di Luca Cusimano
È fondamentale, nel momento in cui si decide di affrontare il tema del rifugiato, capire quale sia l’aspetto giuridico che ne norma la posizione.
Per avere un quadro completo della situazione, in questo articolo partiremo dall’ambito internazionale per poi andare a vedere nel dettaglio quanto previsto dalla nostra normativa nazionale.
Quando parliamo del diritto di asilo parliamo di un diritto previsto a partire dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, art. 14, dove al primo comma si riporta che
Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.
In questa frase si racchiude la base del diritto d’asilo da intendersi come diritto umano fondamentale con la naturale conseguenza del suo ingresso “a cascata” nei vari ordinamenti nazionali, in particolare nelle costituzioni del secondo dopoguerra e nel diritto internazionale.
Primogenita di questo articolo è la Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, meglio nota come convenzione di Ginevra, siglata nel 1951. Trattato multilaterale delle Nazioni Unite, ha avuto una fortissima diffusione globale e risulta essere la base della politica europea riguardo i rifugiati.
All’art.1 della convenzione si definisce chi sia il rifugiato:
Chiunque nel giustificato timore d’essere perseguitato per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.
Di particolare interesse è il fatto che la Libia non risulti fra le parti contraenti del trattato, elemento che ha gettato forti ombre sull’accordo siglato con l’Italia nel 2017. Nel testo vengono anche tratteggiati i diritti del rifugiato, che però vengono fortemente declinati nei singoli Stati, e le responsabilità delle nazioni che garantiscono l’asilo. Un principio qui sancito per la prima volta, che ha avuto forti conseguenze in varie sentenze italiane riguardo i respingimenti in alto mare, è il cosiddetto principio di non-refoulment, ovvero di non respingimento. Ai sensi dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra a un rifugiato non può essere impedito l’ingresso sul territorio né può esso essere deportato, espulso o trasferito verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate.
Avendo bene in mente quanto stabilito da queste norme di diritto internazionale, anche l’UE si è occupata di quelli che sono i diritti dei profughi, in primis con l’art. 18 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Inoltre, per effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, il divieto di refoulement si applica indipendentemente dal fatto che la persona sia stata riconosciuta rifugiata e/o dall’aver quest’ultima formalizzato o meno una domanda diretta ad ottenere tale riconoscimento. L’attenzione al rifugiato si ritrova poi anche nelle varie direttive a tema migrazioni emanate dall’Unione, come nella famosa direttiva rimpatri.
Arrivando all’ambito italiano, invece, è necessario guardare alla costituzione, in particolare all’art. 10, vero cardine della normativa nazionale in tema di asilo. Sono di nostro interesse i commi 3 e 4 che riportano:
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici
Leggendo il testo nascono subito due questioni. La prima riguarda nuovamente chi sia il rifugiato, evidenziando come tale tema sia tutt’altro che banale. Nella stesura di tale articolo i padri costituenti non avevano certo in mente il quadro attuale fatto di flussi migratori da paesi in condizioni disastrate, ma si riferivano all’asilo come inteso da coloro che fuggivano dalla opprimente dittatura fascista. Oggi nell’ordinamento italiano per la definizione di rifugiato, infatti, ci si rifà a quanto scritto nella convenzione di Ginevra, anche grazie al recepimento delle normative europee che su quest’ultima si basano. Questo per delimitare in maniera più efficace questa figura che altrimenti potrebbe essere interpretata in modo particolarmente estensivo se si seguisse la definizione costituzionale.
In secondo luogo, per chiunque mastichi diritto è evidente come nel comma 3 sia presente una riserva di legge, ovvero si chiede al legislatore di promulgare norme in materia. Purtroppo, in questo ambito, tale riserva non è mai stata espletata dando spazio a una forte discrezionalità amministrativa. È dunque logica e naturale conseguenza che l’effettiva garanzia della tutela del diritto di asilo si sposti e ricada sulle spalle dei giudici, che di conseguenza producono numerose sentenze creando una giurisprudenza a partire già dagli anni ’50-’60.
In quest’ultima vi sono due posizioni:
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La prima sottolinea come, essendoci una riserva di legge non applicata, il giudice non possa intervenire in materia di diritto d’asilo.
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La seconda posizione invece rimarca come essendo l’asilo un diritto fondamentale il giudice debba farsi garante dell’applicazione di un diritto fondamentale.
Questa difficoltà italiana nel relazionarsi con il tema è stata evidente nel caso Ocalan, capo del partito indipendentista curdo che ha trascorso un paio di mesi in Italia tra il 1998 e il 1999 in fuga dal governo turco e la cui gestione della richiesta d’asilo è stata disastrosa (per approfondire la questione consiglio l’articolo de Il Post “I mesi di Ocalan in Italia”).
La situazione normativa attuale prevede la presentazione della richiesta d’asilo che deve essere valutata singolarmente, al netto delle modalità di ingresso del richiedente che chiaramente non può essere espulso nel frattempo.
Qualora la domanda venga accolta si può accordare sia lo status di rifugiato, che è la tutela maggiore, sia la cosiddetta protezione sussidiaria. Fino a qualche anno fa era frequente anche il ricorso alla protezione umanitaria, recentemente abolita con i decreti sicurezza varati da Salvini.
In ambo i casi viene garantito un permesso di soggiorno per motivi di asilo della durata di 5 anni, successivamente rinnovabile, l’accesso al sistema di welfare così come la possibilità di lavorare, studiare e ottenere il ricongiungimento familiare.
La Cassazione aveva stabilito che il diritto d’asilo era sufficientemente tutelato con le tre forme di protezione, dunque contemplando anche quella umanitaria. Non vi sono state nuove pronunciazioni sull’adeguatezza della tutela del diritto a seguito dell’abolizione della protezione umanitaria.