Federica Mormando mi accoglie nel suo studio a Milano, zona Turati. Ha un sorriso dolce, una libreria dove i libri fanno la lotta per starci tutti ed una parlantina svelta, ma ragionata.
Snocciola aneddoti in maniera incalzante e non sembra timorosa di esprimere le sue opinioni: «Abbiamo paura del politicamente scorretto? Io no». Mi ringrazia quando le assicuro che non mi infastidisce l’odore della sigaretta che sta fumando comoda sulla poltrona, mentre parliamo, ma giura di voler smettere a gennaio.
Federica Mormando ha da dirmi tante cose, perché nella vita fa tante cose: il medico psichiatra, la psicoterapeuta (di formazione adleriana), la giornalista pubblicista. Non indossa un camice bianco, ma un cardigan color burro, perché per mestiere non corre tra corsie d’ospedale, ma presiede Eurotalent Italia, associazione che mira a riconoscere e valorizzare i talenti di bambini, ragazzi ed adulti ad alto potenziale intellettivo, e Human Ingenium, organizzazione internazionale non governativa dedicata a tutti quei talenti che non sono misurabili: il pensiero intuitivo, quello creativo, i doni artistici…
Dottoressa Mormando, che differenza c’è tra i ragazzi “normali” e quelli cognitivamente plusdotati?
É molto difficile rispondere. Faccio un esempio banale: c’è una differenza tra una Ferrari ed una Panda. La Panda è una macchinina meravigliosa, ma non va ai 200 all’ora: la differenza è di questo tipo.
Quindi i plusdotati sono i ragazzi svegli, veloci?
Non esistono “plusdotati a fotocopia”: c’è chi è molto veloce, ma c’è poi chi è fantastico nella matematica, c’è chi è fantastico nella sensibilità. Dell’intelligenza noi possiamo vedere solo la risultante concreta, ma essa è in realtà la risultante di tutta la personalità. Perché l’intelligenza si sviluppi, sono importantissimi tutti i fattori ambientali e dato che la nostra cultura non è innata, è fondamentale che ci siano buoni insegnanti, che diano buoni spunti di formazione della mente.
E nella scuola italiana, questi buoni spunti sono garantiti?
(Sorride) In Italia, è dagli anni ‘70 che si cerca di rendere tutti uguali. Si è cominciato con l’ignorantissima integrazione di tutti i tipi di disabilità nello stesso contesto scolastico: nelle scuole elementari e medie, nella stessa aula ci possono stare un bambino autistico, un bambino con la sindrome di Down, un bambino iperattivo, un tot di bambini normodotati ed un bambino particolarmente dotato. In questo contesto, il bambino plusdotato vedrà sprecato il suo talento, il bambino iperattivo non farà altro che confusione, non imparerà nulla ed impedirà agli altri di imparare, mentre un bambino con difficoltà mentali non troverà l’ambiente ed i tempi che gli saranno necessari per apprendere.
La soluzione?
Ogni minoranza ha bisogno nell’apprendimento di strumenti ed ambienti adatti. La soluzione non è l’esclusione, infatti i bambini possono trovarsi insieme nella mensa, forse nella ginnastica o nel gioco, ma l’apprendimento è altra cosa: se la scuola deve innanzitutto insegnare ad imparare, questo non è il modo adatto per farlo.
E l’uguaglianza dove va a finire?
Sono anni che si fa grande confusione tra pari opportunità ed uguaglianza: per dare pari opportunità a tutti bisogna dare strumenti diversi ad ognuno e ciò, nella scuola, è molto negato. Da cinquant’anni ci si occupa – o meglio, si dice che ci si occupa – delle disabilità, con i BES (Bisogni Educativi Speciali, ndr), ma tra questi non è mai menzionato il bisogno speciale del bambino plusdotato, più intelligente e sveglio della media che, annoiandosi a morte, passa le lezioni a distrarsi e distrarre gli altri in vari modi.
