Il governo ha raggiunto un accordo equilibrato che non è ancora possibile valutare nella sua interezza
di Umberto Caragnano
A due anni dalla caduta del Ponte Morandi e dopo un Consiglio dei Ministri terminato all’alba di mercoledì 15 luglio è stato raggiunto l’accordo sulla futura gestione di una porzione consistente della rete autostradale italiana.
Ad oggi la società Autostrade per l’Italia (di seguito Aspi) gestisce circa 3000km di rete autostradale tramite una concessione siglata nel 1997, quando la società era ancora pubblica e controllata dall’Istituto per la ricostruzione Italiana (IRI).
Dal 1999, anno in cui è stata formalizzata la privatizzazione della società, la società è controllata, dopo molteplici operazioni societarie, per circa l’88% da Atlantia holding, società finanziaria che fa capo alla famiglia Benetton. Negli ultimi giorni il titolo azionario della società finanziaria era crollato a causa dei timori della revoca della concessione autostradale e dei costi e delle tempistiche implicite del contezioso giudiziario che ne sarebbe derivato. Il titolo nella giornata di ieri è cresciuto del 25%, non raggiungendo tuttavia i livelli e la capitalizzazione di mercato registrata un mese fa.
Cosa prevede l’accordo
Con l’accordo siglato mercoledì 14 luglio, è stata garantita la continuità della società Aspi nella gestione dell’infrastruttura autostradale. Secondo le informazioni rivelate dalle principali testate giornalistiche (non c’è ancora un documento ufficiale, ndr), la società pubblica Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe sottoscrivere un aumento di capitale a pagamento nella società Aspi, fino ad arrivare ad una percentuale di partecipazione del 33%. Il fulcro di tutta l’operazione è determinato dalla cifra dell’aumento di capitale, che rappresenta indirettamente il valore stimato della società Aspi nonché il prezzo dell’operazione. Per fare un esempio concreto, se la società dovesse essere stimata ad un valore pari a 10 miliardi, ci sarebbe un aumento di capitale di 3,3 miliardi. Gli effetti dell’aumento di capitale sono molteplici: da un lato la società avrà a disposizione ulteriori mezzi finanziari per realizzare investimenti e manutenzioni, dall’altro l’attuale quota di partecipazione di Atlantia holding subirà una prima diluzione. Inoltre, con questa operazione non c’è alcun trasferimento di denaro da una società pubblica a quella dei Benetton.
In una seconda fase Atlantia cederà una parte delle sue quote ad investitori istituzionali ed effettuerà una scissione parziale della sua partecipazione in Aspi. L’assegnazione delle azioni della beneficiaria (Aspi) saranno dunque attribuite proporzionalmente ai partecipanti al capitale di Atlantia (Benetton con circa il 30% e gli altri investitori di minoranza). Con questa operazione Atlantia non avrà più il controllo di Aspi e la percentuale di capitale di pertinenza dei Benetton dovrebbe ammontare a circa il 10%. Infine la nuova Aspi verrà quotata nel mercato dei capitali per favorire l’ingresso di nuovi soci e potrebbe garantire anche una possibile fuoriuscita dei Benetton dal capitale della società. Dunque la nuova società avrà un azionariato diffuso con un’azionista di maggioranza pubblico difficilmente inquadrabile secondo il modello aziendalistico della public company (che non vuol dire azienda pubblica, ndr) auspicato da alcuni esponenti della maggioranza di governo.
La contrattazione ha riguardato anche i termini della concessione autostradale, che sono stati rivisti e riequilibrati a vantaggio del concedente. L’accordo prevede un aumento delle sanzioni anche in caso di lievi violazioni da parte del concessionario, la rinuncia a tutti i giudizi promossi in relazione alle attività di ricostruzione del ponte Morandi, una riduzione del sistema tariffario e la riduzione della penale da pagare in caso di revoca della concessione.
Conclusione
Non è ancora possibile delineare una puntuale analisi di profittabilità economica dell’operazione. Secondo alcune stime preliminari l’aumento di capitale dovrebbe essere di circa 3 miliardi, per scongiurare ad Atlantia una svalutazione della sua partecipazione in Aspi iscritta in bilancio. Questi plausibili 3 miliardi di investimento, non comportano alcun onere per il contribuente italiano né un aumento del debito pubblico, in quanto la Cassa Depositi e Prestiti è un’istituzione finanziaria pubblica il cui bilancio individuale non viene consolidato nei conti aggregati dello Stato. È comunque noto che la Cassa Depositi e Prestiti realizzerà un investimento in un monopolio naturale, in un settore con flussi di cassa prevedibili ed elevati, in una società con un indebitamento contenuto e che fino al 2017 garantiva un miliardo di utili all’anno a fronte di un fatturato di 4 miliardi. I nuovi termini contrattuali prevedono una riduzione della spropositata redditività della società, ad esclusivo vantaggio della collettività in termini di minori costi e una maggiore sicurezza stradale. Non ci sarà più una distinzione tra concedente e concessionario; lo Stato dovrà monitorare e allo stesso tempo incidere nella programmazione degli investimenti e della manutenzione della rete autostradale. Si è messo dunque fine all’assoggettamento di un bene pubblico, gestito pro tempore da un operatore privato, alla mera legge del profitto che ha causato una ferita profondissima per il nostro Paese.