Words from the World è la rubrica della redazione dei GD Milano in cui traduciamo e ripubblichiamo contributi apparsi in quotidiani, riviste e siti internazionali!
Disclaimer: tutte le traduzioni e pubblicazioni avvengono previo consenso dell’autore originale/all the pubblications and translations are made with the consent of the original author. This article appeared originally on Social Europe (website available here) on March 3rd 2025; the original article can be read here: https://www.socialeurope.eu/economics-an-apology
traduzione a cura di Amalia S. Di Bari
L’economia mainstream ha modellato la formulazione della politica moderna, ma i suoi insuccessi e divisioni ideologiche rivelano difetti sistemici più profondi.
È stato spesso sostenuto che l’economia dominante ha vacillato in anni recenti e che richieda un complessivo rinnovamento. In effetti, la maggior parte degli economisti ha fallito nell’anticipare la crisi finanziaria del 2007-2008 e, di conseguenza, non ha lanciato alcun monito. La regina Elisabetta ha evidenziato questa mancanza quando ha posto una schietta domanda a un gruppo di distinti – e visibilmente increduli – economisti che aveva convocato: Perché nessuno di voi lo aveva previsto?
La domanda della regina ci invita a due possibili risposte.
Innanzitutto, gli economisti non sono mai stati destinati a fungere da veggenti. Non sarebbe ragionevole incolpare i geologi per il loro fallimento nel non aver previsto ogni singola eruzione vulcanica o scossa di terremoto, e noi comunque non abbandoneremmo mai la geologia come disciplina accademica in quei settori. La stessa indulgenza non dovrebbe essere concessa agli economisti?
Mentre è vero che dagli economisti non ci si aspetta la predizione del futuro con certezza, molte persone, in particolare chi è impiegato nelle banche e al governo, fanno previsioni come una vera e propria routine. La bolla che è scoppiata nel biennio 2007-2008 era così vistosamente gonfiata, e la gestione di tante banche così eclatante, che gli economisti, tra gli altri, avrebbero dovuto suonare il campanello d’allarme. Edward M. Gramlich, un governatore federale dal 1997 al 2005, è stato uno tra pochi che ha effettivamente tentato di attirare l’attenzione, ma i suoi avvertimenti sono stati ignorati. Tanti altri, troppi, hanno scelto di guardare dall’altra parte, allineandosi con gli eccessi del settore bancario. Il fiasco, pertanto, non è stato tanto dell’economia intesa come disciplina, quanto una mentalità, una mancanza di valore civile.
Keynes
Col tempo, l’economia ha avuto riscontri positivi, equipaggiando i governi con gli strumenti efficaci per incentivare le economie barcollanti attraverso l’espansione fiscale e monetaria, e per arginare l’inflazione attraverso il contenimento fiscale e monetario. John Maynard Keynes sviluppò la sua Teoria Generale mettendo a confronto l’inadeguatezza della dottrina economica classica per fronteggiare alla persistente disoccupazione degli anni Trenta. Il suo studio analizzò come l’economia globale sarebbe potuta uscire dalla Grande Depressione. Sebbene durante gli anni Settanta in certi circoli accademici le idee di Keynes caddero in disgrazia, esse sono state risvegliate in risposta alla crisi del 2007-2008, dando impulso a una espansione delle riserve di denaro mai vista prima. Dunque – in linea con i manuali di economia – la crisi ha portato a una recessione, e non a una totale depressione, che sarebbe stata di gran lunga più dolorosa.
Poche altre svolte intellettuali hanno avuto un impatto così forte sulle vite delle persone, paragonabili, forse, all’avvento degli antibiotici o dell’elettricità. Detto questo, la reazione giuridica alla crisi finanziaria è stata molto meno notevole della reazione economica. Solo alcuni banchieri sono stati ritenuti responsabili negli Stati Uniti o in Europa – con l’Islanda che rappresenta una rara eccezione.
L’economia ha prodotto altre preziose intuizioni. Ha sottolineato i benefici del commercio e gli effetti nocivi di tariffe, oligarchie e monopoli, ognuno dei quali può ridurre l’efficienza, innalzare i prezzi e limitare la scelta del consumatore. Queste conclusioni condividono un terreno comune: la libera concorrenza, quando accoppiata con la responsabilità e con un ragionevole livello di uguaglianza, tende a incrementare i tenori di vita e a stabilizzare i prezzi.
Come mai l’uguaglianza? Perché il commercio è inequivocabilmente vantaggioso solo se ciò che si ottiene è opportunamente distribuito in modo eguale. Il benessere economico e la giustizia sociale devono essere considerati insieme. Per valutare il successo economico di una nazione, non è sufficiente conoscere il reddito medio per cittadino; è anche necessario comprendere come il reddito e la ricchezza sono distribuiti. Stimare la salute economica di una nazione basandosi solamente sul reddito medio sarebbe analogo a giudicare un capitale puramente dal suo ricavo, senza considerarne i rischi associati.