Ma dividere i ragazzi non porterebbe ad una sorta di “segregazione” nella scuola?
Ma la segregazione c’è proprio ora! La discriminazione discende proprio dal fatto che bambini con bisogni e capacità diverse sono inseriti nello stesso ambiente, con gli stessi ritmi, con gli stessi insegnanti. Il ghetto lo crea chi unisce bambini e ragazzi con esigenze troppo diverse per essere conciliate, non di certo chi tenta di fornire ad ognuno gli strumenti più adatti.
In Italia c’è ostilità nei confronti delle persone più intelligenti?
Sa, i molto intelligenti sono ritenuti molto pericolosi. Dovrebbero essere ritenuti utili, perché è da loro che potrebbero arrivare idee, aiuti, ma si fa finta che non esistano. L’intelligenza fa paura, nella scuola soprattutto, dove non esiste quasi più selezione per merito.
Serve una scuola più elitaria?
No, serve premiare il merito. Che non vuol dire selezionare per censo: per i meno ricchi esistono sempre le borse di studio. Ma, invece, ad esempio, s’è iniziato a permettere l’accesso a qualunque facoltà a chi viene da qualunque maturità, col risultato che il ragioniere può fare, che so, Lettere Antiche. Ma il ragioniere non potrà mai fare bene Lettere Antiche, perché non ha la formazione adatta. Il risultato è che molti professionisti – non tutti, ce ne sono sempre di ottimi – oggi, sono molto ignoranti.
Nostalgia per la vecchia scuola?
La scuola di un tempo aveva i suoi difetti, per carità, ma selezionava il merito. Gli insegnanti potevano fare lezioni da cui ognuno attingeva secondo le proprie capacità e, non avendo paura di bocciare, potevano garantire una buona preparazione di base.
Cosa rimprovera a chi si occupa di istruzione oggi?
Non so da dove partire. La Ministra Fedeli ad esempio ha invitato gli insegnanti a promuovere anche chi ha lacune: un delitto, un tradimento. Chi ha lacune non le potrà colmare l’anno dopo, non avrà le basi per capire gli argomenti che seguono, non capirà perché non capisce, proverà disagio e si sentirà inadeguato. Io alla Fedeli rimprovero di non occuparsi realmente degli svantaggiati: l’errore è così macroscopico che non riesco a credere nemmeno nella buona fede.
Su cosa ci si può concentrare per risolvere qualcosa, nel breve termine?
L’estetica. Se l’ambiente in cui si insegna è decadente, sporco, si ha subito un’immagine di scarso rispetto per l’istruzione, che invece è sacra. L’istruzione è un privilegio, ma così non è vissuta.
E gli insegnanti?
Bisogna ristabilire il loro ruolo, oltre che la vera preparazione, e levare loro i pregiudizi. Gli insegnanti devono prendere coscienza della loro importanza fondamentale nella formazione globale dei ragazzi: devono dimostrarsi consapevoli di questo, al di là della misura del loro stipendio. Poi è vero che per un bravo insegnante, alla luce di tutto quello che dicevo, è difficile insegnare.
Dottoressa, che messaggio vuole lasciare ad una platea di ventenni di sinistra?
Accettate la realtà delle differenze: chi non accetta le differenze e chi non comprende a fondo il concetto di pari opportunità è schiavo di uno schema in cui vede solo il “più” ed il “meno”, il migliore ed il peggiore. E vuole eliminare il migliore, di solito.
Per cogliere gli individui si deve uscire dallo schema, cercare di sviluppare le personalità, chiedere ad ognuno di fare cose diverse. Bisogna smettere di distinguere tra migliore e peggiore pensando che per “pari opportunità” s’intenda far finta di essere tutti uguali.
É quasi utopico.
Certo che è utopico, ma ci stiamo lavorando. Quindi mica tanto.
Tommaso Facchin