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Ha fatto scalpore, a inizio dicembre, la notizia riguardante la scoperta di stazioni di polizia cinese in Italia. Stando a quanto riportato dall’organizzazione no-profit spagnola Safeguard Defenders, la quale si occupa della difesa dei diritti umani in Asia, sarebbero ben 11 le stazioni di polizia d’oltremare presenti sul suolo italiano. Se l’Italia si classifica tra i Paesi con il maggior numero di questi centri, il resto del mondo non è esente dalla loro presenza: si parla, infatti, di altre 91 filiali sparse in 53 Paesi, portando il totale a 102.

Le stazioni di polizia cinesi: un caso internazionale

Ma esattamente di cosa si tratta? Combaciano con la definizione di “stazioni di polizia cinese” o “stazioni di polizia d’oltremare” negozi, agenzie immobiliari, centri culturali e altre associazioni cinesi gestite da enti riconducibili al Partito Comunista Cinese (sezioni locali del Dipartimento del Lavoro del Fronte Unito appartenente al Comitato Centrale del PCC) che collaborano a stretto contatto con la polizia cinese.

Se si trattasse di veri e propri centri di polizia all’estero, sarebbero di fatto illegali, perché non autorizzati dagli Stati che li ospitano: infatti gli unici centri autorizzati da uno Stato ospitante a svolgere questioni burocratiche sono ambasciate e consolati.

Tuttavia non è solamente la loro “presenza illecita” (che mina la sovranità del Paese ospitante) la questione sulla quale soffermarsi, quanto piuttosto le azioni che svolgono: mentre le autorità cinesi giustificano le stazioni come centri che si occupano semplicemente di gestire servizi a cittadini e turisti di nazionalità cinese, ci sarebbero prove fornite dallo stesso governo di Pechino che dimostrerebbero come almeno una stazione (quella di Madrid) abbia lavorato attivamente con la polizia cinese per dedicarsi ad operazioni di polizia illegali e sotto copertura in Spagna, come riporta Safeguard Defenders.

Le “operazioni di polizia illegali” citate dal rapporto della ONG spagnola consistono nel “convincere” presunti criminali a tornare in Cina per fare i conti con la giustizia, con metodi che violano le leggi internazionali in materia di diritti umani, oltre alla sovranità territoriale dei singoli Paesi (la decisione in merito all’estradizione dei criminali spetta, infatti, al Paese che ospita il sospettato, non al Paese che l’ha indagato).

In un report, Safeguard Defenders cita due operazioni (Fox Hunt e Skynet), condotte dal Comitato di Controllo Anticorruzione del Partito Comunista Cinese e dalle forze di polizia cinesi, finalizzate a costringere persone ricercate a tornare in Cina. Si tratta di operazioni su larga scala: da una dichiarazione ufficiale del governo cinese dell’estate 2022 si contano oltre 230.000 rimpatri di presunti fuggitivi da oltre 120 Paesi tra il 2021 e il 2022, di cui molti ottenuti attraverso misure che variano da minacce e/o carcerazione preventiva dei familiari residenti in Cina dei sospettati, fino ad arrivare ad agenti inviati nel Paese ospitante del “fuggitivo” per minacciarlo o sequestrarlo direttamente. Tra le misure applicabili ai soggetti che si rifiutano di collaborare ci sarebbe anche la negazione del diritto allo studio ai figli del sospettato.

Ecco dunque spiegata, secondo l’ONG con sede a Madrid, la funzione dei centri di polizia cinesi d’oltremare: fornire una base d’appoggio alle forze di polizia di Pechino per attuare le operazioni di rimpatrio degli indagati, affinché possano fare i conti con la giustizia. A questo si aggiunge l’inasprimento dei controlli su tutte le attività criminali e illegali legate alla Cina, inclusa l’espressione politica, che viene fortemente limitata e controllata.

La maggior parte delle stazioni in questione, anche se scoperte solo di recente, sembrano essere nate attorno al 2016 ad opera delle città-prefettura di Nantong e Wenzhou, il che porta a ben quattro il numero di città cinesi (con Zhejiang e Fuzhou) la cui polizia locale ha aperto dei centri di polizia d’oltremare. Questo smonta la difesa delle autorità cinesi, che avevano giustificato l’apertura dei centri come risposta al Covid-19. 

Le reazioni all’estero

Appreso del coinvolgimento di numerosi Paesi europei tra gli ospitanti delle stazioni di polizia cinesi d’oltremare, l’Unione Europea ha espresso la sua preoccupazione convocando lo scorso 8 dicembre una seduta dello Special Committee ING2 (da poco rinominato “Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell’Unione Europea, inclusa la disinformazione, e sul rafforzamento dell’integrità, della trasparenza e della responsabilità al Parlamento Europeo”), alla presenza di una portavoce di Safeguard Defenders e dell’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borrell, con l’obiettivo di discutere della veridicità delle informazioni fornite dalla ONG spagnola, oltre ad esaminare la posta in gioco in termini di interferenza straniera e di rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali sul suolo europeo.

Tra i Paesi coinvolti ci sarebbero Italia, Austria, Repubblica Ceca, Germania, Portogallo, Spagna, Svezia, Paesi Bassi, oltre a Regno Unito, Irlanda, Stati Uniti, Canada, Cile, Nigeria.

La Repubblica Popolare Cinese, tuttavia, afferma che gran parte delle stazioni di polizia in Asia e in Africa sono state avviate con l’esplicito consenso del Paese ospitante.

Per quanto riguarda l’Italia, anche se il Ministro dell’Interno Piantedosi ha affermato sia alla Camera (7 dicembre 2022) sia al Senato (12 gennaio 2023) che il memorandum specifico d’intesa siglato nel 2015 tra i rispettivi Ministeri dell’Interno italiano e cinese per l’esecuzione di pattugliamenti congiunti di polizia non sia in alcun modo correlato alla nascita delle “stazioni d’oltremare”, per Safeguard Defenders l’accordo bilaterale sembra invece aver svolto un ruolo chiave nella creazione delle stazioni “pilota” di Milano, costituite nel 2016 e nel 2018.

E adesso?

Molti dei Paesi coinvolti, Italia compresa, hanno annunciato un monitoraggio peculiare della situazione all’interno dei propri territori, non escludendo sanzioni qualora emergessero evidenti violazioni di trattati internazionali o bilaterali.

Per Safeguard Defenders si tratta di operazioni in continua espansione di repressione transnazionale, che necessitano di misure mirate, come:

– tenere monitorate le tattiche repressive e la rete di relazioni per attuarle, poiché non si esclude possano emergere ulteriori centri di polizia cinese ancora sotto copertura;

– attivare adeguati meccanismi di protezione per comunità a rischio;

– coordinare la condivisione di informazioni per un monitoraggio più efficace di tutti i Paesi con una tendenza alla repressione.

Nei prossimi mesi si attendono i risultati concreti dalle investigazioni ad opera dei singoli Paesi per constatare quanto di tutto ciò affermato da Safeguard Defenders sia vero oppure no, ma la priorità è necessario che sia la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.

Redazione GD

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La Redazione è lo spazio di approfondimento e confronto pubblico dei Giovani Democratici di Milano Metropolitana!

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