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di Miriam Pedruzzi

“Una battaglia persa in partenza, quella dell’intreccio tra saperi, ed è un’arte in cui io credo molto; ma è una battaglia persa perché le conoscenze accademiche vanno sempre più nella direzione di una cultura a compartimenti stagni, che poi produce nell’opinione pubblica attuale molta ignoranza. Il tema è una battaglia persa, ma noi ce ne infischiamo e lo conduciamo in questo modo.”

Claudio Martinelli

 

Sono sempre più evidenti le interazioni attuali tra il regno economico, giuridico e politico e i rispettivi conflitti e le riflessioni che da essi vengono generate.

In un momento di profonda nostalgia verso un passato – che per ovvie ragioni da chi scrive non è nemmeno stato vissuto – in cui la dialettica fluiva elegante attraverso saggi, incontri, pamphlet e articoli, temo di dover ammettere che il luogo teatrale dell’espressione e della manifestazione di questi settori dell’attualità sia diventato il mondo dei social media, più che dei giornali o dei libri; un locus in cui “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, luogo che solo sarcasticamente definisco amoenus perché, al pari della stampa nel dettato costituzionale, non dovrebbe essere soggetto ad autorizzazioni o censure. Prometto un chiarimento verso la conclusione in merito all’utilizzo del condizionale.

 

Manifestare liberamente il proprio pensiero consiste, nell’autorevole interpretazione di costituzionalisti tra i quali Roberto Bin e Giovanni Pitruzzella, che qui riporto in maniera drasticamente sintetica, nella libertà di esprimere le proprie idee e di divulgarle ad un numero indeterminato di destinatari; in ciò si distingue dalla libertà di comunicazione, ossia libertà di esprimere le proprie opinioni o di non manifestarne alcuna, ovvero libertà di informazione, intesa come libertà di diffondere notizie e di riceverne.

L’evoluzione tecnologica tende sempre più ad assottigliare la linea di confine tra i vari mezzi di diffusione dell’informazione e molte cose non sono ancora del tutto chiare ma è necessario porre realisticamente l’accento sulla difficoltà causata dall’emergere delle nuove piattaforme di comunicazione digitale, che si palesa poichè la circolazione delle idee è il presupposto della democrazia nonché della concorrenza perfetta, e la libertà di espressione è da sempre considerata dalla giurisprudenza costituzionale la “pietra angolare” del sistema democratico.

Alla luce di ciò, nessuna selezione può essere compiuta tra le idee quanto a scopi, contenuti, circostanze: tutte possono essere espresse liberamente trovando nella Costituzione all’art. 21 la loro garanzia.

 

Per alleggerire il tono accademico che non voglio dare a questo scritto, racconto che in un film statunitense del 1992 si dice che la diffusione di informazioni è come se ci fosse una guerra mondiale in cui non conta affatto chi ha più pallottole, ma conta solo chi controlla l’informazione: chi controlla l’informazione controlla il mondo. E restando sempre nella regione statunitense, gli americani ricordano tristemente molto bene che la crisi mondiale del 1929 iniziò da una bolla speculativa, apparentemente limitata al settore immobiliare, che, in realtà, data la mancanza di informazione, generò il panico degli azionisti che avevano investito i loro risparmi convinti di essere di fronte ad un meccanismo sempre positivo; e fu proprio la loro disinformazione ad alimentare il panico e a causare la vendita di una cospicua parte della borsa, con le drammatiche conseguenze sul sistema che sono oggi ben note a tutti.

A questo punto mi incammino con sicurezza ad affermare che i social media sono luoghi di informazione, e che questa è tutt’altro che privata; sono piattaforme su cui tutti vanno e passano mediamente i tre-quarti del loro tempo libero e lì vi si svolge molta vita pubblica.

I social media possono essere due cose, alternativamente: possono essere una rete irresponsabile che gode di libertà negativa, semplici contenitori di informazioni; oppure possono essere editori con libertà positiva di costituzione e di legge, vere piattaforme responsabili e, in quanto tali, libere di criticare il contenuto di chiunque, ai sensi della libertà di espressione.

 

Una parte estremamente significativa nonchè a me molto cara dei maestri da cui sono stata formata dubita fortemente della validità giuridica e spesso politica delle affermazioni e discussioni che promanano dai social; ho provato ad oppormi ai miei mentori, pensando ai tempi in cui Internet era considerato come una bacheca in cui gli utenti appendevano semplicemente i loro messaggi, ma mi sono ritrovata, discutendo, all’impossibilità di negare che il trend mondiale sia oggi radicalmente cambiato, e che ora Internet venga usato come una tendenza per modificare l’indirizzo delle nostre vite. Come se tutto ciò non fosse sufficiente, esistono autentici mostri politici creati da normative che hanno consentito loro di utilizzare i social media per fare pubblicità mirata di informazioni false per le proprie campagne elettorali.

Appare bizzarro anche il controllo e la censura, in questi luoghi virtuali, che etichetta come contenuto ingannevole alcuni pensieri che potrebbero essere ripetuti in modo legittimo ed esattamente uguale nelle sedi della democrazia di un Paese, ma sono bollati come illegittimi su un social network; così come vengono estromessi da altri luoghi virtuali i profili di estremisti, che poi si attivano nella realtà e vengono accolti dalla vita politica ed editoriale.

Si arriva qui all’estrema opinione, che la mia giovane e ingenua età spera di non sposare mai, secondo la quale i social media hanno sempre approfittato della loro utenza per creare un nuovo ordine economico che configura l’esperienza umana come una materia prima gratuita per pratiche commerciale nacoste di estrazione, predizione e vendita; una logica economica parassita nella quale la produzione di merci e servizi è subordinata al cambiamento globale del comportamento degli individui e delle masse. Un’autentica minaccia alla natura umana data dalla nascita di un nuovo potere strumentale che afferma il dominio dell’ignoranza sulla società e presenta una sfida impegnativa alla democrazia, alla libertà di circolazione delle idee – oserei dire in particolare di quelle intelligenti. In questa guerra senza eroi, poco importa che i social network siano dei nuovi editori o delle semplici parti in causa. Alla luce di quanto mostrato fino a qui, chiarisco doverosamente il condizionale che ho usato qualche paragrafo più in alto.

Ciò che è assolutamente necessario è creare nuove leggi e istituzioni che possano verificare e censurare, proteggere i diritti degli utenti e regolare la materia, senza permettere mai che chi vuole controllare queste nuove fonti di informazione, lo faccia in modo strategico, nell’unico interesse di mantenere ai vertici delle istituzioni quegli stessi politici da cui dipende il sistema basato sullo sfruttamento libero dei dati degli utenti. Non sono certamente i social media a poter decidere in merito alla loro stessa verifica: che il controllato sia anche il controllore suona storicamente agghiacciante, ed è un ridicolo ossimoro per il presente. Servono nuove istituzioni democratiche per rendere libera la nuova informazione, senza che il discorso venga avvelenato da bugie e falsificazioni.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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