Ciononostante, le problematiche sulla giustizia sono state a lungo escluse dall’economia mainstream, anche se ciò potrebbe finalmente cambiare. Sin dagli anni Ottanta, la crescente disuguaglianza ha aperto gli occhi di numerosi economisti sull’esigenza di incorporare analisi sulla correttezza. E nessun filosofo né psicologo troverebbe questo miglioramento sorprendente.
Complessità e ideologia
L’economia è più complessa della ingegneria aerospaziale. Il comportamento dei corpi celesti è, per così dire, meccanico e prevedibile. Il comportamento umano no. Isaac Newton stesso lo riconobbe: “Posso calcolare il moto di corpi celesti, ma non la pazzia delle persone.”
Una sfida che gli economisti affrontano – diversamente, diciamo, dai fisici – è che alcune persone non sono sempre attente nel distinguere tra economia e politica. La Teoria Generale di Keynes rimane controversa ancora oggi, parzialmente perché coloro che su un piano ideologico si oppongono all’intervento del governo rifiutano le teorie che dimostrano come tali interventi possano essere vantaggiosi e prevenire le crisi.
Certamente, tasse più basse o tassi di interesse ridotti possono spesso raggiungere risultati simili agli aumenti delle spese di governo. Tuttavia, queste tensioni ideologiche hanno influenzato il responso del Congresso degli Stati Uniti alla crisi del 2007-2008, risultando in un più scarno aumento delle spese di governo, aumento che molti esperti hanno invece ritenuto consigliabile. Consequenzialmente, la ripresa è stata più lenta di quanto avrebbe potuto essere. Peraltro, il modesto stimolo potrebbe anche aver tenuto a freno l’inflazione.
A prescindere da questo, alle volte alcuni economisti e politici ideologicamente opposti all’intervento governativo esagerano le preoccupazioni riguardo al debito pubblico – motivate meno da paure legittime sui futuri carichi di debiti e più da una generale avversione verso il governo stesso.
Tolte le distinzioni politiche, gli economisti si dividono riguardo ad alcuni problemi fondamentali. Alcuni tuttora insistono sulla costruzione dei loro modelli intorno all’homo economicus, perennemente razionale, una figura che pensa e agisce con la precisione di un macchinario. Altri, che di economia comportamentale si intendono, ammettono le imperfezioni del processo decisionale umano. Menzionano, fra le altre scoperte, che molte persone credono che si commettono più omicidi nella sola Detroit che nell’intero stato del Michigan, una palese inverosimiglianza.
Gli economisti sono in disaccordo più dei fisici riguardo al cuore pulsante del loro campo di studio? Difficile immaginarlo. I fisici si domandano se la meccanica classica e la meccanica quantistica richiedano una teoria unificata, proprio come gli economisti discutono se la macroeconomia si debba esplicitamente ricavare dalla microeconomia. I fisici continuano a essere alle prese con la teoria delle stringhe, la quale assume che le particelle più piccole non sono punti ma stringhe a una sola dimensione. Ad ogni modo, i fisici rimangono enormemente utili – basta chiedere a Siri.
Tornando alla dimensione politica, quasi tutti gli economisti concordano che le tariffe sono dannose nella maggior parte dei casi. Le tariffe tendono a essere uno strumento smussato, dal momento che sono disponibili alternative migliori per raggiungere gli stessi obiettivi con effetti avversi minori. Guidati dalla ragione e dalle prove raccolte, gli economisti di tutto lo spettro politico hanno largamente persuaso i politici. Come risultato, la tariffa globale media si è abbassata dall’8% nel 2002 al 4% nel 2021.
Il presidente Trump ha cominciato il suo secondo mandato proclamando ripidi aumenti tariffari, sia nei confronti degli alleati, sia nei confronti degli avversari, apparendo così ignaro del danno esteso che probabilmente causerà, con particolar riguardo al contrattacco delle altre nazioni. Questo è precisamente quello che accadde dopo che il presidente Herbert Hoover firmò lo Smoot-Hawley Tariff Act, convertendolo in legge nel 1930. Al risveglio della Grande Depressione, il commercio globale risultò contratto di due terzi nell’arco di tre anni, aggravando la regressione.
Forse nessuno all’interno della cerchia ristretta del presidente Trump comprende questa storia – o, se la comprendono, rimangono silenti. Perché? Non è solo una questione di economia. Si tratta anche di mentalità. E di coraggio.