di Marco Arvati
Capire quello che sta accadendo nell’ultimo mese in Russia, attorno alla figura di Aleksej Navalny, non sembra particolarmente complesso: un leader che governa la Nazione in modo autocratico, un rappresentante dell’Opposizione che si vede ledere diritti e varie proteste di piazza. In realtà la situazione ha una sua complessità che affonda nei decenni precedenti. Per iniziare, cosa è successo punto per punto?
- 17 gennaio: Aleksej Navalny, autoproclamato leader dell’Opposizione a Putin e Russia Unita, rientra in patria dopo aver subito in agosto un tentativo di avvelenamento; ad attenderlo all’aereoporto centinaia di simpatizzanti. All’ultimo l’aereo viene dirottato su un altro hub e Navalny arrestato;
- 20-21 gennaio: l’Opposizione russa si mobilita e organizza grandi proteste di piazza nelle maggiori città dello Stato; non sono le prime, si chiede la liberazione immediata di Navalny e una maggiore democratizzazione del Paese. La polizia risponde spesso con metodi violenti;
- 2 febbraio: Navalny viene condannato a tre anni e otto mesi di carcere, ridotti a due anni e mezzo dato che aveva già scontato dieci mesi di domiciliari; le reazioni dei paesi esteri, USA e UE su tutti, sono di ferma condanna a questo processo politico;
Ricostruiti i fatti degli ultimi giorni rimane da chiedersi: chi è Aleksej Navalny? E’ davvero il capo di un’opposizione coordinata? Quali potrebbero essere le prossime mosse di Putin?
Chi è Aleksej Navalny
Aleksej Navalny è un personaggio molto particolare: laureato in legge nel 1998, al tramonto dell’era El’cin, si iscrive presto a Jabloko, partito facente parte della galassia liberale anticomunista ma inferiore per importanza e seggi allo storico Partito Liberal-Democratico; da Jabloko si allontanerà anni dopo in forte contrasto con la linea del fondatore del partito. È un dissidente di fatto: organizzatore di manifestazioni spesso per forzare la mano a quel regime che mal sopporta la scenicità della piazza di opposizione. Fino al 2011 rimarrà un piccolissimo personaggio della scena politica russa; in quell’anno però varie proteste si susseguirono per i risultati elettorali delle Elezioni Parlamentari e verrà arrestato per aver partecipato ad una di esse. Da quel momento il suo blog risulterà disponibile anche in lingua inglese. Navalny sfrutta i nuovi media per testimoniare la corruzione endemica della Russia, sempre esistita ma che, nella sua opinione, Putin ha elevato a sistema.
Spesso si legge parlare di Navalny come del capo di un’opposizione; in realtà Navalny è la persona più conosciuta di un’enorme galassia frammentatissima che rappresenta il movimento contestatorio alla gestione del Paese di Vladimir Putin e di Russia Unita. Per comprendere questo processo è interessante notare due cose: Navalny non è ideologicamente granitico, richiama il popolo a combattere contro la corruzione di un sistema antidemocratico ma nella sua carriera politica ha avuto sponde sia tra i liberali sia tra i patriottici e perfino tra i sovranisti contrari all’immigrazione. Probabilmente proprio la sua popolarità tra i giovani data da un sapiente utilizzo dei social media e il suo non risultare escludente verso una delle galassie oppositive a Putin lo rendono una figura vicina a quello che potrebbe essere un leader: in piazza per lui sono scesi socialisti e monarchici, pienamente consapevoli di condividere poco o nulla delle idee di Navalny ma scossi da un mantra: “Se non ora, quando?”; la comunità internazionale è in questo momento molto attenta ai fatti russi e quindi Navalny più che leader diventa un’arma che unifica galassie totalmente diverse tra loro in nome del disprezzo per Russia Unita.
Una strategia Brezneviana?
Per comprendere invece le mosse di Putin è interessante fare un paragone con ciò che accadde a un altro grande contestatore della storia russa: Solzenicyn, lo scrittore di “Arcipelago Gulag” che testimoniò la brutalità dei campi di repressione sovietici, venne espulso dalla Russia nel 1974 durante l’era di Leonid Breznev; l’arma che Breznev utilizzò per silenziare un’opposizione crescente (partita a dir la verità sin dalla Primavera di Praga del 1968) fu proprio un pacchetto di concessioni alla comunità internazionale: firmò gli Accordi di Helsinki e permise agli USA di mantenere un forte contingente di truppe in Europa. Oggi Putin ha in mano dossier importanti: il Trattato Open Skies con gli USA da poco terminato, che prevedeva la possibilità di voli ricognitori delle due potenze sui cieli rivali e il Nuovo START per il controllo della proliferazione delle armi nucleari che è stato esteso mercoledì 3 febbraio. Se Putin utilizzerà la stessa tattica Brezneviana cercherà di dare all’Occidente forti risultati politici in cambio di un consensuale semisilenzio sulla situazione interna. Tuttavia, l’Amministrazione Biden sembra essere scettica e nel primo discorso sulla politica estera, Biden ha enunciato i diritti umani e la democrazia come punti cardini della propria dottrina.
La situazione è ancora in svolgimento e come finirà lo potremo scoprire solo nei prossimi mesi tenendo la situazione monitorata.