ‘legge e ordine’ applicate sotto Nixon, le carceri americane si riempirono di detenuti di origine afroamericana o di minoranza etnica). In questo caso, il tema del sessismo si intercettava in quella strenua categorizzazione che andava pari passo con le pratiche carcerarie: la definizione stessa di ‘donna’ correva il rischio di omologazione ed essenzializzazione qui più che altrove.

La riflessione teorica di Davis culmina, quindi, in una forma di abolizionismo delle carceri. Questa presa di coscienza politica si raggiunge con l’analisi del risvolto economico dell’incarcerazione di massa: la sua terza caratteristica era, infatti, quella di essere diventata una fonte di profitto per privati. In particolare, il profitto derivava dai fondi pubblici (sottratti quindi alle potenziali politiche sociali) pagati per ogni carcerato ad un sempre maggiore sistema di corporations che, per mantenere vivi i guadagni, avrebbe alimentato «la percezione di aver bisogno di più prigioni» (AD, p. 72).

Per concludere questo resoconto basato sulla sintesi efficacemente svolta da Raffaella Baritono si riprende una citazione dello stesso Bobbio che, alla contraddizione d’apertura, risponde con la necessità di una educazione universalistica. Ma non solo, egli afferma che «non basta se non si trasforma in azione corrispondente. Non basta l’educazione ma non bastano neppure le istituzioni politiche. Diventa sempre più necessaria l’azione dal basso.» E, mettendo luce sulla problematicità di fondo di una commistione pubblico-privato come quello dell’appena descritto complesso carcerario-industriale, continua: «Le istituzioni non sono state sinora all’altezza della situazione. Alla insufficienza dello stato non c’è altro rimedio che il sorgere di iniziative nella società civile.

Assistiamo quasi a un vero e proprio ricorso storico: lo stato sociale è sorto per rendere inutili le opere di carità. Ma oggi che lo stato sociale si è rivelato impari al compito, le opere di carità rivelano la loro mai spenta vitalità» (Bobbio 1994, 154-155). Che le carceri statunitensi descritte da Davis non fossero un esempio di carità è evidente, ma esse rappresentano, tanto quanto il fenomeno descritto da Bobbio, un esempio di fallimento dello stato moderno, concepito per la società e per la democrazia, di cui sono appannaggio – lo ricordiamo – alcuni principi interdipendenti e universali quali la libertà, l’uguaglianza, la tolleranza e la non-violenza.


Testi citati:

Baritono, R. Angela Davis, Carocci 2024

Bobbio, N. Elogio della mitezza e altri scritti morali, Il Saggiatore 1994

Redazione GD

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